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 Home page > Attualità > Cronaca > Kabul: morti sei parà italiani. La più grande strage dopo Nassirya

Kabul: morti sei parà italiani. La più grande strage dopo Nassirya

Update: La Difesa ha comunicato i nomi di cinque delle sei vittime dell’attentato. Si tratta del tenente Antonio Fortunato, originario di Lagonegro (Potenza); del primo caporal maggiore Matteo Mureddu, di Oristano; del primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, nativo di Glarus (Svizzera); del sergente maggiore Roberto Valente, di Napoli, e del primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, di Orvieto e il primo caporalmaggiore Massimiliano Randino, 32 anni, nato a Pagani (Salerno).

Una tragedia quella che ha colpito i soldati italiani in Afghanistan: sono 6 i morti tra i Parà del 186° Reggimento della Folgore di Siena oltre a 15 morti e 60 feriti afgani.
 
Un attentato suicida stamattina ha colpito Kabul, un kamikaze si è fatto esplodere al volante di un’autobomba e due mezzi italiani che stavano percorrendo la strada che costeggia l’aeroporto di Kabul, sono rimasti coinvolti. Sembra che un’auto carica di esplosivo sia scoppiata al passaggio del primo mezzo italiano del convoglio, uccidendo tutti e cinque gli occupanti, danneggiando gravemente anche il secondo Lince: uno dei militari a bordo è morto e altri tre sono rimasti feriti.

Matteo Mureddu, 26 anni, è il primo nome tra i militari uccisi stamattina a Kabul. Il comandante militare della Sardegna, il generale Sandro Santroni, ha informato a Solarussa, nell’oristanese, i genitori del parà.
 
I Talebani, scrivono le agenzie, hanno rivendicato l’attentato, sebbene il gen. Massimo Fogari a Repubblica Tv, precisa che potrebbero essere più precisamente degli Insurgens, ovvero “gruppi che contano tra le loro fila comuni criminali e terroristi che fanno capo a un’ideologia. Sarà l’inchiesta - continua il generale - a farci capire di chi si è trattato”.
 
La situazione in Afghanistan era molto calda già da qualche mese, in occasione, ovviamente, delle elezioni che si sono svolte a fine agosto, e non era migliorata in questi ultimi giorni quando diversi soldati avevano perso la vita.
 
L’attentato kamikaze di oggi è il più grave attacco subito dall’Italia dalla strage di Nassiriya del 12 novembre del 2003, quando nell’attentato alla base militare italiana morirono 19 tra militari, carabinieri e civili.
 
La Camera, nel frattempo, ha sospeso i lavori e il Presidente Fini, che ha annullato tutti i suoi impegni, ha detto che “i militari italiani hanno pagato un ulteriore tributo di sangue per la causa della libertà e della democrazia dei popoli”. Tantissime le reazioni dei politici e i messaggi di cordoglio alle famiglie.

La FNSI ha sospeso la manifestazione di sabato per la libertà di stampa.
 
Una tragedia che subito riapre le polemiche per la presenza del contingente italiano a Kabul.
 
Lega e IdV, infatti, parlano del bisogno di mettere a punto una exit Strategy: “’’Insistiamo, come stiamo facendo da mesi, sulla necessità che il governo avvii al piu’ presto in sede Nato e Onu un confronto con i nostri partner e che da subito si apra in Parlamento un confronto per stabilire i tempi e i modi di una exit strategy’’ dicono in una nota congiunta Antonio Di Pietro, Massimo Donadi e Felice Belisario.

E’ stato anche attivato un numero verde per i familiari delle vittime: il numero verde per ottenere informazioni è 800-228877. Lo ha reso noto lo Stato maggiore dell’esercito.

Anche AgoraVox Italia si unisce al cordoglio per i familiari.

