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Missuri vs Biden: la causaper violazione del primo emendamento verso la Corte Suprema

Dal 2022 l'Amministrazione Biden è sotto processo per aver violato il Primo Emendamento. Ecco un approfondimento che descrive quanto accaduto finora, chi sono i querelanti, chi è il giudice e quali sono le accuse. Si tratta di una causa importante - soprattutto mentre in Europa entra in vigore il Digital Service Act - nata da una serie di vicende che i media italiani hanno ignorato o minimizzato.

C'è una causa federale in corso che vede imputata l'amministrazione Biden con l'accusa di aver violato il Primo Emendamento. Si tratta di Missouri v. Biden (qui un riepilogo tecnico di tutti i passaggi della causa), depositata il 5 maggio 2022 e intentata dagli Stati del Missouri e della Louisiana, contro il governo degli Stati Uniti.

I querelanti sono i procuratori generali dei due Stati, Eric Schmitt (ormai ex procuratore, sostituito da Andrew Bailey) e Jeff Landry, entrambi repubblicani, a cui ad agosto 2022 si sono aggiunti, Jim Hoft, proprietario di The Gateway PunditAaron Kheriaty e Jay Bhattacharya e Martin Kulldorff, due dei tre autori della Great Barrington Declaration, tutti rappresentati dalla New Civil Liberties Alliance (NCLA).

I querelanti ritengono che l'amministrazione si sia impegnata in una campagna di pressione rivolta ai social media, come Twitter, YouTube e Facebook, in cui segnalava loro, in modo regolare, i post che il governo riteneva avrebbero diffuso disinformazione e prodotto esitazione a vaccinarsi.

Da maggio 2022 la causa è proseguita attraverso varie vicende, fino ad oggi quando è ormai diretta verso la corte suprema.

Affidata al giudice Terry A Doughty, ha innanzitutto dovuto superare lo scoglio dell’inammissibilità.

Superato questo la causa è potuta proseguire, finché il 4 luglio (NON a caso il Giorno dell'Indipendenza) il giudice Doughty ha riconosciuto le ragioni dei querelanti al punto da ordinare con un’ingiunzione preliminare all'amministrazione Biden e a vari alti funzionari di non comunicare con le società dei social media in merito a determinati contenuti.

La sentenza di Doughty ha vietato ad agenzie governative come il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani, il Dipartimento di Giustizia, il Dipartimento di Stato, i CDC e l'FBI di comunicare con le società dei social media allo "scopo di sollecitare, incoraggiare, fare pressione o indurre in qualsiasi modo la rimozione, la cancellazione, la soppressione o la riduzione di contenuti contenenti libertà di parola protetta".

Per capire bene questo passaggio bisogna tenere presente che l’uso di ingiunzioni preliminari è raro e possono essere emanate solo rispettando delle condizioni stringenti, tra cui: un’ampia probabilità di successo nella causa sottesa, la probabilità di un danno irreparabile se il tribunale non dovesse concedere l'ingiunzione. Proprio questo è ciò che ha sottolineato Doughty: l’estrema probabilità dei querelanti di vedere riconosciute le proprie ragioni e richieste, e la forte possibilità che proseguissero delle eclatanti violazioni al Primo Emendamento.

In risposta all’ingiunzione di Doughty vi sono stati commenti di segno diverso, da chi è stato estremamente critico a chi ha celebrato una vittoria per la libertà di espressione.

Per parte sua l’amministrazione Biden ha risposto facendo appello al “Quinto Circuito” (i tribunali d'appello della magistratura federale sono suddivisi in Circuiti e in questa causa l’appello era di competenza del Quinto Circuito).

La corte d’appello, composta di tre giudici, si è pronunciata l'8 settembre 2023, contro il governo federale. Il tribunale ha ritenuto che alcune delle comunicazioni tra il governo federale e le società di social media per cercare di contrastare la presunta disinformazione sul covid abbiano "costretto o incoraggiato in modo significativo le piattaforme dei social media a moderare i contenuti", violando così il Primo Emendamento.

Ma la corte ha anche stabilito che l'ingiunzione preliminare di Doughty era troppo ampia, in quanto bloccava anche comunicazioni legalmente consentite tra il governo e i social, e l'ha ristretta sia quanto alle azioni vietate all’amministrazione, sia per quanto riguarda i soggetti oggetto del divieto.

I giudici hanno annullato l'ingiunzione nei confronti di tre convenuti: il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (che Anthony Fauci ha diretto fino alla pensione), il Dipartimento di Stato e la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA). I giudici hanno scritto: "Riteniamo che la corte distrettuale abbia commesso un errore nell'imporre un'ingiunzione a questi altri funzionari. In parole povere, in questa fase non c'erano prove sufficienti per ritenere probabile che questi gruppi abbiano costretto o incoraggiato in modo significativo le piattaforme".

