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Musicisti usa e getta. Il Guardian analizza la "Sindrome da collasso di band"

Se il secondo album vende il 90% in meno del primo, che succede? Gruppi superpompati, sogni infranti, ritorni alla realtà. L’articolo del Guardian dal titolo “When the band falls off cliffs” è un bignami dell'industria musicale odierna.

Un’industria probabilmente dopata, che punta tutto sul primo album consapevole che il secondo molto probabilmente sarà un flop. Rob Fitzpatrick ha realizzato un’inchiesta per capire quella che il Guardian definisce la "Sindrome da collasso di band", ovvero come è possibile che un gruppo che con un album (il primo solitamente) vende milioni di copie, crolli col successivo anche del 90%.

Che sia colpa del mercato ci sono pochi dubbi, la ricerca affannosa della next big thing ti fa dimenticare presto quella che lo era solo la settimana prima, come dice il cantante dei The Undertone Feargal Sharkey.
 
Il giornalista del Guardian ha preso come esempio un po’ di gruppi, per far capire meglio quello che intende, partendo dai Kaiser Chiefs che con l’esordio Employment vendetterio oltre due milioni di copie, grazie anche ai singoli Oh my God e ancor più I predict a riot. L’album successivo, Yours Truly, Angry Mob, si è fermato sotto il milione, 800 mila per la precisione, ma è il terzo album a far segnare il calo del 90% rispetto al primo, vendendo 200 mila copie, che se nel complesso non è affatto un numero da buttare, nel contesto della loro discografia ha segnato quasi la fine del gruppo dato che, come spiega sempre al giornale inglese un insider, li ha etichettati come un gruppo in una spirale in discesa.

 
E questo è uno dei punti focali del pezzo. Un crollo del genere nelle vendite ti si attacca addosso e ci sono poche possibilità di riprendersi.
 
Il secondo esempio è quello di Duffy, la cantante che dopo aver venduto anche lei un paio di milioni di copie con il primo album, Rockferry, si è chiesta perché dovesse dividere i suoi incassi con tutte quelle persone (casa discografica, manager etc…), quindi successivamente ha deciso di allontanarsene e “ha fatto un brutto album senza essere guidata da professionisti – dice un avvocato dell’industria musicale -. E poi si chiedono perché sia andata così male".
 
E i MGMT, fenomeno indie che irruppe prepotentemente nelle classifiche con un album, Oracular Spectacular, acclamato ovunque (il cui video del sigolo Kids ha, attualmente più di 40 milioni di visualizzazioni su YouTube)? Niente, flop al secondo anche loro, nonostante la pagina Wikipedia sottolinei che l’album ha venduto 66 mila copie solo la prima settimana, non specificando, dice il Guardian, che nei restanti mesi ne abbia aggiunte solo 11 mila al conto totale.

 
E così via, in un elenco impietoso che potete leggere nel pezzo originale e che potrebbe non avere mai fine. Un pezzo che è cartina di tornasole di quello che è, oggi, una gran parte del panorama musicale mondiale e di quanto ci si stanchi presto dei propri idoli, proprio perché gli idoli della settimana scorsa non sono gli stessi di questa settimana, i quali non saranno gli stessi della settimana prossima, in un cannibalismo tanto crudele quanto reale che, però, in parte rispecchia anche il modo attuale di fruire la musica.
 
Le possibilità di produrre, distribuire e far arrivare al potenziale pubblico la musica si è evoluta così come le nuove tecnologie e i nuovi software hanno permesso a tantissimi di fare musica (non per forza buona musica, ma in questo campo la soggettività dovrebbe regnare sovrana) senza aver bisogno di tutta la macchina organizzativa di cui c’era bisogno prima. Un po’ come il self-publishing, così anche la musica, grazie ad iTunes, per esempio, ha permesso di poter arrivare a platee ben più ampie di quella dei nostri amici.
 
Se da una parte ciò ha “democratizzato” la produzione musicale, da un’altra parte ha moltiplicato in maniera esponenziale le possibili next big thing, creando un usa e getta sempre maggiore.
 
In quanti oggi ascoltano un album per intero e per più volte? Sicuramente meno di quanto lo si faceva 10 anni fa. In un intervista a “Rumore” il critico musicale Greil Marcus parla proprio di questo sottolineando come “oggi è molto difficile fare della musica un lavoro perché i dischi non si vendono più, e la maggior parte dei gruppi per sopravvivere sono costretti ad andare sempre in tour, che è l'unica fonte di guadagno di un musicista. Ma una carriera basata solo sui tour rischia di diventare statica e di annoiare la gente. (...) il fatto che il mercato dei dischi sia fallito per me non è un buon segno”.
 
Insomma, c'è qualche possibilità di salvarsi da questa sindrome? Chissà, al massimo si può provare a bussare alla porta dei bestselling Coldplay o degli innovatori - nella musica e nel marketing - Radiohead e sperare che Chris o Tom aprano.
 
Credits Foto: Vasta (via FlickrCC)

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