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La riforma elettorale al vaglio dell’aritmetica di base

Le schede valide nelle elezioni politiche del 2008 sono state 36.457.254 (Archivio Elezioni Min. Interno). Immaginiamo che alle prossime elezioni (siano esse nell'autunno o nel 2013) questo numero salga a 37 milioni (e già tale ipotesi è molto generosa, data la presente situazione di estrema sfiducia verso i partiti, vd.Diamanti) e che il partito "Sinceri Democratici" (SD) raccolga sul territorio nazionale il 4,9%, per complessivi 1.813.000 voti (ma non raccolga in alcuna regione più dell'8% dei consensi, vd. subito sotto). In Molise, nel 2008, vi sono stati 197.355 voti validi. Immaginiamo che nelle prossime elezioni rimangano invariati e che il partito "Uniti per il Molise" (UpM) conquisti l'8,1% dei consensi nella regione (15.595 voti) e nessun volto nelle altre regioni.

Negli attuali progetti di riforma elettorale vi è uno "sbarramento per liste che dovrebbe essere del 5% a livello nazionale e dell'8% su scala regionale" (Reuters, leggi anche Boeri, Galasso, Nannicini su LaVoce), quindi Sinceri Democratici con più di 1,8 milioni di voti rimarrebbe fuori dal Parlamento e Uniti per il Molise con meno di 16 mila vi entrerebbe. Il rapporto tra i voti di UpM e SD è di 1 a 113

Lasciando stare il caso a parte della Valle d'Aosta, se ripetiamo l'esperimento mentale con altre regioni (voti validi nel 2013 simili a quelli del 2008, partito a vocazione regionale con l'8,1% dei consensi) otteniamo l'entrata in Parlamento con (arrotondo i valori) 27.000 voti in Basilicata, 46.000 in Umbria, 50.000 in Trentino, 62.000 in Friuli Venezia Giulia, 67.000 in Abruzzo, 80.000 (più o meno qualche centinaio di consensi) in Liguria, Sardegna, Marche e Calabria. Nel caso "più ottimista" delle quattro regioni appena nominate il rapporto tra partito regionale e SD è di 1 a 22,6. Se la riforma elettorale prevedesse, come ho sentito in vari resoconti giornalistici, uno sbarramento dell'8% in tre regioni questo non impedirebbe di entrare in Parlamento con meno di 90.000 voti (somma di Molise, Basilicata e Umbria), con un rapporto tra partito triregionale e SD di 1 a 20.14.

La norma salva Lega o salva potenziale partito del Sud (Micciché ecc.) nella versione estrema dell'otto per cento in una singola regione è un abominio sia per la "logica" che la motiva sia per le clamorose violazioni della volontà popolare (e della logica senza virgolette) che tecnicamente consente, e quindi invita a mettere in atto. Inoltre pure lo sbarramento a tre regioni si presta ad abusi. Se si vogliono a tutti i costi favorire forze regionali di basso impatto nazionale, si dovrebbe comunque prevedere uno sbarramento riguardo al numero di voti in percentuale sul totale. Un partito con l'8% in una regione o tre regioni non può entrare in Parlamento se, su scala nazionale, rappresenta lo 0,04% (caso Molise) o lo 0,24% (caso Molise + Basilicata + Umbria) dei voti e se, nel contempo, la riforma prevede che possa essere escluso un partito che rappresenta il 4,9% dei voti (Sinceri Democratici).

Velocemente sul "correttivo maggioritario", cioè il superpremio del 15% di seggi al primo partito o alla coalizione, tanto caro al Pd. Qui il discorso è tecnicamente complicato e non conosco tutti i dettagli, però non è difficile immaginare una situazione con tre aree politiche principali e una quarta comunque di peso (oggi in Italia: "centro-sinistra", "centro-destra", "grillini", "centro-Grande Centro") che insieme ottengano la quasi totalità dei consensi, e siano molto ravvicinate nelle prime tre posizioni. In percentuale sul numero dei voti potremmo avere: 29%, 28%, 25%, 14%. 

Non credo di dover andare avanti con l'analisi... Come ha scritto LaVoce, la riforma elettorale, trattata qui in due soli punti, pare voler riuscire l'ennesima misura "usa e getta". "Contando sull'incomprensione e sul disinteresse dei cittadini" (Diamanti) viola nella maniera più clamorosa il suo fine ideale, cioè essere uno strumento che favorisca tecnicamente la migliore espressione e rappresentazione della volontà popolare, e viene umiliata a stratagemma per garantire interessi particolaristici (salva la Lega) e a mezzo di indebita pressione per la formazione di alleanze e isolamenti elettorali nel contingente più degradato (superpremio maggioritario).

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