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La crisi del debito pubblico come opportunità

Le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere legate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa eguaglianza di opportunità.

(Secondo principio di giustizia - seconda parte di John Rawls)

Noi cittadini siamo sempre in trepidante attesa di conoscere le iniziative del Governo in risposta alle difficoltà di sviluppo dell’economia del Paese. Sarebbe auspicabile che esse fossero assunte adottando le più ampie vedute, ma il continuo cicaleccio sui media intorno alla mancanza di risorse finanziarie da adoperare non depone proprio bene.

E’ come se, dinanzi ad una macchina che non cammina, ci si preoccupasse solamente di rifornirla di carburante, mentre il problema del suo mal funzionamento è altrove, addirittura nel suo stesso motore.

Sarebbe già meglio se il governo si preoccupasse di quelle riforme strutturali necessarie per rimuovere gli attuali impedimenti all’attività economica, ma l’ideale sarebbe proprio se si preoccupasse delle riforme strutturali necessarie per il buon funzionamento delle Istituzioni di sfondo del Paese. Questo per il buon funzionamento anche dell’economia che ne deriverebbe immancabilmente.

Anzi, la crisi del debito pubblico potrebbe essere utilizzata proprio per attuare quelle profonde riforme delle Istituzioni di sfondo, così difficili in tempi normali.

Ad esempio si potrebbe cominciare a considerare la Costituzione Repubblicana riformabile e modificabile; e ciò non solo per adattarla alle evoluzioni sociali, ma anche per liberarla dagli inevitabili legacci alla precedente era monarchica.

Con la Costituzione Repubblicana siamo passati da una Monarchia illuminata ad una repubblica democratica e per questo il Paese è molto legato ad essa; ma ciò non toglie che, in alcuni punti, essa possa e debba essere riveduta.

Ad esempio per la partecipazione alla politica, per la quale offre ampi argomenti di riflessione il secondo principio di giustizia di Rawls, in epigrafe citato e datato 1971. Solitamente nel leggerlo l’attenzione si volge all’eguaglianza di opportunità, che esclude inesorabilmente l’attuale legge elettorale delle Camere, volgarmente denominata porcellum .

In effetti, però, è bene arrestarsi al termine aperte a tutti, perché le Istituzioni di sfondo sono attualmente conformate in modo tale da rendere estremamente arduo alle nuove generazioni la libera partecipazione in politica. Questo accadeva nella prima repubblica e lo stesso accade nella seconda.

Non si dice nulla di particolare nell’affermare che le Istituzioni di sfondo della nostra comunità nazionale non hanno nelle loro procedure i meccanismi perché si attui con continuità il necessario rinnovamento della loro dirigenza; e che coloro che hanno la ventura di entrare a far parte di questa dirigenza ne approfittano per cercare di restare a cavallo per il maggior tempo possibile, inibendo alle nuove generazioni l’avvicendamento. Insomma non amano la nostra collettività, ma amano piuttosto se stessi e, di scendere da cavallo, proprio non vogliono sentirne parlare.

L’esempio più immediato è quello del Premier. Si è introdotta una legge elettorale con l’elezione diretta di fatto del premier senza introdurre al contempo una normativa che limitasse il numero di rielezioni, presente, ad esempio, negli Stati Uniti; ed oggi abbiamo un premier, sempre lo stesso da tanto lungo tempo, che non ha proprio nulla di nuovo da dire in politica, al punto di preferire di dedicarsi a certe altre pratiche che dire discutibili è un eufemismo.

Questo principio dell’avvicendamento dovrebbe diventare un “principio guida” sociale: ogni carica sociale dovrebbe avere una durata di mandato sufficiente a consentire a chi la occupa di svolgere il proprio programma politico, ma dovrebbe anche essere consentito un numero limitato di rielezioni possibili per dar modo alla generazione successiva di avvicendarsi.

E’ questo il rimedio da adottare. Esso è elementare. La difficoltà consiste nel convincere i tanti che occupano la scena politica ed istituzionale italiana ad accettare che anche per loro deve venire il momento di scendere da cavallo. Su questo punto dovrebbe parlar chiaro la Costituzione.

Chissà se quanto sopra è di grande utilità per far camminare il Paese, economia compresa.

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