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La spina e il fiammifero. Perché, comunque, l’Italia rimane avvolta nel buio

Negli ultimi giorni la metafora del fiammifero che si consuma ha preso il posto della spina da staccare.

Nell’uno e nell’altro caso la realtà si presenta, fuor di metafora, assai diversa dalla narrazione: il fiammifero è oramai spento, mentre il rogo divampa e non c’è alcuna spina da staccare, poiché ci troviamo in pieno cortocircuito.

L’allegra euforia che ha contraddistinto i sostenitori di Futuro e Libertà, a seguito delle recenti dichiarazioni di Gianfranco Fini, risulterà temporanea e dovrà presto infrangersi contro la protervia di chi non è - e non sarà - disposto a cedere d’un passo e non ha – e non avrà - intenzione di dichiarare in nessun caso una resa, condizionata o incondizionata.

Parliamo – ancora una volta – di quel personaggio, per sua natura eversivo rispetto alla Costituzione vigente, agli equilibri istituzionali e all’osservanza delle regole.

Quel figuro che, neanche tanto tempo fa, si era – un possibile esempio tra i tanti - esibito nel tentativo di inficiare un risultato elettorale gridando ai brogli.

La moderata reazione, sin qui manifestata, di rigettare la richiesta di dimissioni e riportare la crisi nel suo ambito naturale (il Parlamento) appare ragionevole.

Vedremo se, dietro l’apparenza, si nasconde qualcos’altro.

Questione di ore o giorni.

Il prossimo summit con la Lega renderà chiari gli ulteriori possibili sviluppi e gli orientamenti d’una forza che dovrà (se potrà) dimostrarsi autonoma o si rivelerà come parte di un azionariato in mano altrui.

Per adesso il necessario rimando alla sede parlamentare, che riporta così alla sua autentica natura l’unica forma di Governo contemplata in Italia, è del tutto ragionevole e indiscutibile.

L’esecutivo, infatti, costituisce emanazione permanente del Parlamento e deve ottenere e mantenere la fiducia da parte di quest’ultimo.

Alla base della nostra democrazia esiste un unico potere eletto direttamente dal popolo: il Parlamento. E’ là che si deve determinare il destino del Governo in carica che, se sfiduciato, deve dimettersi.

A questo potere di dare la sfiducia, fa da contrappeso quello del Presidente della Repubblica che detiene la titolarità di sciogliere le Camere, allorquando le stesse non esprimono più una maggioranza in grado di formare e sostenere un Governo e garantirgli stabilità.

La disputa non è ancora definitivamente chiusa.

Insensato farsi prendere da facili ottimismi.

Sino a pochi mesi fa era chiaro a tutti che il finale non poteva contemplare più d’un vincitore: uno deve necessariamente soccombere (politicamente).

Esistono, ora, almeno tre possibili scenari:

  1. il figuro cerca di consumare lo strappo, orientandosi, ancora una volta, verso una deriva populista, appellandosi ad un Presidenzialismo che non c’è e facendo appello al lavacro popolare;
  2. si arriva a più miti consigli e si cerca di allargare la maggioranza con un rimpasto che tenti di includere nell’alveo del governo anche l’UDC;
  3. come risposta alle forzature si creano le condizioni per fronteggiare una situazione di grave crisi istituzionale e costituzionale, che costringerà le forze democratiche ad uscire dalla cautela e dalla reciproca diffidenza, a prendere atto della grave emergenza, garantire l’interesse collettivo e l’unità nazionale.

Il futuro è ancora incerto.

L’Italia rimane ancora avvolta nel buio e si continua a vedere nero.

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