Commenti all'articolo

  • Di Pietro Orsatti (---.---.---.220) 17 settembre 2009 13:20
    Pietro Orsatti
    la Fnsi rinvia la manifestazione prevista per sabato 19 settembre a Roma “Con profondo rispetto verso i caduti, nell’espressione di un’autentica, permanente volontà di pace quale condizione indispensabile di una informazione libera e pluralecapace di rappresentare degnamente i valori della convivenza civile, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha deciso, d’intesa con le altre organizzazioni aderenti (Cgil, Acli, Arci, Art. 21, Libertà e Giustizia e numerose associazioni sindacali, sociali e culturali), di rinviare ad altra data la manifestazione per la libertà di stampa programmata a Roma per sabato prossimo.
    In un momento tragico come questo ci stringiamo attoniti accanto ai nostri morti in Afghanistan. Sono mortidell’Italia che paga oggi un pesante tributo nella frontiera della sicurezza internazionale e della lotta al terrorismo. Il nostro rispettoso pensiero va subito ai soldati caduti, alle loro famiglie,alle Forze Armate che, in un Paese martoriato, rappresentano la nostra comunità in ossequio a risoluzioni dell’Onu, in una complicata ricerca di una via di uscita dell’Afghanistan dal terrore verso la democrazia. I giornalisti, che hanno pagato alti prezzi di sangue per il diritto-dovere di informarecompiutamente i cittadini su dolorose vicende belliche e del terrorismo in ogni parte del mondo, rinnovando la solidarietà e il cordoglio nei confronti di tutti i caduti e delle loro famiglie, riconfermano l’impegno permanente per un’ informazione che dia sempre voce alle ansie, alle speranze, alle idee di tutti.”
  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.140) 17 settembre 2009 13:25
    Damiano Mazzotti

    è la gestione politica che è sbagliata:

    Ad un esame razionale i Talebani, non si arrenderanno mai, non è possibile
    ucciderli tutti, e la droga è la prima e unica economia nazionale dopo quella
    delle armi... la droga andrebbe acquistata in blocco dai vari governi
    occidentali e usata a fini medici nella terapie del dolore, del cancro e dei
    malati terminali...

    Più andiamo avanti nello stesso modo e maggiori saranno i problemi...

    • Di Peppe (---.---.---.137) 17 settembre 2009 14:08

      Lo facevano gia’ gli americani quando hanno finanziato i talebani per scatenarli contro i sovietici che stavano invadendo l’Afghanistan dopo che gli americani avevano finanziato l’omicidio (per mano mi sembra di un agente pakistano) del leader del partito comunista afghano, all’epoca molto popolare in Afghanistan.

      Gli americani facevano cosi’: armi e formazione "professionale" erogata dalla CIA in cambio di droga.

      La domanda e’, che fine faceva la droga? La rivendevano? Se la fumavano? Forse e’ perche’ serviva un grande rivenditore in europa che la mafia italiana non e’ mai stata toccata, ma anzi e’ stata sempre difesa da Stato e servizi segreti?

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.140) 17 settembre 2009 15:24
    Damiano Mazzotti

    la droga fa comperata direttamente dai contadini da emissari occidentali...

    non attraverso i criminali di guerra locali....

    stessa cosa si deve fare con le armi: comprarle e distruggerle, costa sempre meno che mandare i nostri bombardieri.... insegnando a colvtivare i cetrioli non si risolve niente....

    attualmente la droga sembra sia anche alla banca d’inghilterra per racimolare un po ’ di veloce liquidità, fonte movisol.org...

  • Di lo scemo del villaggio (---.---.---.230) 17 settembre 2009 18:33

     "La piu’ grande strage"... "La difesa..." 
    In guerra la retorica si spreca.
     La difesa da cosa poi? Stiamo difendendo l’Afghanistan dagli afghani? Gia’ solo il fatto che un esercito di occupazione si autodefinisca "Difesa" suona orwelliano.

