L’abito non fa il gangster. La fotografia contro gli stereotipi
Chiunque può essere vittima di pregiudizi. Al contempo, tutti noi usiamo i pregiudizi e gli stereotipi per interpretare la realtà più rapidamente, per darle un significato, per sostenere un sistema di credenze precostituito. La stereotipizzazione è, prima di tutto, un processo mentale che agisce a livello cognitivo per semplificare l'esistente e renderlo maggiormente controllabile.
Lo stereotipo, però, a livello sociale, contribuisce a rafforzare sistemi di dominio e logiche di marginalizzazione. Spesso viene utilizzato con strumento cosciente per raggiungere un obiettivo e produrre interpretazioni strumentali ai propri scopi. La politica fornisce molti esempi, in questo senso.
Il fatto di considerare ogni rom come un ladro potenziale o di individuare nei migranti i portatori di malattie e criminalità risponde sia al processo mentale di semplificazione che alla necessità di mantenere alcune categorie sociali in un luogo alieno e subalterno.
Queste dinamiche sono ancora più forti in un paese come gli Stati Uniti, ancora oggi solcato da spaccature sul piano etnico e culturale. Nel paese del primo Presidente african-american, le minoranze sono ancora relegate, nel loro complesso, a dimensioni di subalternità, nonostante la progressiva erosione del vantaggio numerico in favore dell'America Wasp, bianca, anglosassone e protestante.
Joel Parés, ex-marine convertito alla fotografia, ha deciso di tradurre in immagini la distanza che spesso persiste tra lo stereotipo e la realtà umana. Non tutti i sudamericani svolgono lavori umili, non tutti i neri vanno in giro come dei gangster, non tutti i musulmani sono degli estremisti, non tutti i protestanti del sud sono bifolchi fondamentalisti. Anche se continuano ad essere immaginati in questo modo, dagli altri. E non è solo una questione di origini e di colore della pelle.
“Molti di noi, sbagliando, giudicano l'altro - scrive Parés - in base all'etnia, alla sua professione, ai suoi orientamenti sessuali. Lo scopo di queste fotografie è di farci aprire gli occhi così da pensare due volte, prima di giudicare, perché tutti giudichiamo, anche se proviamo a non farlo".
Jefferson Moon, laureato ad Harvard
Sahar Shaleem, infermiera di New York
Jack Johnson, pastore e missionario
Edgar Gonzalez, miliardario
Sammie Lee, studente di Stanford
Jacob Williams, veterano della guerra in Iraq
Jane Nguyen, vedova e madre di tre figli
Ben Alvarez, fondatore di un programma sociale per la famiglia
Joseph Messer, inventore di app per IPhone
Alexander Huffman, famoso pittore
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