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La Libia della nostra vergogna

"I destini internazionali del Paese, come se non avessimo appreso la lezione del fascismo, sono tornati ad essere legati al “fiuto” di un singolo e, pare impossibile, per di più di un singolo per moltissimi versi peggiore del predecessore".

Per la seconda volta in un secolo abbiamo affidato la nostra politica estera alle improvvisazioni di un istrione.

Molti mi criticano quando traccio con decisione il parallelo tra Berlusconi e Mussolini; io ritengo, ogni giorno di più che, al netto del contesto storico, il primo non sia affatto meglio del secondo.

Serve forse più immoralità, più voglia teatrante di riflettori, più superficialità di giudizio, per essere apertamente amici dei Gheddafi nostri contemporanei, di quella che serviva allora, parlo degli anni ‘30, ad essere amici di Hitler.

Badate: non dico che Gheddafi sia peggio di Hitler - anche se fare classifiche tra dittatori in base alla conta dei morti mi è sempre parso orribile -; affermo che Adolf Hitler fosse, per la sensibilità europea di allora e per quanto di lui allora si sapeva, tanto accettabile quanto Gheddafi oggi e probabilmente molto di più.

Berlusconi non ci trascinerà in una guerra mondiale e, lo spero, non terminerà la propria carriera politica contro un cancello di Giulino di Mezzegra, ma i danni che sta facendo al buon nome dell’Italia sono quasi altrettanto gravi di quelli provocati dal suo predecessore.

Per Berlusconi, come spesso fu per Mussolini, la politica estera è prima di tutto un palcoscenico dove soddisfare la proprie smanie di protagonismo: il teatro dove ottenere, con poco prezzo, dei successi d’immagine da sfruttare poi presso le masse italiane; un palcoscenico sul quale, esattamente come Mussolini, il Presidente del Consiglio si muove spesso d’istinto, prestando poco o nessun ascolto alle voci dei diplomatici e degli altri collaboratori.

I destini internazionali del Paese, come se non avessimo appreso la lezione del fascismo, sono tornati ad essere legati al “fiuto” di un singolo e, pare impossibile, per di più di un singolo per molti versi peggiore del predecessore.

Peggiori sono le motivazioni, prima di tutto, dell’agire di Silvio Berlusconi: mai nessuno, neppure i nemici giurati del fascismo, ha mai dubitato che Mussolini cercasse di operare per quello che lui intendeva essere il bene del Paese; quasi nessuno, neppure tra i suoi sostenitori, pensa che Berlusconi agisca in politica estera senza tenere d’occhio gli interessi propri e del suo gruppo di aziende.

Inferiori sono pure le capacità de Berlusconi rispetto al quello che pare sempre di più il suo modello.

Mussolini si erse a grande mediatore tra le potenze europee della sua epoca, e riuscì ad esserlo, perlomeno fino a Monaco, con un certo successo.

Berlusconi ha provato ad imitarlo, con molta minore fortuna, finendo per coprire di ridicolo se stesso ed il paese, con iniziative velleitarie che solo la propaganda dei suo scribacchini possono azzardarsi a definire successi; le considerazioni dei diplomatici americani nei suoi confronti, appena rivelate, sono in questo senso illuminanti.

Di simile, tra Mussolini e Berlusconi, vi è l’esagerata considerazione di sé e la sottovalutazione delle difficoltà e della portata delle scelte di politica estera.

Berlusconi è convinto di poter fare all’estero quanto fa in Italia; di poter dire e contraddire, affermare e smentire, senza mia essere chiamato a pagare il prezzo dei propri comportamenti. Non ha ancora capito che vendere spazi pubblicitari al signor Brambilla di turno non è la stessa cosa che trattare con un governo straniero e, forte della propria esperienza di venditore, pensa di essere infinitamente più scaltro dei suoi interlocutori esteri.

Per questo, più che per i suoi comportamenti immaturi, buffoneschi, irrita tutti, tranne pochi.

Il suo modo di comunicare, da padrone del vapore, può andare bene solo a chi abbia, dello stato e della politica, la sua stessa visione proprietaria; quei capi di governo che, come lui pensa sia il proprio caso, possiedono il proprio paese e che sono anche quelli più adatti a diventare suoi soci d’affari.

Il nostro atteggiamento ambivalente che confronti di quel che sta accadendo in Libia è una vergogna nazionale; l’ultimo chiodo nella bara di Berlusconi come, risibile, statista.

Il fatto che vi sia la minima esitazione nel condannare nel modo più netto il comportamento del regime libico, e che questo non desti scandalo anche a destra, tra gli stessi elettori del PdL, è la dimostrazione lampante di quanto in basso siamo caduti come collettività nazionale; di quanto sia spessa la cappa di melma che il berlusconismo ha spalmato sulla nostro società e, in un processo di azione e retroazione, quanto sia fetido il letame morale in cui il berlusconismo affonda le proprie radici.

L’Italia con Berlusconi appare già un paese ridicolo; non è molto lontana dall’apparire un paese indegno.

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