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La Casa Bianca e il caso YouTube

La strategia multimediale della Casa Bianca ha riscosso un successo planetario, sebbene il sito della White House stenti a decollare davvero: gestione dei contenuti macchinosa, limiti tecnici nell’invio di e-mail o sms, e adesso anche i problemi di privacy legati a Youtube. Ma nonostante tutto, l’approccio risoluto a stelle e strisce continua a farci sospirare, rinchiusi in un microcosmo digitale fiocamente tricolore.
In un recente articolo ho tentato di riportare lo sbilenco parallelismo tra l’uso di Internet, e in particolare di Youtube, da parte della Casa Bianca e della nostra Camera dei Deputati. Il tema è stato poi allargato da un altro intervento, sempre sulle pagine di AgoraVox, in cui si sottolineava puntualmente come proprio l’interazione con l’utente fosse paradossalmente bandita dal canale Youtube appena inaugurato dalla Camera, essendo impedita a questi ultimi la possibilità di votare e commentare i contributi fruiti. Certo una simile scelta fa sorridere, anche se amaramente, ma è giusto sottolineare come anche l’amministrazione Obama, sebbene in modo meno spudorato, abbia limitato il dialogo con i propri cittadini ad un massimo di 500 battute (circa la metà di questo paragrafo), francamente un po’ poche se si desidera dibattere su disegni di legge lunghi ed articolati.
 
Ad ogni modo, una più attenta ricerca sul tema mi ha consentito solo in questi giorni di apprendere un interessante dettaglio: la Casa Bianca non sta più su YouTube.
 
Le agenzie di stampa italiane hanno battuto la notizia solo il 3 marzo, ma negli USA il dibattito era già in corso dai giorni immediatamente successivi alla nomina ufficiale del Presidente Obama e, contestualmente, al varo del rinnovato sito della Casa Bianca.
 
Il 23 gennaio, infatti, si leggeva sul sito dell’Electronic Frontier Foundation un articolo riguardo il dietro front dell’amministrazione Obama sull’uso della piattaforma di proprietà della Google come strumento di comunicazione con i cittadini. Complimentandosi con i tecnici della Casa Bianca per il celere intervento correttivo, l’EFF spiegava anche il perché delle inquietudini dei netizen statunitensi che avevano sollevato il problema spingendo lo staff presidenziale ad intervenire prontamente.
 
In buona sostanza, alcuni strumenti tecnici correlati a Youtube (i cookies) consentono di tracciare il traffico Web degli utenti, violando le normative in vigore sulla privacy e sulla tracciabilità del traffico su tutti i siti federali. A suonare l’allarme è stato il blogger di CNET Chris Soghoian in un post del 22 gennaio, in cui faceva notare come i cookies di Youtube si attivassero anche se un utente di fatto non scegliesse di guardare il video. Solo 12 ore dopo, la Casa Bianca aveva corretto il tiro adottando un sistema di content delivery chiamato Akamai grazie al quale i cookies si attivano solo nel momento in cui si avvia la visualizzazione del video. Il problema è tuttora lontano da una soluzione definitiva, ma un intervento così tempestivo lascerebbe ben sperare (sebbene i dubbi circa una eccessiva penetrazione del colosso di Mountain View nell’amministrazione U.S.A. tuttora serpeggino negli States).
 
Il repentino cambio di direzione dell’amministrazione Obama per molti è suonato come un’implicita ammissione di colpa, anche se dalla Casa Bianca fanno sapere che si tratta solo di prove tecniche per misurare le proprie capacità interne nello sviluppare sistemi “fatti in casa”. Di fatto, stabilire da che parte stia la verità non è cosa semplice, ma le contromisure immediate dello staff multimedia di Obama lasciano presagire quantomeno la volontà di intervenire nella giusta direzione: difendere la privacy, la libertà e la sicurezza dei propri utenti, senza necessariamente schedarli tutti, come piace tanto a noi

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