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Jacko. Più che un funerale, un Circo Barnum

Io proprio non lo capisco tutto questo turbinio di voci e di cifre che ancora ieri dallo Staples Center di Los Angeles si è abbattuto su tutti noi per tutto il pomeriggio, irradiato dalle televisioni di mezzo mondo in una “diretta” di circa sei ore.
Parlo ovviamente della cerimonia funebre per Michael Jackson, che di funebre non ha avuto proprio nulla, se non il dolore espresso sulle facce bagnate di lacrime di pochi fan sinceri.
Per il resto, un vero e proprio circo con tanto di elefanti asiatici (11 per la precisione) e sette cavalli dei Ringling Bros and Barnum & Bailey che dalla Union Station di Los Angeles si sono diretti poco prima dell’inizio della cerimonia verso lo Staples Center, bloccando tutte le strade adiacenti.
Ma questo era l’effetto voluto, il blocco stradale che in altre occasioni come quella della consegna degli Oscar, avrebbe infastidito la popolazione della città californiana, ieri è stato un vero e proprio “must”. Un effetto voluto dall’organizzazione a sottolineare la maestosità (io la chiamerei buffonata) di un evento ipertrofico con troppo di tutto.
 
Intanto le cifre: 2,5 milioni di dollari per la Municipalità che ha fornito agenti per la sicurezza e protezione del pubblico. 5 milioni di dollari di guadagno per Los Angeles sull’afflusso di turisti e visitatori. 1 miliardo di spettatori dalle Tv e dal web mondiali, 20mila circa gli spettatori con biglietto dentro dello stadio. 25mila dollari il costo della bara placcata in oro destinata a contenere il corpo di Jacko.
Sono proprio questi numeri a dare un’idea della grandiosa macchina da business con la quale l’organizzazione, da sempre foraggiata grazie al successo planetario del Re del pop, si è potuta almeno in parte rifare delle spese per il mancato concerto di Jacko a Londra.

 
Un concerto al quale la popstar si stava preparando da un anno, sul quale Jackson puntava per un rientro in piena regola sulle scene mondiali. Era malato da tempo ma i debiti e l’impietosa macchina dello show business avevano costretto Jacko a uno sforzo sovrumano pur di rientrare nel “giro” e soddisfare così l’avidità dei suoi manager.
 
La saggezza del corpo, però, ha avuto la meglio: si è sottratta alla tirannia del successo voluto a tutti i costi ed ha detto “stop”. Piangano pure i ragazzi, i giovani, i bambini, gli amici veri e tutti quelli che in Jacko avevano proiettato le proprie fantasie di gloria e grandezza. A loro e con loro va anche il mio pensiero. Ma a tutto il business che campa sulle stravaganze dei “grandi”, impietoso delle fragilità che molto spesso i “grandi” si portano dentro, anzi troppo spesso incitante alle stravaganze che “fanno vendere”, ecco adesso chiedo un po’ di compassione. E di silenzio.
 
Mentre tra lo sbeffeggiante popolo dei bloggers c’è chi lancia come ultima provocazione l’idea che quel sarcofago imponente e luccicante, atteso con trepidazione allo Staples e salutato dai gospel più commoventi, non contenesse proprio nulla se non un’idea, un fantasma, da continuare a piangere per la gloria del mercato.

Commenti all'articolo

  • Di Luigi Russo (---.---.---.133) 8 luglio 2009 23:33
    Luigi Russo

    Sono d’accordo con te Virginia, alla fine è stato solo uno show business tutta quella sfarzosità, che secondo me lo stesso Michael non avrebbe voluto, dato che erano anni che non si faceva vedere. Ora si inveteranno la storia che non è morto in realtà...come è successo con Elvis.

    • Di virginia (---.---.---.240) 9 luglio 2009 10:14

      Ma lo sai che ancora oggi per gli studenti italiani che si recano negli Usa per un viaggio cosiddetto culturale è prevista una visita di un giorno a Memphis peri cimeli di Elvis Presley? Sarà la stessa cosa per decenni anche per Jackson, mentre il business ora tiene viva l’attenzione sul corpo: dov’è, dove sarà tumulato, c’è davvero senza la testa che invece viene esaminata dagli esperti pervedere che cosa contiene? e via via con particolari macabri, kitsch, gossip...per i gonzi che ci credono.

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