     Certo, dal punto di vista umano dispiace moltissimo che sei giovani siano morti in guerra e in momenti come questo le polemiche sono sempre fuori luogo. C’e’ solo dolore.
     Ma detto questo la nostra ipocrisia e il nostro tornaconto non dovrebbero renderci cichi al punto da non vedere o, peggio, non voler vedere, che il nostro esercito in Afghanistan sta occupando un Paese straniero.
     I nostri soldati sono usati da una casta di politicanti senza scrupoli per continuare la vecchia politica coloniale del Grande Gioco, iniziata dagli inglesi nel diciannovesimo secolo e ritentata dai sovietici nel secolo successivo.
     Oggi ci riprovano gli USA e i loro vassalli, ma in sostanza si tratta sempre solo di una guerra imperialista dove noi occidentali sterminiamo con le nostre armi ipertecnologiche delle popolazioni poverissime, che non ci hanno fatto nulla.
     I taleban sono stati creati dagli USA in chiave antisovietica negli anni 70 del secolo scorso.
     Karzai, il Quisling appena rieletto in elezioni farsa, non e’ altro che un governo fantoccio ed e’ stato un dirigente a libro paga della Unocal, la compagnia petrolifera interessata all’oleodetto che, se fosse "normalizzato" dovrebbe attraversare l’Afghanistan, eccetera eccetera...

     E la democrazia non c’entra per niente.
     Sarebbe piu’ corretto parlare di retorica democratica ad uso e consumo della propaganda mainstream utile al lavaggio del cervello delle masse e della carne da cannone.
     Quella stessa carne da cannone che viene strumentalizzata dal potere in chiave patriottica, perche’ ne serve sempre di nuova, se vogliamo che la casta dei politicanti e quella dei finanzieri siano sempre piu’ potenti.

     Forse, per evitare che i nostri soldati muoiano in Paesi stranieri, non sarebbe piu’ semplice evitare di invaderli e occuparli i Paesi stranieri?

     Io, personalmente, provo orrore anche e soprattutto quando a morire sono gli afghani, quelli che il lavaggio del cervello mainstream chiama "i feroci talebani".
     Saranno anche talebani e non mi piace nulla di loro, ma avranno il diritto di vivere come cazzo gli pare a casa loro? Con quale diritto invaderli, occuparli, massacrarli e poi indignarsi se si difendono.
     Ma se venissero qua in italia i talebani, ci invadessero e pretendessero di dirci come dobbiamo vivere e chiamassero "assassini" i nostri partigiani, ma, domando io, noi cosa faremmo? Ci comporteremmo forse diversamente? Forse si. Forse in pochi sarebbero disposti a saltare su un’autobomba per questo paese.
     
     Quindi: umanamente dispiace che siano morti 6 soldati italiani.
    Ma non dimentichiamoci che, al di la della propaganda mainstream, sono morti 6 invasori di un paese straniero, sono morti 6 occupanti uccisi da quelli che NOI, quando eravamo al posto loro, ovvero dalla parte giusta, chiamavamo "partigiani" ( e i nazisti chiamavano "terroristi". Nulla di nuovo sotto il sole.

     Mi dispiace scrivere cose come queste in momenti come questi. Ma e’ quello che penso, e quello che credo credo sia storicamente, umanamente vero.
     Se queste poche parole saranno servite a far desistere anche solo uno dei nostri giovani militari in partenza per qualsiasi guerra di invasione, allora sara’ valsa la pena scriverle.
     E comunque credo che bisogna provarci.

    Bisognerebbe anche mandarci i vecchi e non i giovani a fare la guerra, ma questa e’ un’altra storia e non la si puo’ scrivere adesso.
    Adesso c’e’ troppo sangue

     dappertutto,


     anche sulle mani



     e la penna  scivola via...

    Rimane solo il dolore e la rabbia a vedere che l’unica cosa che questo errore cosmico che si chiama "uomo" riesce a fare su questo porco mondo, coi piu’ nobili motivi, e’ sempre solo e soltanto una: ammazzarsi.

    non ci sono parole

     


  • Di poetto (---.---.---.225) 17 settembre 2009 21:33

     Mi viene da chiedere: per quali ragioni di vitale importanza, per il nostro Stato, esiste la nostra presenza militare in quel paese?

    Perché i nostri militari si trovano lì?

    Per costruire ponti, strade, scuole?

