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Libero mette il teatro in prima pagina per attaccare la Magistratura

Leggere la prima pagina di Libero è un esercizio quotidiano, quasi una preghiera. Stamane l’occhio cade su un articolo: Caselli e Colombo, ecco i pm superstar un processo contro Andreotti e Cavour. Il testo tratta dello spettacolo di Giulio Cavalli – scritto con Giancarlo Caselli - e intitolato Linnocenza di Giulio. Nella sua pièce teatrale l’autore lodigiano racconta, alla sua maniera, la vicende di uno dei personaggi più controversi della recente storia italiana.
 
Libero, così come Giovanardi ieri, ha attaccato lo spettacolo unicamente sulla base degli autori e della tematica trattata ed è interessante notare come il teatro in Italia occupi le prime pagine dei giornali solo in questi casi.
 
La cultura diventa dibattito collettivo non per la sua capacità di farci riflettere su temi più ampi – Cavalli ha messo a lungo in scena l’Apocalisse Rimandata in cui affrontava il tema del nucleare – ma solo quando colpisce interessi particulari. Capita, così, che ci si scagli contro uno spettacolo senza neanche averlo visto – la prima è stasera - e che lo si usi a pretesto di un ennesimo attacco contro la magistratura.
 
Ci troviamo dinanzi un modo di fare giornalismo che piega costantemente le notizie alle necessità della tesi da sostenere. Tanto da arrivare al paradosso di scrivere: “Dovrebbe essere una dimostrazione di teatro civile, in attesa di capire quale sia quello incivile”; in cui si utilizza una frase dello stesso Cavalli per screditarlo. Giulio “odia”, da sempre, la definizione del teatro di narrazione come teatro civile affermando che "che se esiste il teatro civile devo esserci anche un teatreo incivile ma non ho ancora capito quale sia”. E’ ancor più grave questa strumentalizzazione perché si rivolge ad un autore che mette in scena spettacoli che raccontano la nostra contemporaneità, l’Italia che ci circonda: da Linate, al nucleare, passando per la mafia e la ‘ndrangheta. Parlare di Andreotti è quasi un dovere perché, che ci piaccia o no, ha fatto la storia dell’Italia repubblicana e chiedere di non affrontare, di non ricordare di tutte le ombre che ruotano intorno alla figura del Senatore a vita significa fare un torto al nostro paese e alla nostra cultura. Significa chiedere di voltare lo sguardo, occuparsi d’altro. E’ la pretesa di poter decidere di cosa sia giusto parlare e di cosa non.
 
Una pretesa oscurantista che non vuole aiutare a strappar via i veli che coprono la tragica storia italiana recenta ma che, anzi, vuol ricacciare via dalla memoria il nostro passato nella speranza che nulla cambi.

Dovremmo lasciare alla cultura i suoi spazi di espressione e smetterla di usare il nostro patrimonio intellettuale per alimentare una baggare istituzionale della quale, onestamente, non ne sentivamo il bisogno.

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