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La Questione Maschile come questione politica (seconda parte)

Qui la prima parte.

Un ruolo tutt’altro che secondario per l’affermarsi di questa prospettiva è stato svolto, inoltre, dal rapido sviluppo delle discipline psicologiche sin dagli inizi del ’900.

L’idea che la psiche fosse un terreno di indagine scientifica come un altro, passibile di interventi e tecniche di manipolazione tali da indurre a “cambiamenti” delle condizioni soggettive, rappresentava il fulcro concettuale di discipline sperimentali come il comportamentismo (Watson, Skinner) e il successivo cognitivismo, mentre anche la psicologia sociale avviava ricerce specifiche sul “conformismo” e sulle strategie di promozione del consenso sociale.

La psicologia individuale e collettiva diviene così, il laboratorio nel quale sperimentare nuove forme di controllo sociale, in sostituzione di quelle tradizionalmente legate ad ideali di moralità religiosa.

La medicalizzazione del disagio personale e del dissenso politico (che troverà nelle repressioni psichiatriche del comunismo sovietico la sua espressione più conclamata) si fonda sulla concezione della malleabilità della psiche umana; sul postulato di un rapporto tra individuo e società nel quale l’uno dipende, si forma e si definisce, in funzione dei condizionamenti della seconda.

Non è più l’individuo a fare la società – ed a trasformarla politicamente in funzione dei propri bisogni - ma è la società a fare l’individuo ed a trasformarlo, se del caso, in funzione delle concezioni dominanti e delle esigenze di ingegneria sociale del momento storico.

Il positivismo scientifico in questi settori della conoscenza, unito all’analogo entusiastico spirito positivistico riguardo alle possibilità umane di controllare la natura per renderla conforme ai propri bisogni, induce alla negazione di una “natura umana” definita e stabile, quale quella che era stata teorizzata dal contrattualismo giusnaturalistico di Hobbes (bellum omnium contra omnes), di Locke e, in modi diversi, da J.J. Rousseau.

Nonostante le molteplici e importanti differenze di pensiero esistenti tra questi autori, è ad essi che dobbiamo il perfezionamento di quella concezione contrattualistica che postula la preesistenza di una natura umana alla società e, quindi, alla cultura cui essa dà vita e di una lex naturalis che precede e su cui si fonda ogni ordinamento giuridico che non voglia essere semplice e neutro arbitrato dei molteplici motivi di dissidio sociale.

Natura preesiste quindi a cultura ed è la seconda a dipendere dalla prima per la sua formazione, per la sua possibilità di vita e per i modi del suo stesso evolversi.

Per tirare qualche somma da questo prolungato, seppur sommario ed incompleto, excursus alla ricerca delle nostre risposte di senso, si può dire che esistono, quindi, al fondo di tutte le infinite implicazioni possibili di merito specifico, due diverse e sostanziali visioni della società e della vita che, dal sessantotto in avanti, si fronteggiano sul proscenio di quel teatro della cultura che sta diventando il luogo prevalente del conflitto politico.

Da un lato il c.d. fronte progressista, che annovera tra le proprie fila il positivismo giuridico, lo scientismo, il laicismo, l’egualitarismo utopico, il solidarismo, il culturalismo, il femminismo, l’ambientalismo e il libertarismo radicale.

Paradigma costitutivo di questo fronte ideologico popolato di "ismi" di ogni sorta è che l’individuo e la sua identità personale possono, anzi, devono essere costruiti con operazioni di ingegneria sociale decise dall’alto; stuoli di specialisti di ognuna di queste discipline si affannano nell’elaborazione degli strumenti educativi o rieducativi adatti ad uniformare l’individuo ad un ideale astratto di civismo pubblico e privato.

Tramontata, per condanna della storia, la possibilità di rivoluzionare la società attraverso il sovvertimento dei rapporti di produzione economica, la strada del cambiamento utopico passa, ora, attraverso il costante tentativo di una ri-evangelizzazione laica e progressista delle coscienze, che sostituisca la prospettiva di senso religiosa e morale su cui l’esistente è stato fondato e che ponga le premesse per un nuovo universalismo su basi politiche.

Così come la natura può essere forzata con la modificazione genetica del mais, con la clonazione delle pecore e con la fecondazione assistita, anche la natura umana sembra potersi modificare ad libitum, secondo un programma politico che ha per obiettivo il più banale e prevedibile controllo sociale di sempre: un nuovo conformismo ottenuto con la propaganda ideologica di insopportabili ingiustizie sociali, di catastrofi imminenti cui porre riparo, con la medicalizzazione educativa dei rapporti umani.

Una nuova antropologia umana elaborata a tavolino, in sintesi, cui spetta solo uniformarsi, in base ad un universalismo politicamente costruito che costituisce, per definizione, una contraddizione in termini.

Tutto ciò che sa di autenticità naturale e spontanea deve essere visto con sospetto, vagliato sui parametri dell’etica politicamente corretta e sottoposto al conseguente giudizio di idoneità o inidoneità sociale; il formalismo esteriore dei modi e delle apparenze diventa, così, sostanza della vita.

Le psicologie adattive faranno tutto il resto.

Cosa si contrappone a questo progetto di società sovvertita nei suoi valori essenziali della responsabilità sociale, della continuità con il passato, della libertà di pensiero e d’azione, dell’etica collettiva condivisa e del rispetto della natura umana?