    Per portare la democrazia?

    Per sostenere un governo, quello afgano, che ha difficoltà a reggersi da solo?

    La nostra costituzione non prevedeva un esercito di difesa? Che cosa devono difendere in Afghanistan, un paese lontanissimo dai nostri confini?

    Perché si sentono mille versioni sul motivo per cui è necessaria la nostra presenza?

    Berlusconi ha detto che potrebbe anche esserci un ridimensionamento della nostra presenza militare, contraddicendo quello che avevano precedentemente detto alcuni suoi esponenti politici.

    In tivu’ ho sentito dire che la nostra presenza, assieme a quella di altre nazioni, è indispensabile affinché anche altri paesi di quella regione non cadano in mano ai talebani...ma come, dico io, non sono caduti negli anni passati, quando i talebani erano al potere, e dovrebbero cadere adesso?

    La situazione è veramente confusa, l’unica cosa certa è che sei giovani hanno visto la loro esistenza spezzata per sempre.

  • Di Francesco Raiola (---.---.---.192) 17 settembre 2009 23:55
    Francesco Raiola

    Non credo ci sia bisogno di dire che non è un pezzo sull’analisi del perchè siamo lì, è pura cronaca. Domani articolerò meglio, anche sui termini utilizzati ("Difesa" ovviamente sta per Ministero della Difesa...ed era chiaramente un’agenzia con i nomi dei militari morti)...

  • Di ELDOMO (---.---.---.151) 18 settembre 2009 12:20
    ELDOMO
    RICORDIAMO I NOSTR RAGAZZI MORTI IN AFGHANISTAN
     ***********************************
    *Giandomenico Pistonami, la ragazza lo aspettava per le nozze
     

    dal nostro inviato Mihele Concina
    LUBRIANO (Viterbo) - E’ cresciuto in un paradiso, per andare a morire in un inferno, a 26 anni. Giandomenico Pistonami, caporal maggiore della Folgore, uno dei sei caduti di ieri in Afghanistan, veniva da questo paese che pare una cartolina. L’Umbria a trecento metri, mille abitanti che si conoscono tutti dalla nascita, un panorama da togliere il fiato su Civita di Bagnoregio, sulla rupe e sui calanchi, colline profumate di funghi e terra smossa.
    Giandomenico se n’era andato a diciott’anni, per il servizio militare. Una vita che gli era piaciuta: aveva firmato come volontario, poi era passato al reggimento di paracadutisti stanziato a Siena. Aveva anche tentato la carriera da sottufficiale, ma alla selezione per la Scuola marescialli non era passato. Due anni fa aveva già accettato una missione pericolosa, in Libano. Quella in Afghanistan era cominciata a maggio, nei giorni del suo compleanno; e non è finita più.
    Il paese, adesso, si pigia tutto -taciturno, a braccia conserte- nel portico della casa in aperta campagna dove vivono Franco e Annarita Pistonami. Un muretto di tufo nudo, tegole, un vialetto. Dettagli ben fatti, incastri precisi, la mano di chi se ne intende: Franco è operaio in una piccola azienda edile, Annarita si occupa del loro pezzetto di terra, vigne e olivi giovani. Se ne stanno in un angolo, rigidi, quasi catatonici, accolgono cortesi ma assenti i mormorii di condoglianza. Sanno che fra qualche giorno resteranno soli, per sempre: Giandomenico era il loro unico figlio.
    A consolarli meglio di tutti è una ragazza magra, con gli occhi azzurri e un caschetto di capelli neri. Abbraccia Annarita più che può, la sostiene, cerca di fare anche un po’ la padrona di casa. Si chiama Zueca, da quattro anni erano per lei i sorrisi migliori di quel soldato che -dicono tutti- sprigionava allegria. Alla prima licenza dovevano stabilire definitivamente la data delle nozze; nel 2011, pensavano. A tenerla in piedi, almeno per ora, è una fede profonda. A Lubriano è tradizione che i giovani del paese si occupino per un anno, volontariamente, della manutenzione del santuario della Madonna del Poggio. Zueca ha mantenuto l’incombenza per tre anni.
    I paesani hanno poca voglia di parlare. Solo una donna, uscendo, pronuncia un breve elogio funebre: «Giandomenico era un angelo, Dio lo protegga».

