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Lo scoop ingenuo di Friedman e quelli che vengono dalla montagna del sapone

Non deve essere facile essere anglosassone ed entrare nel dibattito politico italiano, peraltro dall’interno. Non è poi dovere di Alan Friedman seguire e leggere i giornali italiani in maniera continuativa, semmai dovrebbero essere gli italiani a leggerli.

Il cosiddetto “scoop”, tra milioni di virgolette, riguardante la notizia che Napolitano avrebbe avvisato Monti di un suo possibile incarico nel futuro, quattro mesi prima che il Governo Berlusconi perdesse nei fatti la maggioranza, è una di quelle classiche – per dirla alla Sofri – Notizie Che Non Lo Erano.

In quell’estate, di cui si è parlato tanto nella giornata di ieri, e di cui si parlerà fino alla nausea nei prossimi giorni, si sapeva già tutto. Friedman, forse per quell’ingenuità che spesso affligge gli stranieri quando si mettono a parlare delle strane cose italiane, ha affermato nella puntata di lunedì 10 febbraio a Piazza Pulita, che magari “lo sapevano le élite politiche ed economiche, non i cittadini”. Eppure appena sentita e letta questa “rivelazione”, io – che sicuramente non sono né un’élite economica né politica – ho pensato “embè?”.

Non voglio ricordare il contesto di quel periodo (ci si può rinfrescare la memoria qui), penso sia inutile, voglio solo accennare che in quell’estate del 2011, Mario Monti era già sulla bocca di tutti, e fin dall’anno prima le sue esternazioni attiravano sempre di più l’attenzione per via della – all’epoca ricordo bene – speranza di buona parte del mondo politico (e buona parte degli italiani, ché qui abbiamo la memoria corta, ma ricordo i gradimenti massimi verso Monti), nel vederlo sostituire uno dei peggiori presidenti del consiglio che questo disgraziato paese si sia ritrovato per le mani. Lo invocavano praticamente da ogni parte, e non era un segreto fosse proprio lui l’exit strategy pensata e messa in un cassetto ad attendere da Napolitano, il cui ruolo, checché se ne dica, quasi gli imponeva di pensare ad una alternativa, visto che il Governo fin lì in carica aveva fatto solo danni, e si era impantanato sui problemi personali e giudiziari di Berlusconi da più di un anno, mentre il mondo subiva i più gravi sconvolgimenti economici dal periodo bellico (poi possiamo criticare le scelte politiche, ma questo è un altro discorso).

Ad ogni modo, lo dico per Mentana che l'altroieri ci ha aperto il Tg, bastava una ricerca su internet, senza essere Friedman, e senza essere parte della “Casta”, per evitare di trasformare una recensione di un libro in uno “scoop”. Nel 2012 Monti rispose ad una domanda del Tempo – che chiedeva se era vero che fin dal 2010 (2010, quando il Governo Berlusconi divenne già traballante) parte del mondo politico aveva avanzato l’ipotesi di coinvolgerlo in un governo – con queste parole,

Non smentisco quell’occasione e posso solo dire che nel mondo politico ci furono diverse persone che, intorno a quell’epoca (dal 2010 in poi, ndr), nelle loro previsioni o scenari sul futuro politico italiano di breve termine, mi prospettarono ipotesi che mi coinvolgessero. E io sono sempre stato ad ascoltare pensando che si sbagliassero.

La domanda si riferiva a questa notizia dell’Espresso, in cui tra le altre cose si legge

 D’Alema spiegò al suo interlocutore che il governo Berlusconi si stava avviando alla fine, che la crisi finanziaria, il caso bunga-bunga e il discredito che ne era derivato nel mondo ne avrebbero accelerato la consunzione e che la rottura con Fini sarebbe stato il grimaldello per rompere un equilibrio ventennale. E quindi fine dell’era berlusconiana, nascita di un nuovo governo. Fu a questo punto che D’Alema pose la domanda che gli stava più a cuore: «Sarebbe disponibile ad assumere responsabilità politiche e di governo?».

A questa domanda Monti rispose che sarebbe sì stato disponibile, ma che lui non era un “politico”, e si sarebbe assunto l’onere solo in caso glie lo arrivasse a chiedere il Presidente della Repubblica, che ripetiamo, può proporre al Parlamento chiunque esso voglia, sta poi a questo dare o meno il consenso e la fiducia.

