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Napoli Teatro Festival Italia. Deludente la versione de Il gabbiano di Merolli

Il giovane artista Gianluca Merolli ha firmato la regia dello spettacolo Un Gabbiano, adattamento dell’opera Il gabbiano di Anton Cechov, in scena il 19 e 20 giugno al Teatro Sannazaro, nell’ambito del focus dedicato al drammaturgo russo.

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Chi scrive ha atteso alcuni giorni prima di recensire questa performance, sperando che le idee si facessero più chiare, eliminando con il tempo i fumi della confusione generale. L’opinione, discutibile certamente, non è cambiata: verrebbe da dire – che Shakespeare mi perdoni – molto rumore per nulla.

Dalle prime battute lo spettatore viene distratto da continui effetti scenici che distolgono la sua attenzione, facendogli perdere il filo della narrazione. Diventa quindi inizialmente difficile entrare nella storia insieme ai protagonisti. Il gabbiano è un testo cechoviano in cui si riflette sul teatro e sulle sue dinamiche. Un testo sui drammi personali degli infelici protagonisti. I personaggi, anche in questa versione, affermano con convinzione che ci sarebbe bisogno di nuove forme di teatro, ma, per una sorta di ironia, durante la performance non ritroviamo nulla di quella innovazione tanto agognata.

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Sembra quasi che il regista abbia tentato di condensare in un'unica pièce tutte le sue conoscenze registiche, senza trovare un vero e proprio filo conduttore, una linea pulita di regia, ma solo riproducendo, uno dopo l’altro, tutti i “trucchi del mestiere”. Il pubblico si trova davanti prima i neon sul palcoscenico, poi l’ingresso dei protagonisti dalla platea, la corsa sul posto, l’innaffiatoio per la pioggia, il telo che riproduce le onde alla maniera di Strehler, le vasche piene d’acqua davanti al proscenio (per citare solo alcuni esempi).

Un’accozzaglia di effetti che stordiscono senza trasmettere poi nulla del dramma originale. Ne risulta una noiosa sequela di azioni sconclusionate che lasciano lo spettatore interdetto. Anche la recitazione – eccezion fatta per Anita Bartolucci e Nello Mascia – appare artefatta e pedante. L’unica cosa che risalta per la sua bellezza, tra tutti questi “effetti speciali”, è lo sfondo naturale nero e grezzo del Teatro Sannazaro, rovinato dal tempo e in contrasto con le luci di scena.

Sulle doghe di legno che compongono il palcoscenico, alla fine dello spettacolo, una confusione di piume, plastica, acqua e sagome umane. Confusione che – purtroppo – tale è rimasta anche negli occhi dello spettatore.

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