     

    http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22104&sez=HOME_INITALIA&npl=&desc_sez=

     

    *Roberto Valente, aveva ottenuto da pochi giorni il trasferimento in Campania

     

    di Gigi Di Fiore

    NAPOLI (18 settembre) - Aveva sorriso e scherzato con gli amici di sempre. Aveva dato a tutti appuntamento per gli inizi di novembre, quando sarebbe dovuto tornare da Kabul. Contento perché, dopo undici anni, era riuscito ad ottenere il trasferimento in una sede militare nella sua regione, la Campania. Vicino casa. In un giorno, la gioia si è trasformata in tragedia.

    Roberto Valente tornerà a Napoli in una bara avvolta dal tricolore. Morto, insieme con cinque suoi commilitoni, nell’agguato talebano in Afghanistan. La giovane moglie, Stefania Giannattasio, continua a ripetere stordita di essere fiera del suo Roberto. Del suo paracadutista di poche parole, che aveva scelto molto presto la vita militare. Aveva vent’anni, Roberto Valente, quando decise di arruolarsi. In tasca un diploma dell’istituto tecnico, il desiderio di guadagnare anche dopo aver perso il padre. Roberto divenne soldato per professione, in quella brigata «Garibaldi» a Caserta sempre tra le prime nelle missioni di pace all’estero. Con la «Garibaldi» partecipò alla missione «Riace» contro la criminalità organizzata in Calabria, poi in Albania con le forze multinazionali. Tre anni di prime esperienze tra il 1994 e il 1997. A Napoli, il suo quartiere era Fuorigrotta, la sua casa in quella via Consalvo che sale verso via Manzoni e arriva al Vomero.

    «Era un ragazzo buono, che aveva fatto tanti sacrifici», dicono gli amici che aveva salutato appena tre giorni fa. Aveva voluto una cena, con quelli che conosceva da sempre in una pizzeria del quartiere. Dopo 15 giorni di licenza a casa, sarebbe tornato a Kabul. Stefania, che aveva conosciuto tempo fa, non gli faceva pesare la distanza. Ogni missione era preoccupata, ma sapeva che lui lo faceva per assicurare un futuro migliore al loro figlio, per guadagnare di più. Da lontano, Roberto si sforzava di rasserenare i familiari. «Ci sentiamo appena arrivo, state tranquilli che tornerò; io devo tornare», aveva detto alla partenza da Napoli salutando la moglie e la mamma.

    http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22109&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=

     

    *Antonio Fortunato, il papà: avevo paura per lui
     
    di Sandro Vacchi

    SIENA (18 settembre) - La processione verso la palazzina di Badesse l’apre uno sconosciuto che porta un gran mazzo di fiori bianchi a Gianna, una vedova di 32 anni. Il suo bambino, Martin, di anni ne ha sei e ha cominciato la scuola l’altroieri. Non ce l’ha accompagnato il babbo, però: lui, Antonio Fortunato, accompagnava dei soldati, era il tenente che li comandava, a diecimila chilometri dal borghetto toscano dove rivedeva qualcosa del paese natio, Lagonegro, tanto più a Sud, nell’Appennino lucano.

