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Mario Monti, la stampa ed il complotto della finanza

Non appena Mario Monti ed il suo governo hanno giurato nelle mani del Capo dello Stato, la stampa italiana orfana dello schema che ha dominato la vita pubblica italiana negli ultimi 17 anni (Berlusconismo/antiberlusconismo) si è divisa in tre tronconi.

I sostenitori (Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Sole24ore, I quotidiani cattolici) hanno visto favorevolmente la svolta impressa nella crisi italiana. Hanno salutato con favore l’avvento a Palazzo Chigi del professor Mario Monti, in quanto possibile regista di un nuova fase politica. Apparentemente hanno chiuso un occhio, o meglio, non hanno calcato la mano su possibili contraddizioni e conflitti di interesse di alcuni membri del nuovo esecutivo.

Hanno mantenuto quindi una posizione “aperturista” che più di sudditanza può essere valutata come una temporanea apertura di credito. Se il nuovo esecutivo dovesse disattendere le aspettative molto probabilmente questi giornali si riposizioneranno avendo un atteggiamento meno indulgente, come è successo con il precedente governo.

L’evoluzione della posizione del giornale di Confindustria in rapporto alle promesse berlusconiane in questo caso è paradigmatica. Da aperto sostegno a forte critica nel corso di tre anni. Ai sostenitori convinti si affiancano i detrattori (Il Foglio, Il Giornale, Libero). Questi sin dall’inizio hanno guardato con sospetto il nuovo governo che nasceva con due peccati originali: quello di aver archiviato il berlusconismo e quello di non avere un mandato direttamente popolare. I giornali riconducibili all’area di centro-destra hanno accettato mal volentieri l’entrata in maggioranza del loro partito di riferimento (il Pdl) e attuano una strategia che più di controllo è sintesizabile nel mai passato di moda "si stava meglio quando si stava peggio" (in poche parole rimpiangono il Cavaliere).

La terza categoria è quella dei complottisti (Il Fatto Quotidiano, ed alcune testate online) hanno guardato con sospetto sin dai primi giorni il nuovo esecutivo. Hanno incominciato a fare l’esame del sangue a tutti i membri del nuovo governo cercando possibili scheletri nell’armadio. Spesso hanno trovato qualcosa. Se qualcuno però nell’armadio aveva soltanto camicie e pantaloni, non uno scheletro ma almeno un teschio tra i vestiti lo hanno ficcato di proposito.

Per essi la politica è finita o meglio completamente delegittimata. Il nuovo governo sarebbe il frutto di un complotto delle grandi bache di affari, che con l’aiuto dell’Europa hanno commissariato l’Italia per imporre delle misure di loro gradimento. Per i fautori del “demoliamo qualsiasi cosa di politico nasca nel Palazzo”, i mali dell’Italia non si annidano nei vizi e negli scompensi che si sono cronicizati nel corso di quasi 70 anni di partitocraiza italiana ma nei lunghissimi tentacoli di una banca americana, di nome Goldman Sachs che avrebbe imposto (a chi? A Napolitano? A Berlusconi? A Casini ? O a Bersani? O forse a tutti loro insieme) Mario Monti a Palazzo Chigi.

Per un’eterogenesi dei fini la sopracitata banca americana e il mondo finanziario in generale non sarebbero solamente i mandanti di un potere occulto ed illegittimo ma anche un utilissimo alibi per non portare avanti (o boigottare dalla carta stampata e digitale) quelle riforme indispensabili che il nostro paese ha bisogno da ormai troppi anni. Quindi no alla riforma delle pensioni, no ad una rivisitazione delle norme che regolano (ed ingessano) il mercato del lavoro, no alle liberalizzazioni, no alle dismissioni, no all’abbittemento di tutti i totem che da anni piombano la crescita dell’economica italiana.

