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 Home page > Attualità > Scienza e Tecnologia > L’informazione italiana sul digitale: una vergogna!

L’informazione italiana sul digitale: una vergogna!

Living and Learning with New Media, questo il titolo del nuovo studio diffuso l’altro giorno dalla MacArthur Foundation e curato dalla University of California a Berkeley. Se ne evince, sintentizzando al massimo, che gli adolescenti vanno sviluppando online importanti competenze sociali e tecniche – spesso in modi che gli adulti non capiscano o non valorizzano. News importante, trattandosi della maggiore ricerca USA sull’uso dei media digitali da parte degli giovani. Quindi prontamente rilanciata da parecchie testate tradizionali e online, come conferma una veloce ricerca su Google News: 45 articoli nel mondo anglofono incluse BBC, ZDNet, LA Times, un ampio report sul New York Times con intervista a Mimi Ito, poi rilanciato da CNET e altri siti. Apparsa finanche su quotidiani minori, tipo la seconda pagina del Santa Fe New Mexican, venerdì scorso.

E in Italia? Una ricerca su Wikio rimanda alla bellezza di due link due: uno su Punto Informatico e uno al blog di Fabio Giglietto, a cui va aggiunto questo post di Juan Carlos De Martin, mentre il sottoscritto sta preparando un pezzo ragionato per Apogeonline.

C’è forse da stupirsi di simile silenzio? Nonostante i molti anni trascorsi dalla genesi della Rete, per la stragrande maggioranza dei giornalisti (o presunti tali) nostrani urge piuttosto scrivere di nefandezze o gossip. Spingere le mode e i gadget del momento. Cosa c’è di più facile allora che sbattere variamente Facebook in prima pagina pressochè ogni dì? Preferendo alle necessità di spunti e riflessioni articolate, un approccio quasi sempre scandalistico, fuori contesto, inaccurato. L’ultimo fulgido esempio arriva oggi da Repubblica.it, tradizionalmente in prima fila in questo perenne filone di disinformazione.

Dove stavolta si estrapola la battuta di una delle ricercatrici del suddetto studio USA, dana boyd, la quale da tempo analizza e illustra la complessità dei rapporti sociali su Facebook e dintorni per farle dire, miracolo!, tutto l’opposto:”i social network non solo favoriscono l’ansia ma disabituano alla vita reale”. Certo, il pezzullo segue la classica tesi preconfezionata, ma è vergognoso arrivare a simili stravolgimenti delle opinioni altrui e delle situazioni reali. Lo spiega ottimamente Giovanni Boccia Artieri in un post fresco fresco: “…interessante come il pensiero possa essere utilizzato da un giornalismo cut&paste in modi funzionali all’approccio sotteso al pezzo, fingendo una neutralità del giornalista che scrive”.

Eppure non è la prima nè, c’è da scommetterlo, sarà l’ultima volta che capita. E, più importante, se ne sarà mica accorto qualcuno in Italia? E chissà se avremo un minimo di reazione, nella blogosfera, sui giornali e al bar. Per mettere a nudo simili comportamenti vergognosi. Contro la pervicace assenza di senso etico e professionale. Potrebbe rivelarsi un piccolo (ma indicativo) contributo collettivo per respirare un’aria migliore, dentro e fuori la Rete.

Commenti all'articolo

  • Di Vincenzo Ferrara (---.---.---.254) 24 novembre 2008 10:39

    Gentile Bernardo. L’argomento che tratta è molto interessante e capace di farsi leggere fino in fondo.
    Scrivere su/ con/per il digitale è un’esperienza estrema perché sul web ( per fortuna) scrivono tutti, anche i non patentati dall’ORDINE. Lei nel suo articolo si rivolge ai giornalisti "patentati" e io le racconto un aneddoto: correva l’anno 1998, ero inviato di una rivista culturale che mi sfruttava per raggiungere il famoso numero di articoli valido perché l’ORDINE mi certificasse qaule giornalista patentato. ll servizio da fare era sulla prima de "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa portato in teatro dal grande drammaturgo Elio De Capitani. Si trattava della conferenza stampa di presentazione e ricordo nettamente che poco prima dell’inizio della conferenza nessuno, dico nessuno dei giornalisti delle numerose testate presenti , conosceva la trama dell’arcinoto romanzo. Fui io, collega di serie "C", non patentato, a raccontare loro la trama, poi durante la conferenza io non feci alcuna domanda per timidezza, loro ne fecero in abbondanza mostrando di conoscere benissimo la trama del romanzo e persino gli studi critici più famosi. Faccia lei.
    Da quando c’è il web, per necessità, a distanza di 15 anni, mi ritrovo ancora a concorrere per ’l’iscrizione all’albo dei pubblicisti poiché allora mi ero ritratto sdegnato da quell’ignobile gara dello scrivere solo per accumulare PUNTI parlando di cose che non si sanno.
    Certo, questo agevola la forma - che forse crocianamente in Italia conta ancora più del contenuto - ma alla luce di ciò non mi meraviglierei più di tanto della congenita ignoranza dei contenuti trattati che affligge il "nostro" corpo informativo. 
    Saluti  
     

    • Di Paolo Praolini (---.---.---.20) 24 novembre 2008 13:50

      Purtroppo la ’stampa nazionale’ si stà rendendo sempre più artefice della disinformazione voluta dalle lobbies del potere, che per esercitarlo debbono tenere a bada l’opinione pubblica.
      Come?
      Basta non portare alla ribalta ciò che di più rivoluzionario sta accadendo nel mondo, la ’rivoluzione culturale 2’.
      Obama insegna.
      Il social network si stà infiltrando in milioni di case in tutto il mondo, ciò significa che la diffusione delle conoscenze sarà sempre più senza confini.
      E con questo il rischio di diffondere ciò che si vorrebbe o ciò che non si vorrebbe è molto alto.
      Questo mette paura ai cosidetti potentati che vorrebbero la disinformazione generale come autoprotezionismo corporativo.
      Ma ormai è tardi la rivoluzione è cominciata, quindi dovremo sempre di più diffondere articoli come questo.

      Grazie...


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