    Il tenente, lo chiamavano tutti, commilitoni e vicini di casa che ora spendono le parole più struggenti per lui. Arriva Valentino Bruno, qui in via Togliatti. E’ il sindaco di sinistra di Monteriggioni, capoluogo di Badesse, che rende omaggio all’uomo della Folgore e ricorda come grazie all’appoggio dei militari il Comune avesse recuperato un terreno abbandonato al confine col territorio di Siena. Arrivano le dolenti mogli di ufficiali, sottufficiali e soldati della caserma ”Bandini” e tentano di consolare Gianna Passeri, ormai priva di lacrime. Sale nell’appartamento un assessore regionale, poi una psicologa. «E’ successa una brutta cosa al tuo papà» sussurra a Martin, e lo accarezza. Si trattiene due ore in casa, ore lunghissime. Poi dalla Basilicata arrivano i genitori del tenente. Straziato il papà Domenico: «Eravamo terrorizzati ogni volta che partiva». L’altro figlio Alessandro lo abbraccio: «Ma era la sua ragione di vita».
    «Era un angelo, sempre pronto ad aiutare tutti qui nel condominio. Bravo, davvero bravo. E anche Matteo», aggiunge piangendo l’anziana signora Rosa, ricordando il ”suo” tenente e il giovane sardo Mureddu che viveva qui a pochi metri. Anche lui ammazzato a Kabul. «Prima della missione il tenente mi aveva confidato che stavolta non aveva voglia di partire.» Che se lo sentisse? O, più semplicemente, non gli andava di lasciare soli i suoi cari per tanto tempo, ancora una volta.

    Al bar ”Bomber”, proprio sotto la palazzina di mattoni a vista, ricordano benissimo quel soldato tutto d’un pezzo ma cordiale, quando passeggiava con il suo bambino e scendeva a prendergli un gelato. Mesi fa, perché il tenente Fortunato era in Afghanistan da maggio e sarebbe dovuto rientrare in Italia in novembre, dal suo bimbo e da Gianna, insegnante precaria in un istituto tecnico di Siena. Avvicinarsi è impossibile. Carabinieri e soldati della Folgore, e non solo del 186° reggimento, formano un cordone di protezione attorno alla casa del loro ufficiale. Tenente Antonio Fortunato. ”Presente!” rispondono in silenzio. Il frastuono delle esplosioni ce l’hanno dentro.


    http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22107&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=

    *Massimiliano Randino, era tornato in anticipo per la sua prima missione

     

    di Fulvio Scarlata

    NOCERA SUPERIORE (Salerno) (18 settembre) - Non doveva essere a Kabul, Massimiliano Randino. Tornato a Nocera Superiore per una licenza da dodici giorni, aveva fissato il rientro in Afghanistan domenica prossima. Poi l’improvviso cambio di programma: mercoledì scorso zaino pronto e via in aereo. Neanche il tempo di atterrare, ieri, e il trentaduenne era subito pronto per la prima, sospirata, missione in prima linea. «È morto da eroe, è morto da eroe servendo la Patria» ripete ora inconsolabile sua madre Anna D’Amato.

    Poco dopo mezzogiorno un telefono con chiamata satellitare proveniente dall’altra parte del mondo è squillato in via Pucciano. «Mamma, c’è stato un attentato, ma non sono coinvolta». Maria, 24 anni, parà della Folgore proprio come Massimiliano, amica e dirimpettaia nell’Agro, non era per nulla spaventata. A Kabul da luglio sapeva che il commilitone caporale maggiore al cui matrimonio aveva partecipato quattro anni fa, era lontano, al sicuro in Italia.

    E quel corpo straziato è rimasto a lungo senza identità preciso. «M. R. nato a Pagani» prima informazione, poi consultazioni a Cava de’ Tirreni dove i Randino hanno vissuto fino al 1992, infine Nocera Superiore. È toccato al sindaco Gaetano Montalbano contattare la famiglia. E quando il telefono è squillato in casa Trotta è sceso il gelo. Mario, 63 anni, ex imbianchino, Anna 58 anni, ex impiegata all’Ericson, Vincenzo, 77 anni, padre della moglie di Massimiliano, si sono sentiti morire. La forza di chiamare l’altro figlio, Roberto, 21 anni, al corso per diventare vigile del fuoco. Ancora un telefono che squilla, ma a Sesto Fiorentino, nella città dove il parà si era trasferito nel 2005 con un urlo: «Voglio morire» della moglie Pasqualina, originaria di Angri, un matrimonio senza figli forse come scelta per il tipo di vita di Massimiliano.

     

     
    *Matteo Mureddu: mamma, è l’ultima missione, poi mi sposo
     
    di Umberto Aime

    ORISTANO (18 settembre) - Matteo Mureddu, a maggio, emozionato, con un filo di voce, aveva confidato alla madre: «Stai tranquilla, questa è la mia ultima missione in Afghanistan. Eppoi, tutti insieme, pensiamo al matrimonio. Con Alessandra, abbiamo deciso la data: il 13 giugno».

    Alle 12.40, ora di Kabul, tutti i sogni sono stati spazzati via. Quelli del parà Matteo Mureddu, 26 anni, compiuti il 7 agosto, della madre Greca, del padre Augusto e anche di Alessandra Fiori, la fidanzata del caporalmaggiore della Folgore. Sogni dilaniati, fatti a pezzi dall’autobomba esplosa in mezzo ai due gipponi “Lince” sulla strada per l’aeroporto. Molto lontano, troppo, dalla casa in fondo alla strada intitolata a Papa Giovanni, ultima via di Solarussa, paese della provincia di Oristano, duemila abitanti e sulle guide turistiche conosciuta per una Vernaccia che profuma di ginepro. Qui è nato Matteo Mureddu, in una villetta tirata su dal padre allevatore, con il soldi del latte e della lana del suo piccolo gregge. Ma anche con gli ingaggi all’estero dei due figli militari di carriera nella Folgore, Stefano, il primogenito, e Matteo, l’ultimo nato.

    «I miei due gioielli», ha detto in cucina la madre al comandante generale dell’Esercito, Sandro Santroni, che ieri si è presentato con la tremenda notizia. «Uno dei miei gioielli mi è stato strappato via dal grembo in un paese straniero», ha aggiunto prima di accasciarsi tra le braccia di Grazia, la secondogenita. Il resto di una maledetta giornata è andata avanti tra le lacrime, con il padre che dice: «Perché quella in Afghanistan la chiamano ancora missione di pace?». Amarezza e dolore, insieme. Con due figli soldati, nella casa di Solarussa la paura non è rimasta mai fuori dalle mura. Stefano, 38 anni, anche lui paracadutista della Folgore, e Matteo erano spesso in missione all’estero.

    La vittima era già stato nei Balcani, nel 2005, e due anni dopo in Libano. Ma dopo l’Afghanistan, il rientro era previsto a ottobre, il paracadutista voleva pensare soltanto al matrimonio. A sposare Alessandra Fiori, 30 anni, nata in un paese vicino ma conosciuta a Siena, dove i due avevano messo su casa.


    http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22106&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=

     

     

    *Davide Ricchiuto, il sogno: dare la vita per la patria
     
    di Gabriele Rosafio

    LECCE (18 settembre) - «Il mio sogno è quello di morire per la Patria». Parole gravi, confidate a qualche amico, forse dette con un pizzico di scaramanzia per esorcizzare i pericoli dei giorni vissuti in missione. Parole che accompagneranno per sempre Davide Ricchiuto, il caporal maggiore di 27 anni morto in Afghanistan. Era partito da Tiggiano, piccolo paese del Salento di tremila anime, per bisogno di lavoro, ma quello che aveva trovato nell’Esercito gli piaceva: prima il servizio di leva e poi in ferma permanente presso il 186esimo Reggimento Paracadutisti della Folgore, di stanza a Siena, con alle spalle altre due missioni delicate: Kosovo e Libano. Davide Ricchiuto era autista, era giunto in Afghanistan il 6 maggio scorso e da allora non era più tornato in Italia.