Una questione che ha destato perplessità, perché come ha scritto Matt Taibbi:

Essendo una delle poche persone che ha letto in massa le comunicazioni tra aziende tecnologiche e governo (comprese molte che non sono state rese pubbliche), ho pensato che i comportamenti più spaventosi rivelati finora coinvolgessero, in ordine sparso, l'FBI, la Casa Bianca, il Dipartimento della Sicurezza Nazionale (e la sua sotto unità, la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency o CISA) e il Dipartimento di Stato.

Una parte cruciale del caso sembrava riguardare l'Election Integrity Partnership, istituita dall'Università di Stanford in relazione alla CISA nel 2020, riproposta nel 2022 e, secondo quanto riferito, destinata a riproporsi nel 2024 (a breve).

I giudici non solo hanno stabilito che l’attività della CISA di flaggare i contenuti ritenuti disinformazione, che abbiamo visto in abbondanza nei Twitter Files, era una condotta rientrante nello spettro dei "tentativi di convincimento" e non in quello dei "tentativi di coercizione", ma ha anche rimosso i progetti tipo l'Election Integrity Partnership, dall'ingiunzione.

Questo è importante perché l'Election Integrity Partnership sarà probabilmente un veicolo centrale per il monitoraggio della discussione pubblica riguardante le elezioni del 2024.

Infine la corte ha sospeso l'esecuzione dell'ingiunzione per dieci giorni per consentire la presentazione di eventuali ricorsi e l’amministrazione Biden, nonostante l’ingiunzione fosse stata parzialmente limitata dalla corte d’appello, ha deciso di ricorrere alla Corte Suprema.

Quindi il giudice della Corte Suprema Samuel Alito ha concesso una sospensione temporanea dell'ordinanza fino al 23 settembre con possibili estensioni, per dare a entrambe le parti la possibilità di discutere ulteriormente l'appello.

Le prospettive non sembrano onestamente favorevoli all’amministrazione Biden, considerando che la Corte Costituzionale - pur avendo dimostrato che voti e giudizi non sono scontati e non coincidono sempre e comunque con i desiderata della parte che li ha nominati e sono molto più indipendenti di quanto i profani possano pensare - è attualmente di orientamento prevalentemente conservatore.


Chi sono i querelanti?

Eric Schmitt è un politico e avvocato statunitense, membro del Partito Repubblicano, che nel 2019 divenne il Procuratore Generale del Missouri, ruolo da cui ha lanciato - insieme al procuratore della Louisiana - la causa Missouri vs Biden, sul Primo Emendamento, ma che a inizio 2023 è diventato senatore per il Missouri.

Jeff Landry è un politico e un avvocato americano, Procuratore Generale della Louisiana dal 2016, ruolo da cui ha lanciato - insieme al procuratore del Missouri - la causa Missouri vs Biden, sul Primo Emendamento.

Andrew Bailey è un avvocato e politico americano. Repubblicano, è procuratore generale del Missouri dal gennaio 2023, subentrando ad Eric Schmitt da cui ha ereditato anche la causa Missouri vs Biden.

Jim Hoft è uno scrittore e oratore conservatore con sede a St. Louis, Missouri. È noto per aver fondato, nel 2004, The Gateway Pundit, un blog di notizie di indirizzo conservatore e dai toni populisti.

Aaron Kheriaty è un medico specializzato in psichiatria, autore di tre libri, tra cui il più recente, The New Abnormal: The Rise of the Biomedical Security State (2022). È borsista e direttore del Programma di bioetica e democrazia americana presso il Centro di etica e politiche pubbliche.

Jay Bhattacharya è professore di medicina, economia e politica sanitaria e direttore del Centro di demografia ed economia della salute e dell'invecchiamento all’Università di Stanford. Nonché uno degli autori della Dichiarazione di Great Barrington. Nonché una delle persone blacklistate da Twitter a loro insaputa, come rivelato da Bari Weiss nella seconda uscita dei Twitter Files.

Martin Kulldorf è un biostatistico svedese, professore di medicina presso la Scuola di Medicina di Harvard dal 2003, ma in congedo dal 2023, membro del Comitato consultivo per la sicurezza dei farmaci e la gestione dei rischi della Food and Drug Administration ed ex membro del sottogruppo per la sicurezza dei vaccini del Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione presso i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC). Nonché uno degli autori della Great Barrington Declaration. E anche lui censurato sui social.

New Civil Liberties Alliance che nella causa rappresenta Bhattacharya, Kheriaty, Kulldorf, Hoft, è una associazione legale pro bono che si dedica a promuovere i diritti e le libertà civili con particolare attenzione allo Stato amministrativo. Fondata nel 2017 dal professore della Scuola di Legge della Columbia, Philip Hamburger, la NCLA, con le sue parole:

“protegge le libertà costituzionali dalle minacce sistemiche, in primo luogo dallo Stato amministrativo. In opposizione all'usurpazione dei poteri legislativi e giudiziari da parte dell'amministrazione, difende la libertà degli americani di vivere sotto le leggi statali e federali promulgate dai loro rappresentanti eletti e il loro diritto a che queste leggi siano applicate verso di loro da tribunali con giudici imparziali. La NCLA rivendica il diritto alle giurie e al giusto processo. Esige che i giudici esercitino un giudizio indipendente e imparziale, senza dipendere dalle agenzie amministrative. Preoccupato per il crescente controllo amministrativo sulla libertà di parola, difende la libertà degli americani di informarsi, parlare e pubblicare liberamente, senza essere limitati da approvazioni amministrative preventive e altre restrizioni. Più estesamente, esorta gli americani a riconoscere la minaccia amministrativa e a unirsi a un movimento per le libertà civili contro di essa.”


