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La riforma elettorale e le nostre scelte. Anche quella di non votarli

I nostri politicanti, dopo essere riusciti a salvare quei valori che più sono vicini al loro cuore, parlo ovviamente di quelli espressi in euro del loro appannaggio mensile, pare si stiamo decidendo ad occuparsi della riforma della legge elettorale; i colloqui tra i partiti sono già avviati e, anche se le loro posizioni si mantengono relativamente distanti, non c'è troppo da dubitare che riusciranno ad arrivare ad un accordo.

A farmelo dire non è solo il fatto che Silvio Berlusconi pare ritenga il PD "un interlocutore" (e cosa dovrebbe considerarlo? Misteri della politica e del politichese) e che questo sia considerato da Fini "un segnale inequivocabile di una certa maturazione" da parte del già Migliore degli Ultimi 150 anni (toccato dalla Grazia in extremis, dunque; siamo proprio un paese visceralmente cattolico), quanto la considerazione che le nostre forze politiche condividono gli stessi interessi fondamentali e che, come dimostra il modo in cui stanno appoggiando il governo Monti, limitandone nei fatti il più possibile l’azione, sappiano benissimo come difenderli.

C’è da scommettere che si dichiareranno tutte favorevoli ai più drastici cambiamenti, che piangeranno pubbliche lacrime (lo stanno già facendo) sulla democrazia violata dall’immondo Porcellum, ma che, rinfacciandosi le responsabilità (noi avremmo fatto, se gli altri avessero voluto), presenteranno all’elettorato dei ritocchi solo cosmetici, o poco più, dell’esistente.

Modificheranno questo o quel dettaglio, s’accapiglieranno su premi di maggioranza e soglie di sbarramento (pare che a Silvio B. piacerebbe trovare un’intesa con Bersani per modificarle, a scapito dei partiti minori e del terzo polo; pare che Umberto B. lo abbia capito e abbia minacciato l’alleato, ex e futuro, di immani sfracelli); spinti dal fuoco solo sopito dell’indignazione popolare, potranno addirittura arrivare a sacrificare un po’ di carne di peones al contenimento dei costi della politica, riducendo il numero dei parlamentari, e forse perfino giungere ad un superamento del bicameralismo perfetto con una ri-definizione del ruolo del Senato, come pare (verbo fondamentale nel paese delle maschere e non solo in politica), a sentire quel che dice Bocchino, vorrebbe Fli.

Potranno arrivare a cambiare molto, ma faranno di tutto per conservare il controllo esercitato dalle segreterie dei partiti sui candidati.

Il termine casta pare abusato e qualcuno dice suoni d’antipolitica (come se non fosse la peggior antipolitica quella che conta centinaia di rappresentanti in parlamento), ma non v’è dubbio che i nostri politicanti rappresentino una corporazione; una tra le più gelose dei propri privilegi, tra l’altro, e certo tra le più chiuse, dove si entra solo per nascita (quanti figli di, anche nel PD) o per cooptazione, e da cui, una volta entrati, non si esce più qualunque cosa accada.

Una situazione che certo il Porcellum ha esacerbato (oltre ad aver consegnato ai capi dei vari partiti, diventati signori della vita e della morte politica dei parlamentari, un potere smisurato, assolutamente extra-costituzionale), ma non troppo diversa da quella che esisteva quando, con le preferenze, era sì possibile agli elettori scegliere il nome del proprio parlamentare, ma solo dentro una rosa di candidati selezionati chissà come e chissà da chi.

Un ritorno a questo è al massimo, quel che ci possiamo attendere da una riforma elettorale votata da questo Parlamento; una liberalizzazione della nostra politica, simile a quella dei taxi e delle farmacie che potrebbero decidere, autonomamente, tassisti e farmacisti. Per convincersene basta ascoltare quel che dice a riguardo in innocente; un tenero fanciullino come Maurizio Gasparri: “Vogliamo ampliare le possibilità di scelta del cittadino”. Ecco, di questo si tratterebbe, di offrire agli elettori una scelta più ampia, ma non certo una libera scelta; al posto di uno Scilipoti, insomma, potremo scegliere tra alcuni di loro accuratamente selezionati per noi dai soliti noti.

Non è certo così che la nostra squalificata e impresentabile classe politica potrà essere rinnovata; non potranno, soprattutto, così cambiare i rapporti tra questa e i cittadini.  

La politica in Italia recupererà il suo senso, ammesso che lo abbia davvero mai avuto, solo se, in qualche punto del processo elettorale, i cittadini potranno esprimersi sul nome dei candidati, prima che su quello dei parlamentari; i partiti smetteranno d’essere proprietà privata, o quasi, di Capi e Segretari solo se ad ogni loro iscritto che lo desideri, quale che siano i suoi rapporti con la direzione, sarà possibile entrare nella competizione elettorale.

Servirebbero, insomma, per liberare la nostra politica dalle consorterie che l’hanno rapita ai cittadini, delle elezioni primarie in tutti i collegi.

Qualcosa che, decida quel che vuole il Parlamento figlio del Porcellum, dovremmo porre come pre-condizione ai partiti perché continuino ad avere il nostro voto.

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