    L’ultima volta che Ricchiuto aveva visto la sua famiglia a Tiggiano era stata la scorsa Pasqua. I familiari lo attendevano a casa anche per fine agosto, ma poiché a Kabul si era verificata una carenza di autisti nell’Esercito la licenza non gli era stata più accordata. Gli amici dicono di lui che «è morto da eroe». La morte del militare è giunta in casa Ricchiuto, in via Genova, poco prima delle 14 con una telefonata. Poco dopo il generale Carmelo Cutropia, comandante della Scuola di Cavalleria di Lecce, e il cappellano militare hanno raggiunto la famiglia per incontrare la madre e la sorella del caporal maggiore. Il padre stava rincasando dalla vicina Casarano dove lavora come operaio edile, quando ha scorto le auto dell’Esercito. Gli è bastato poco per avere anch’egli la conferma che uno dei morti di Kabul era proprio il figlio. Corre verso casa ma sulla soglia si accascia per un malore

    Subito dopo è stato il sindaco di Tiggiano, Ippazio Antonio Morciano, a portare le sue condoglianze, poco dopo tutto il paese. «E’ morto da eroe», dicono gli amici con i quali Daniele Ricchiuto era in contatto via e-mail o attraverso i gruppi dei social network, uno spazio di incontro che è diventato un luogo della memoria e del rimpianto.


    http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22105&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=


     

    http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22108&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=
  • Di ELDOMO (---.---.---.120) 19 settembre 2009 10:42
    ELDOMO
    Martin, sette anni: il diavolo mi ha portato via papà

    Mamma Gianna ha aspettato che Martin Fortunato tornasse da scuola. "Lo sai che lavoro fa papà ?", ha subito chiesto al bambino. "Perché papà è ferito?" , chiede Martin appoggiando lo zaino in camera sua. "E’ successa una cosa, la più brutta. Papà è morto", risponde mamma. Martin ha sette anni e anche ieri è andato a scuola. Il figlio del colonnello della Folgore è convinto che "è stato il diavolo cattivo a portasi via" il suo papà.

    Il piccolo è entrato in classe alla seconda ora. La sua scuola ha una bandiera listata a lutto. "L’attività continua regolarmente - spiega la maestra dell’elementare di Siena. E il preside Oliviero Appolloni dice: "Cerchiamo nell’ordinario la risposta per accompagnare il bambino in questa fase così difficile".

    18 settembre 2009
     
     
     
     
     
     
  • Di Paolo Maria Coniglio (---.---.---.176) 20 settembre 2009 20:37

    A Roberto Valente, ai Ragazzi caduti a Kabul
    Grazie Roberto per il sacrificio che hai fatto per l’Italia, per tutelare il sogno di libertà.
    Personalmente non condivido l’intervento "pacifico" dell’Italia nei paesi dove c’è la guerra. Paesi la cui cultura è lontanissima dal rispetto altrui e quindi dall’embrione della LIBERTA’. Noi le nostre guerre le abbiamo già avute, il sangue lo abbiamo già versato. Siamo obiettivi troppo facili per chi vuole colpirci, alimentando gratuitamente il fanatismo di persone prive di senso civico, accecate dall’integralismo religioso. Gente vigliacca e nascosta nell’ombra. Le Guerre Mondiali, in particolare la lotta al nazismo e al fascismo erano raffigurate da nemici palpabili, visibili. I talebani, nascosti all’ombra dei civili, combattono una guerra subdola e che soprattutto non ci appartiene. Nei loro attentati salta per aria un pezzo valoroso e glorioso d’Italia assieme ad un sacco di civili innocenti ed ignari. Bambini, donne, anziani ma questo per loro senza rispetto va bene. Per noi italiani questo non va bene! Ho avuto un nonno prima soldato e poi partigiano, mio padre era ufficiale durante la Seconda Guerra Mondiale e non credo che avrebbero voluto ascoltare queste notizie.
    Abbraccio la tua famiglia, Roberto, con gesto fraterno e con le lacrime agli occhi, mortificato dall’impotenza che mi pervade ora. Sono orgoglioso di essere italiano grazie a persone valorose come te, eroi veri in tempo di pace ma perdona la mia delusione di essere rappresenatato da una classe politica, indipendentemente dal colore, che nonostante il nostro passato di enorme sacrificio si ostina a mandare al macello ragazzi d’oro, padri di famiglia, amici veri senza offrire loro opportunità concrete di lavoro. Mi unisco anche al dolore di tutte le famiglie degli altri ragazzi che hanno perso la vita.

    Paolo Maria Coniglio

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