• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Attualità > L’ennesimo suicidio palestinese

L’ennesimo suicidio palestinese

Chiunque avesse in mente di approfittare delle divisioni interne alla società israeliana avrebbe dimostrato acume politico e avrebbe colto al volo l'opportunità, forse unica, dei mesi passati.

Quando un governo discutibile (anche se personalmente preferisco definirlo "infame") nato per salvare il premier dal processo e probabilmente dalla galera, appoggiato su quanto di peggio il mondo ebraico può produrre - benché assolutamente minoritario - in termini di fanatismo, oltranzismo, arroganza, prevaricazione, violenza e razzismo, è stato contestato, nei suoi progetti di minare la democrazia fondata sulla separazione dei poteri, da centinaia di migliaia di cittadini per settimane e settimane di fila. E contestato dalle parole del Presidente, di alti esponenti della magistratura, perfino della Corte Suprema, di alti ranghi dell'esercito e dell'intelligence.
 
Bene, in una situazione come questa, quale opportunità migliore per giocare politicamente sulle divisioni dell'avversario per ottenere vantaggi per sé?
Un accorto politico palestinese avrebbe ragionato così (e sicuramente qualcuno l'avrà fatto, ma chi mai l'ha sentito?), contestando il "governo dei coloni" schierandosi apertamente al fianco dell'opposizione democratica, nel caso degli arabi israeliani. Oppure affrettandosi a offrire ramoscelli d'ulivo agli uni per isolare politicamente gli altri, nel caso dei politici palestinesi.
 
Macché. Quello che tutto il mondo ha visto - chi con orrore e sgomento, chi con esultanza ed entusiasmo - è stato un attacco spropositato, una strage orribile, uno sberleffo alla pretesa inviolabilità del paese, fondata su certi deliri di onnipotenza che certo non mancavano.
E, ovviamente, la guerra. Che altro ci si poteva aspettare?
 
Che, come tutte le guerre, tantopiú se inaspettate, ha il potere di unire una nazione cementandola attorno alle sue forze armate. Si è visto in Ucraina, si vede in Israele.
I riservisti che, fino al giorno prima del 7 ottobre, minacciavano di non presentarsi se il governo non avesse ritirato le sue proposte antidemocratiche, sono corsi a indossare la divisa dopo che lo stato è stato attaccato e tanta gente comune ammazzata. Sono corsi perfino, leggo, molti che non erano stati richiamati. E non c'è da aspettarsi che rispettino l'umanità dell'altro, del nemico. Quello lo può fare chi sta seduto in poltrona a guardare. E a giudicare. Ognuno guarda invece ai propri morti, in realtà, da sempre.
 
Lo fanno anche i palestinesi, si sa, ma chi è che ha più da perdere in una situazione come questa? E chi dovrebbe dimostrarsi più intelligente? Forse che l'African National Congress di Mandela non ha abbandonato la lotta armata optando per quella diplomazia che ha poi dato i suoi frutti? L'attacco di Hamas porterà un qualche beneficio alla causa palestinese?
L'Egitto ha affermato che non accetterà profughi da Gaza, la Giordania (un paese in cui il 70% degli abitanti, Regina compresa, ha origini palestinesi) nemmeno. Restano solo le bombe e la distruzione preannunciata.
 
 
Gaza sarà colpita molto duramente, come mai prima. E le manifestazioni di solidarietà con i gazawi – così deboli e fugaci quando si trattava delle vittime israeliane – saranno ampie e partecipate. E durature. Ma non fermeranno certo la guerra. Non questa guerra.
 
Dopo la strage di Sabra e Chatila, compiuta dai maroniti libanesi per vendicare la strage della popolazione di un villaggio cristiano compiuta dai feddayin palestinesi (ma questo non viene mai ricordato per salvare l'aura di vittimismo innocente costruito sui palestinesi), il generale e ministro della difesa israeliano Ariel Sharon – colpevole di aver assistito al massacro senza battere ciglio – fu costretto alle dimissioni dalla più grande manifestazione di protesta su suolo israeliano. Un'altissima percentuale della popolazione scese in piazza piena di sdegno per la colpa di cui il suo esercito si era macchiato.
 
Ma contro questa guerra, finalizzata - molto ambiziosamente - a estirpare Hamas da Gaza (una riedizione della guerra del Libano quando l'OLP fu costretta a emigrare in Tunisia), non sarà facile trovare voci critiche in Israele. In caso saranno così minoritarie da non contare niente. Non dopo tutti quei morti, quei ragazzi trucidati nel rave party nel deserto, le famiglie massacrate nei kibbutz, i bambini uccisi a sangue freddo, le giovani donne rapite, l'anziana signora prigioniera da giorni a Gaza.
 
È stato ricompattato un intero paese e se il governo di estrema destra sarà molto probabilmente archiviato dopo la guerra (e con lui anche Netanyahu che dovrebbe pagare il fallimento clamoroso della sicurezza) la questione palestinese difficilmente vedrà un po' di luce in fondo al tunnel in cui l'hanno cacciata i leader di Hamas che vivono tranquillamente in Qatar o chissà dove. È l'ennesimo suicidio palestinese. Non il primo e probabilmente non sarà nemmeno l'ultimo.
 
«No, non ci stiamo comportando onestamente, perchè oggi, dopo due anni di spargimento di sangue, chiediamo esattamente ciò che all'epoca abbiamo respinto. Quante volte abbiamo accettato compromessi, per poi rifiutarli e pentirci di averli rifiutati? (...) E allora, quando la soluzione non era più a portata di mano, abbiamo girato il mondo per chiedere alla comunità internazionale ciò che avevamo appena respinto...», lo scriveva Nabil Amr, parlamentare palestinese di Fatah, ministro dell'informazione nel governo Arafat, membro della delegazione araba a Camp David nel 2000. Pubblicate due anni dopo sul quotidiano ufficiale dell'Autorità Nazionale Palestinese, da lui fondato e diretto, queste parole criticavano il rifiuto di Arafat alla proposta di pace dell'ultimo governo laburista guidato da Ehud Barak. Le richieste palestinesi erano state in gran parte accolte anche grazie alla mediazione di Bill Clinton. Per quella critica la casa di Nabil Amr fu fatta oggetto di spari. Un avvertimento. 
 
Era solo una ventina di anni fa e sembra un secolo. Poteva essere stato tutto risolto e invece siamo di nuovo a riflettere sulle ennesime stragi di una faida infinita che rende insolubile la questione israelo-palestinese.
 
Sempreché la situazione internazionale non si aggravi ulteriormente con conseguenze che preferisco non cercare nemmeno di immaginare.
 
Immagine di Morten Morland, The Times

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità