• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > L’industria dell’assistenza

L’industria dell’assistenza

L'industria dell'assistenza internazionale raccoglie un numero immenso di associazioni locali e internazionali (ONG) che danno lavoro, si stima, ad oltre 600.000 persone (ALNAP 2008), muovendo centinaia di miliardi di euro ogni anno. I risultati: scarsi come nei peggiori enti pubblici dove i costi di gestione superano, mediamente, del 10% quelle dele aziende private e gli investimenti producono scarsi risultati benefici per paesi, comunità e persone a cui sono diretti. Solo il 36% degli operatori ritiene che i progetti raggiungono gli obiettivi (McKinsey & Devex 2011)

Si è aperta una corsa d’iscrizioni da parte di NGO (non-governmental organization) in Nepal. Gli uffici scalcinati del SWC (Social Welfare Council) sono presi d’assalto da benefattori dell’umanità. Il passato segretario di uno degli enti più inutili e corrotti, Dr. Chewamg Uamgel Lama è stato sospeso per irregolarità e corruzione come altri suoi predecessori. Il SWC dovrebbe controllare se le NGO locali e internazionali operano veramente, come spendono i soldi e come sono reali i progetti proposti. Basta qualche amico e qualche migliaio di rupie per essere meglio di Kofi Annan e superare ogni verifica.

Con la bella stagione (novembre dicembre) hanno chiesto di essere registrate ben 720 NGO locali che hanno portato il numero di quelle teoricamente attive a 34.000, più 202 INGO (cioè le internazionali). In pratica una ogni 872 abitanti e 8 per ogni villaggio del Nepal. In media con altri paesi come Haiti (10.000), India (calcolate oltre 3,5 milioni) e Pakistan (100.000). C’è da dire che questo aumento è indirettamente proporzionale alla gravità dei problemi, dato che durante le fase più acute del conflitto (2003-2006) INGO e NGO tendevano a scomparire. Ultima cosa il Nepal, adesso, è il luogo ideale per farsi un curriculum e passare qualche anno di vacanza pagata. 

Questa è l’industria dell’assistenza che corre per spartirsi circa 2 milioni di euro all’anno donati dai poveri dei paesi ricchi ai ricchi dei paesi poveri, come diceva una vecchia, ma ancora attuale, frase. Da dividere, insieme al governo, vi è poi la massa delle donazioni dell’ODA (Official Development Assistance) cioè i fondi provenienti dalle nostre tasse e incanalati tramite le agenzie governative e il sistema delle NU e delle Banche per lo sviluppo. Qua piovono euro 550 milioni all’anno (172 nel 1980) di cui il 60% finisce nelle casse dello stato per coprire il deficit, circa il 10% finisce in forme varie di corruzione o in benefits per i burocrati, il resto finisce investito in progetti, spesso non conclusi o insensati.

Basti pensare i fondi destinati ogni anno alla ristrutturazione di strade e ponti, al controllo delle acque, alla sanità e chiedere alle migliaia di vittime ogni anno per incidenti stradali, frane, diarrea, inondazioni. Parte di questi sono stanziati ma non utilizzati per la cronica instabilità politica, come è accaduto per i fondi destinati allo sviluppo del commercio (Aid for Trade). Ancora in questi giorni, dopo il ritiro di uno dei partiti Madeshi, anche il governo Bhattarai sta pericolosamente scricchiolando, sotto le accuse di corruzione e incapacità.

I maggiori donatori istituzionali sono, nell’ordine, il Giappone, la Gran Bretagna, la Germania e gli USA. Sta emergendo la Cina che ha raddoppiato i fondi negli ultimi due anni raggiungendo la somma di euro 25 milioni nel 2011 (centrali idroelettriche e strade), con l’intento di esercitare una forte pressione per annullare i movimenti dei tibetani in esilio in Nepal.

I settori più di moda e dove circolano più soldi sono quelli del “climate change”, “community development (?)” e gli eterni dalit (intoccabili), sempre marginalizzati ma produttori di reddito per le classi alte che dirigono al 90% le NGO quasi tutte ben salde a Kathmandu.

Non è il caso di riproporre l’antico dilemma sulla qualità dell’utilizzo di questo denaro, sulla sua efficacia per intervenire sui problemi delle persone comuni, sulla gestione centralizzata e in mano al sistema politico-affaristico della capitale, sulla dipendenza e corruzione che questo flusso incontrollato crea.

Ne abbiamo parlato in altri post. Tant’è che da decenni, in Nepal come ovunque dove opera su scala massiva l’industria dell’assistenza, si pubblicano studi e report su “aid effectivness”, “aid policy” e via discorrendo per cercare di capire perché gli investimenti rendono tanto poco.

Ma una cosa è ancor più fastidiosa: in Nepal funzionavano antiche istituzioni informali che gestivano controversie, risorse, piani di sviluppo. Erano un tempo una vera “società civile” creata dal volontariato e dagli interessi comuni, ben diversa dalle élites urbane che si spartiscono, oggi, cariche e soldi dell’assistenza internazionale, riproducendo metodi e sistemi occidentali.

C’era il consiglio del villaggio (Gram Parishad), il Pancha Bhaladami (i cinque anziani incaricati di dirimere dispute per la terra o i raccolti), il Chumlung (l’assemblea di villaggio) e l’Amal Khot (una specie di tribunale del villaggio), il Guthi (una specie di parrocchia che gestiva terre e risorse collegate ai templi).

Jude Howell (London School of Economics) scrive che “”From the mid-1990s onwards NGOs units metamorphozed into civil society departments and donor agencies sprouted civil society projects, civil society officers, civil society experts, and civil society challenge funds. Donor agencies began to draw up civil society strategies and develop indicators and methodologies for assessing the nature of civil society and the impact of their support initiatives.

Dopo il conflitto, come ovunque, le NGO sono state lottizzate dai partiti e fungono da collettori di fondi, in forme dirette ed indirette, verso gli stessi, ciò è comodo per i donatori: non hanno problemi, giustificano le spese a casa come date a strutture locali, si tengono buoni i potenti di turno, si relazionano con dirigenti “occidentalizzati” e già introdotti nel sistema dell’assistenza; non devono correre e discutere nei villaggi. Intanto basta il passare del tempo, i telefonini, il computer, internet, la diffusione delle conoscenze di base, i soldi della migrazione per migliorare le condizioni di vita materiale delle persone e, per l’industria dell’assistenza, prendersi il merito.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares