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L’asse ortodosso: la Grecia strizza l’occhio a Putin?

Finalmente qualcuno si è accorto che la chance occidentale (leggasi: filoeuropea, filoatlantica, filoamericana in tutte le declinazioni possibili) non è l’unica esistente.

Con buona pace della fede assoluta nel pensiero unico tradotto in termini geopolitici di egemonia planetaria.

Quello che è stato un periodo breve (o una breve illusione) subito dopo il crollo del muro di Berlino, ha ormai lasciato il campo - da tempo - ad una pluralità di polarità (scusate l’inghippo semantico) tutt’altro che trascurabili.

Bisognerà forse rispolverare il vecchio Huntington con il suo “conflitto di civiltà” per riscoprire che le linee di faglia sono diventate quelle culturali, non più quelle ideologiche. Non è una questione di ripetere ancora una volta che “destra e sinistra” sono concetti superati a favore di un poco decifrabile “sopra-sotto” (copyright M5S, Podemos eccetera) - che, a me, continua a sembrare una scempiaggine - quanto di rendersi conto che sul globo i centri di attrazione non sono più solo due (USA-URSS) con un corollario di non-allineati in stile jugoslavo a fare le damigelle d’onore (anche se era apprezzabile il tentativo di dimostrare che il colonialismo era finito).

Oggi i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) costituiscono altrettanti centri economici, più o meno forti, che coincidono con aree culturali altrettanto autonome e storicamente a sé stanti. In più sappiamo che il mondo islamico è in gran parte in subbuglio.

Le linee di faglia (che spesso sono causa di terremoti) - diceva Huntington - corrono lungo gli antichi confini culturali e religiosi. Poi diceva anche altro, ma lasciamo stare.

A questo punto potrebbe essere opportuno ricordarsi che la Russia (la R di Brics) e la pericolante Grecia hanno in comune la tradizione religiosa cristiano-ortodossa. I potentati politico-economici europei ed atlantici non dovrebbero sottovalutare la possibilità che interessi economici e contiguità culturali trovino un momento di sintesi, con tutto quello che può voler dire in termini politici e strategici.

Tradotto in soldoni non è più impensabile un trasloco della Grecia verso l’area ortodossa, cioè russa. Con tanto di uscita dalla Nato oltre che dall’euro e dalla comunità europea. Cioè una ulteriore conferma della contestate tesi di Samuel Huntington, dove il concetto di Grexit avrebbe un significato ben più ampio che unicamente economico (con relativo addio alla speranza di recuperare i crediti).

Gli europei sembrano non essersi accorti che le allusioni di Tsipras ("siamo pronti a navigare in altri mari") potrebbero non essere un bluff e continuano a tirare la loro insensata corda, mentre alla Casa Bianca sembra che il bottone rosso di alert abbia cominciato a lampeggiare.

Ne scrive Ettore Livini su Repubblica «uno smottamento della Grecia verso la sua area di influenza [della Russia] aprirebbe una ferita forse letale nel fianco orientale dell’alleanza atlantica».

Perché dopo lo smarcamento della Turchia di Erdogan dall’area filo-occidentale (senza se e senza ma) verso uno spiccato islamismo neo (o paleo) ottomano, perdere anche la Grecia a favore dell’area russocentrica vorrebbe dire, banalmente, non aver più alcun punto di appoggio affidabile in tutto il Mediterraneo centro-orientale.

Escluso Israele, è ovvio, ma anche lì con molti, e crescenti, punti interrogativi: i rapporti con l’America di Obama sono ai minimi storici e Putin teme fortemente di perdere - nel caso di un possibile collasso del regime siriano - ogni punto di appoggio nel medioriente. È tanto strano pensare a un riavvicinamento israeliano alla Russia che, dopotutto, fu il primo al mondo - anche se erano altri tempi - a riconoscere ufficialmente il neonato stato ebraico e a fargli avere le armi per vincere la sua prima guerra contro gli arabi?

Già c’è stato un nuovo approccio tra Israele e Grecia, dopo il collasso dello storico rapporto con i turchi per via del sanguinoso caso della Freedom Flotilla. E anche con la Cipro greca il rapporto di collaborazione è ottimo (grazie ai megagiacimenti di gas sottomarino).

Nel frattempo, scrive ancora Repubblica, «Atene continua a calare i suoi assi. L’Fmi si mette di traverso al salvataggio? No problem. La Grecia è pronta a entrare nella nuova Banca nazionale dello sviluppo, una sorta di mini Banca mondiale fondata da Russia, Brasile, India, Cina e Sud Africa con 100 miliardi di dollari di capitale per rompere il monopolio di Banca Mondiale e Fondo monetario».

Le linee di faglia si sposteranno anche sui confini culturali, ma l’economia globale gioca comunque le sue carte. E le due cose insieme stanno creando un nuovo mondo.

Mentre l’occidente si ostina a credere di esserne ancora l’ombelico.

 

Foto: Floris Looijesteijn/flick

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