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La morte del berlusconismo e quella della tele-politica

"Ci ha fatto piacere, forse, all’inizio, scoprire che in nostri ministri non fossero meglio di noi; che fossero, anzi, dannatamente simili alla nostra parte peggiore. Era facile immedesimarsi in loro; facilissimo, data la modestia delle loro capacità, immaginare quel che avremmo fatto o detto al loro posto: gli straordinari successi d’ascolto della tele-politica, che facevano del nostro paese un caso unico al mondo, si spiegano anche così".

A quando data la morte del berlusconismo come plausibile progetto politico? Al maggio 2008, quando, agli italiani che gli avevano consegnato la maggioranza parlamentare più ampia della storia repubblicana, Silvio Berlusconi presentò un governo composto, con un paio d'eccezioni, da personaggi più adatti all'avanspettacolo che a sedere in un consiglio dei ministri. Qualcuno, certo ingenuamente e con scarsa memoria storica, poteva aver creduto ad allora che Berlusconi rappresentasse una scorciatoia verso il futuro; la nostra via verso la rivoluzione liberale. Nessuno che avesse conservato un minimo di spirito critico, dopo aver dato una scorsa all'elenco dei ministri del suo Governo, poteva continuare a pensare che potesse essere così. Cosa fosse davvero il berlusconismo, fino a che punto gli interessi di uno sarebbero stati anteposti a quelli della comunità nazionale, fino a che punto si sarebbe cercato di riscrivere la storia del nostro paese, lo si è scoperto definitivamente nei tre anni successivi. Neppure io, anticraxiano della prima ora e quindi antiberlusconiano da sempre, avevo pensato che si sarebbe arrivati a tanto: che il paese sarebbe stato disonorato a quel modo dalla ridicola, tragicamente ridicola, senilità del presidente del Consiglio, prima ancora che mal governato da quei ministi scelti con criteri che nulla avevano a che vedere con la competenza.

In una cosa sola eccellevano quelle maschere grottesche: erano, e la cosa non dovrebbe stupire considerato il mestiere di Berlusconi, perfette per la televisione. Esattamente quel che ci voleva per intrattenere gli italiani che, per un paio d’ore almeno ogni giorno, seguendole mentre s’impegnavano in accesissimi dibattiti su temi della massima irrilevanza, potevano dimenticare i problemi di un vivere sempre più incerto e difficile.

Che cosa poteva esserci di meglio, per svagarsi la sera, che seguire una bella rissa in diretta tra l'onorevole Santanché e qualche suo collega, per solito non molto più preparato di lei, chiamato a rappresentare l'opposizione?

Come perdersi la puntata di Ballarò o, meglio ancora, di Annozero? Con un po’ di fortuna, qualunque discussione sulla “casa di Montecarlo” o sulle conseguenze che un’operazione alla prostata avrebbe avuto sulla virilità di Silvio Berlusconi (sì, siamo scesi, in tutti i sensi, così in basso) poteva dare origine a una vera e propria zuffa, come quelle che la morra o il tressette scatenavano nelle osterie dei nostri nonni, con tanto di insulti, urla e diti medi alzati: di che discutere poi, con colleghi e amici, per tutta la settimana.

Sono stati in fondo vittima del proprio successo, prima ancora che dell’aggravarsi della congiuntura, i gerarchi del berlusconismo. La presenza televisiva di Alien Gasparri, Purezza Bambi Bondi e Mangiafuoco La Russa, per non parlare dei loro colleghi leghisti (ah, la sprezzante, assoluta, ignoranza di Castelli e quella, certo più popolaresca di Calderoli) era tanto assidua che, per loro sfortuna, siamo arrivati a conoscerli.

Ci ha fatto piacere, forse, all’inizio, scoprire che in nostri ministri non fossero meglio di noi; che fossero, anzi, dannatamente simili alla nostra parte peggiore. Volgari come saremmo noi, se non ci trattenessero i freni di una buona educazione che la vita, prima ancora che i nostri genitori, ci ha insegnato; superficiali come siamo noi, ma solo quando facciamo quattro chiacchiere la bar, non certo quando lavoriamo e mettiamo in gioco la nostra professionalità.

Era facile immedesimarsi in loro; facilissimo, data la modestia delle loro capacità, immaginare quel che avremmo fatto o detto al loro posto: gli straordinari successi d’ascolto della tele-politica, che facevano del nostro paese un caso unico al mondo, si spiegano anche così.

Tutti però, anche tra i più sfegatati tifosi di Silvio Berlusconi che possono esservi tra noi, ci siamo anche chiesti: ma perché, lì, ci devono essere loro e domattina a lavorare, e guadagnare appena quel che basta per vivere, devo andarci io? Tanti, la metà degli italiani o giù di lì secondo i sondaggi hanno smesso di credere nella politica e nei partiti; se servono a selezionare una classe dirigente composta gente che non sembra meglio dello zio Carlo, e lo zio Carlo è il cretino della famiglia, allora sono solo prese in giro.

Monti, a differenza di Berlusconi, non vale granché come commediante di varietà, e i suoi ministri, per quel pochissimo che è dato a vedere, sembrano proprio noiosi. Nessuno di loro, però, ci sembra risibile; nessuno di loro ci fa venire la tentazione di prenderlo sottobraccio per spiegargli i rudimenti dell’economia, parla l’italiano talmente male da far dubitare che abbia completato le scuole elementari o usa modi tali da farci pensare che abbia completato la propria istruzione in qualche bettola d’angiporto, se non proprio nelle patrie galere.

Hanno tutta l’aria, Monti ed i suoi ministri, d’essere competenti; di saperne più della maggior parte di noi, nei campi in cui sono stati chiamati ad intervenire. Nulla ci garantisce che non commettano errori, ma, esattamente come quando ci rivolgiamo ad un medico o ad un idraulico che sappiano fare il proprio lavoro, non dobbiamo lottare contro la tentazione di cacciarli a pedate per prendere il loro posto. Non sono meglio di noi, ma, perlomeno, assomigliano parecchio al meglio di noi; rappresentano, per tanto, quello che una classe dirigente dovrebbe sempre essere.

Una classe dirigente come quella, magari con altre convinzioni ideologiche e un’altra visione della società, che i partiti dovranno mettersi in condizione di proporre agli elettori, se vorranno tornare a godere della loro fiducia.

Per i protagonisti della tele-politica del nostro recente passato, per fenomeni da baraccone e ballerine, accada quel che accada, è già iniziato l’oblio.

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