Il giudizio sull’operato che in politica contempla anche la mediazione e la concertazione viene sostituito dal gioco di chi la spara più grossa sul governo in carica. Nel più triste continuismo italiano si preferisce divedersi tra fazioni. Guelfi e Ghibellini, Berlusconiani ed Antiberlusconiani, Montiani ed Antimontiani. Quando si comincerà ad applicare l’unica regola del buon senso che esige di attendere i fatti prima di trarre giudizi ed emanare sentenze? Un Premier che inizia il proprio operato riconquistando un dialogo ed una credibilità con l’Europa, riduce il numero dei ministri e dei sottosegretari ha già presentato un buon biglietto da visita.

E costituisce un segno sostanziale di discontinuità con il passato. E' vero che la stampa non può rinunciare al suo ruolo di controllo, abdicando alla sua funzione di watchdog. E’ anche vero però che la stampa – se seria - rappresenta anche essa un potere che indirizza e forma l’opinione pubblica. Per questo dovrebbe rimanere equilibrata ed obiettiva. Non si possono giudicare le persone o ancora peggio un progetto politico affidandosi principalmente a "pre-giudizi" e ad alcune verità pre-costruite, che possono affascinare in un primo momento ma non aiutano a capire.

Il metodo dell’andare a scovare tutti i possibili conflitti di interessi e tutte le interconnessioni delle persone che sono state chiamate a guidare l’Italia giudicando in anticipo i provvedimenti che verrano presi appare naïf. Democrazia significa onestà pubblica ma anche decisione. E’ difficile non trovare in tutte le biografie dei politici non solo italiani ma anche stranieri parti opache e zone d’ombra. Per questo sarebbe meglio giudicare le persone nell’esercizio delle loro funzioni e quindi con i fatti, non con le ricostruzioni fantasiose.

Il Berlusconismo è finito non tanto perché il Cavaliere aveva uno stalliere di nome Mangano o perché faceva parte della P2 ma perché ha fallito come Premier. Se avesse portato dei risultati adesso Silvio Berlusconi sarebbe ancora al suo posto e molto prababilmente ci sarebbe rimasto ancora a lungo. La tattica dello svelare tutti i “poco affidabili” che siederebbero ai punti apicali del nostro sistema scandagliando le loro vite, il loro passato, le loro conoscenze, e le loro professioni facendo in modo che i loro successi ed i propri traguardi personali diventino i tasselli di presunte macchinazioni nazionali ed internazionali può far prendere dei sonori abbagli.

Tra i tanti curricula che sono stavi vagliati dal corso della storia e sembravano insospettabili se ne annoverano due particolarmente significativi. Il primo parlava di un allegro pittore ed il secondo di un maestro elementare diventato direttore di un giornale socialista com l’Avanti. L’innocuo pittore austriaco naturalizzato tedesco è passato alla storia come Adolf Hitler mentre il mansueto maestro di idee socialiste è meglio noto come Benito Mussolini. Non basta il passato per giudicare il presente, prima di indignarci aspettiamo i fatti, sperando che arrivino.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.76) 24 novembre 2011 20:12

    Articolo pienamente condivisibile. La logica lavorativa che guida i giornalisti italiani non è "democrazia e merito" ma "l’appartenenza". Si appartiene a un giornale che a sua volta appartiene a una cordata di potere e bisogna stare in riga. Su Agoravox scrivono giornalisti e aspiranti tali che (con qualche eccezione) "appartengono" alla sinistra riformista o a quella radicale e pur non dipendendo economicamente (lo scrivere qui è puramente gratuito) raramente si sfugge all’ideologia di appartenenza. Sel ha preso posizione contro il nuovo governo e allora tutti a dare addosso a Monti, non conta nulla la drammatica situazione del paese, il rischio che di qui a sei mesi potremmo stare nella ... , ne contano i propositi e le prime mosse del governo. Vendola ha detto no e quindi si procede secondo questo volere.
     La cosa più ridicola è rappresentata dai lamenti dei tre giornali di berlusca che denunciano il deficit di democrazia nell’elezione di questo nuovo governo. I sostenitori di un mancato autocrate che voleva sottomettere tutti e tutto sono diventati i difensori della democrazia.
     I giornalisti italiani fanno ridere! qual’è il loro posto nella classifica internazionale della libertà di stampa?!? se non ricordo male vengono dopo il Camerun

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