Ma non basta. Nel luglio del 2011 la Stampa titolava “L’investitura di Monti per il dopo Berlusconi“. Luglio 2011. In questo pezzo a firma di Paolo Martini si racconta di come Prodi avesse detto a Monti: «Caro Mario, secondo me Berlusconi non se ne va neppure se lo spingono, ma certo se le cose volgessero al peggio, credo che per te sarebbe difficile tirarti indietro». Nel pezzo poi si legge che

 il professore è refrattario a prendere iniziative in prima persona, ma se la situazione dovesse precipitare e ci fosse una «chiamata generale» il presidente della Bocconi sarebbe disponibile e «interessato» a guidare un esecutivo di unità nazionale.

Il 19 giugno, quindi un mese prima, Monti era già ospite dall’Annunziata, per spiegare la crisi e tutto quanto. Monti non è mai stato un personaggio televisivo, e la sua presenza in uno dei programmi giornalistici più importanti della tv italiana è una cartina tornasole che dovrebbe far ricordare anche ai più smemorati che in quel periodo, Monti, era già pronto ad una eventuale salita a Palazzo Chigi.

A quanto dice poi Bruno Vespa in un tweet, lo “scoop” era già nel suo libro

Posso fare una posticipazione? Nel mio libro del 2012 ‘ Il palazzo e la piazza’ Monti mi disse che già nella seconda parte del 2010…

— Bruno Vespa (@BrunoVespa) 10 Febbraio 2014

….D’Alema, @Pierferdinando Rutelli @VeltroniWalter @EnricoLetta e altre personalità del centrosinistra e del Pdl lo misero in preallarme

— Bruno Vespa (@BrunoVespa) 10 Febbraio 2014

E chi, se non Napolitano, avrebbe avuto il potere – e dal suo punto di vista, pure il dovere – di sondare il terreno per trovare un eventuale sostituto a Berlusconi, cioè quel Presidente del Consiglio che aveva terrorizzato l’Europa con immobilismo e menefreghismo, e che rischiava di far precipitare l’intero continente a causa della propria insipienza? Quel ruolo spettava a Napolitano, che solo un ingenuo potrebbe pensare sul serio essersi messo in contatto con Mario Monti nel novembre del 2011, cioè quando poi gli dette l’incarico.

Le rivelazioni del libro di Friedman ci danno una tutto sommato non necessaria conferma di ciò che si già si sapeva ampiamente, e che allora non aveva suscitato nessun clamore, né indignazione, né accuse di colpi di Stato. Lo stesso Grillo scrisse una lettera a Monti, a novembre, chiedendogli con toni del tutto normali di prendere in visione il programma del Movimento 5 Stelle, per dire. La parte del Pdl che oggi è Forza Italia, votò la fiducia a Monti, e lo applaudì. Eppure erano tutti a conoscenza di come Monti fosse arrivato a Palazzo Chigi.

Friedman ha fatto il suo mestiere, offrendo modo al Corriere della Sera – che da qualche tempo non supporta più il Governo Letta, particolare da non poco, ma questo è un altro discorso – di vendere qualche copia in più, e fin qui non c’è niente di strano. Strana è la reazione del mondo politico e mediatico. Ma forse nemmeno così strana. D’altronde le redazioni italiane vanno ghiottissime per queste cose. C’è tutto ciò che a loro interessa (a parte la notizia): retroscena, interpretazioni, complotti, “polemiche”, “rivelazioni”, e con il giusto tono tra l’indignato ed il sorpreso si possono aprire giornali e telegiornali per giorni.

Penso poi sia normale che Friedman non abbia comprensione degli strani funzionamenti della Costituzione italiana, che permette grandi capacità di manovra autonoma al Capo dello Stato, specie in quei momenti in cui la politica diventa debole. Ma gli italiani dovrebbero saperlo, visto che è da quando è finita la guerra che i governi si decidono in questo modo, dove i passaggi parlamentari sono ratifiche di scelte prese altrove. Tecnicamente si chiama “parlamentarismo a bassa razionalizzazione”, e produce questi risultati contorti. Non è colpa di Napolitano, né di Monti, né di Bruxelles.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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