Per quanto si possa ricercare in materia, l’unico argine che si rinviene a questa deriva ideologica, inaugurata e mossa da quella sinistra che ritiene di possedere il monopolio esclusivo dell’idea di civiltà e progresso, è la cultura Cattolica; ossia, esattamente quella su cui, non a caso, si abbattono ormai da decenni gli strali delle politiche di sinistra e dell’intellighenzia morale del fronte progressista.

Un malinteso concetto di modernizzazione della società, a cui si abbeverano anche alcune culture politiche liberali e di centrodestra, inquina la visuale di coloro che sembrano non accorgersi della rivoluzione silenziosa che sta manomettendo l’autenticità dei rapporti sociali, il rapporto tra i sessi, la tenuta etico-morale del nostro futuro, la libertà soggettiva e le nostre stesse identità individuali e sociali.

Non si tratta di negare validità ad alcune conquiste della c.d. "modernità", innegabili e vere; ma di negare questa validità quando essa intende affermare sé stessa mediante la rottura traumatica e rivoluzionaria con il passato - da cui tutti proveniamo e da cui tutti traiamo il nostro senso d’identità - e la sostituzione violenta di un conformismo morale che, bene o male, ha sostenuto e trainato il concetto stesso di civiltà nei secoli, con un neo-conformismo di segno diametralmente opposto, che appare finalizzato a riformulare la dimensione storica dell’esperienza umana in un’eterna, immutabile prigionia del presente da consumarsi il più in fretta possibile e senza troppe domande.

Illuminanti, a questo riguardo, le parole di Papa Benedetto XVI°, il quale dice:"....La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica....." (suggerisco, peraltro, la lettura integrale delle parole del Pontefice, al link "lex naturalis", per un’adeguata comprensione).

Giunto alla fine di questo itinerario concettuale incompleto, approssimato e inevitabilmente sommario, nonostante tutto, si può tentare, quindi, di dare una risposta alle domande iniziali e formulare una definizione della QM nei suoi aspetti propriamente politici.

Il femminismo non ha - e non avrebbe potuto - modificare in modo così profondo il "sentire" generale se non fosse stato all’interno di una prospettiva politica con pretese moralizzatrici (la sinistra progressista) più ampia, i cui obiettivi convergevano tanto profondamente nell’idea globale di una rifondazione generale dei rapporti sociali nei termini detti sinora e nella prospettiva utopica di un mondo reso artificiosamente perfetto dal governo delle coscienze (piuttosto che dal governo delle istituzioni).

Per conseguire questi obiettivi strategici miranti alla formazione di un cittadino narcotizzato sui reali contenuti della rivoluzione culturale in atto, ma fedelmente prono alle nuove parole d’ordine generali, il fronte progressista non doveva fare altro che mistificare la lettura dei processi storici effettivi; demonizzare tutto ciò che rappresentava un "modello di sviluppo" capace di produrre benessere materiale in misura infinitamente superiore a quello mai visto, sinora, nella storia umana; attribuirgli ogni sorta di nefandezza umana ignorandone deliberatamente gli aspetti luminosi, creativi, liberatori e satisfattivi; negare ogni validità e positività al passato ed ai suoi valori portanti ma, soprattutto, negare ogni dignità, valore e riconoscenza al suo principale ed indiscusso protagonista: l’uomo, decaduto nel frasario corrente, in modo assai sintomatico, alla qualifica denigratoria e diminutiva di "maschietto".

Da quanto detto sinora si può far discendere - come considerazione conclusiva - che la QM (questione maschile) come questione politica non può e non potrà mai essere, per definizione, una questione di sinistra.

Essa consiste, per venire alla definizione inizialmente ricercata, nel problema che si pone oggi all’uomo medio (che se ne renda consapevole) di difendersi dall’omologazione culturale che lo vorrebbe "cambiare" per renderlo più adatto alla realizzazione di un’artificiosa società degli uguali indifferenziati, manipolarne l’intima natura per addomesticarne gli istinti con una sorta di violenta lobotomia culturalmente indotta e renderlo astrattamente funzionale ad una realtà femminilizzata in ogni suo aspetto; realtà che è espressione di un moralismo utopico di condanna del passato e di tutto ciò che in esso è contenuto al solo scopo del suo esatto ribaltamento.

Dal maschile al femminile, senza ritorno.

In questa presa di coscienza dei rischi che lo minacciano in modo così profondo, tanto da pregiudicarne la libertà di pensiero, di azione e di affermazione sociale, l’uomo medio sa che troverà un solo alleato al suo fianco, volente o nolente; quella cultura morale che preserva la dimensione naturale dell’individuo, dei rapporti umani e della vita - elevandola a valore sacro ed intangibile - oltre ad essere l’unica fonte legittima di una visione universale dell’uomo, offerta dalle religioni e dal Cattolicesimo in modo particolare.

L’alleanza con questa prospettiva di senso filosofico ed esistenziale non è, peraltro, strumentale alla propria semplice salvaguardia soggettiva ma alla stessa prospettiva di senso generale che ha unito sino a ieri gli uomini alle donne, facendone due parti di un tutto necessario, fonte a volte di felicità ed infelicità personali, ma comunque sempre fecondo perché dato e consacrato per la perpetuazione della vita. 

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