Chi è il giudice?

Terry Alvin Doughty è un giudice federale nominato da Trump. Dal momento che nel sistema USA i presidenti nominano i giudici federali, ogni giudice federale è un giudice nominato da Obama, da Bush, da Clinton o da Trump. Ma non è che possano nominare chiunque e la nomina deve essere poi confermata dal Congresso. Nel caso del giudice Doughty la sua nomina fu confermata 98 a 0 al senato. E un volta nominati ovviamente i giudici sono tutti uguali, hanno la stessa autorità e gli stessi poteri.


Quali sono le accuse?

L’accusa è di aver violato il Primo Emendamento esercitando una censura per procura attraverso le grandi aziende dei social media, colpendo la discussione sul covid (i vaccini, l’origine del virus e le misure non farmaceutiche come lockdown, mascherine, chiusura delle scuole, etc..), sull’integrità delle elezioni del 2020, sul laptop di Hunter Biden, e in generale l’opposizione al governo e alle agenzie federali.

Nell’ingiunzione preliminare di Doughty si legge:

"I querelanti avranno probabilmente successo nel merito, nello stabilire che il governo ha usato il suo potere per mettere a tacere l'opposizione. L'opposizione ai vaccini per il covid; l'opposizione alle mascherine e ai lockdown; il dissenso riguardo alla teoria della fuga da un laboratorio; l'opposizione alla validità delle elezioni del 2020; l'opposizione alle politiche del Presidente Biden; le dichiarazioni secondo cui la storia del laptop di Hunter Biden era vera; e l'opposizione alle politiche dei funzionari governativi al potere. Tutti sono stati soppressi. È significativo che ogni esempio o categoria di discorso soppresso sia di indirizzo conservatore. Questa soppressione mirata delle idee conservatrici è un perfetto esempio di discriminazione del punto di vista del discorso politico. I cittadini americani hanno il diritto di impegnarsi in un dibattito libero sulle questioni importanti che riguardano il Paese.”

E ancora:

Se le accuse mosse dai querelanti sono vere, il caso che stiamo esaminando comporta probabilmente il più massiccio attacco alla libertà di parola nella storia degli Stati Uniti.

E ancora:

"Una volta che un governo si impegna a mettere a tacere la voce dell'opposizione, ha solo una strada da percorrere, quella di misure sempre più repressive, fino a diventare una fonte di terrore per tutti i suoi cittadini e a creare un Paese in cui tutti vivono nella paura".


Le premesse mancanti

Sul mio canale Substack ho scritto un articolo più approfondito, dettagliando le premesse, il contesto, le ragioni per cui questa causa è molto importante, per gli Stati Uniti e per l'Europa, e analizzando le attitudini degli americani sulla libertà di parola online.

Per avere maggiori elementi vi invito a leggerlo, ma in estrema sintesi questa causa è legata a quanto emerso dai Twitter Files (e altre inchieste simili come i Facebook Files), alle vicende della Great Barrington Declaration, a quanto emerso sul conto di Fauci, alle audizioni che i Repubblicani hanno tenuto alla Commissione sulla “Weaponization” del governo federale, con le deposizioni tra gli altri di Matt Taibbi e Michael Shellenberger, i principali autori dei Twitter Files.

Non per nulla Jay Bhattacharya e Martin Kulldorff sono due dei tre autori originali della GBD.

Purtroppo, i media italiani mainstream non hanno praticamente seguito e raccontato nessuna di queste vicende, dando al massimo una saltuaria copertura ad alcune uscite dei Twitter Files in modo estremamente fazioso e generalmente liquidandoli con un’alzata di spalle (nell'articolo su Substack una serie di esempi su come sono stati tratati i Twitter Files da Il Post, Valigia Blu, Fan Page, Huffinghton Post, Wired, Open e Linkiesta).

Un atteggiamento probabilmente mutuato dai media statunitensi di indirizzo Dem e liberal che hanno, per ovvie ragioni di partigianeria, anch’essi sostenuto che nessuna di queste vicende avesse particolare significato, definendo in particolare i Twitter Files come un “nothingburger” (Salvo eccezioni come questa)

Ecco perché probabilmente al lettore italiano mancano molte delle premesse e del contesto necessari per comprendere questa causa.

E ricordiamoci che il contesto che rende comprensibile l’attualità politica è in gran parte la conoscenza di quanto avvenuto in passato, e che le informazioni mancanti di oggi sono altrettanti pezzi mancanti del contesto di cui avremmo bisogno per capire quanto accadrà domani.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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