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Italia in crisi? Non nell’industria bellica. E che affari con la Libia...

L'industria italiana crolla a picco sotto i colpi della crisi. Eppure il settore bellico scoppia di salute. Un dossier di Mosaico di Pace rivela, dati alla mano, il giro d'affari tra Italia e resto del Mondo. Compresa la Libia: il governo di Gheddafi si difende proprio con le nostre armi...

Se c'è un settore che in Italia non paga il prezzo della crisi è quello degli armamenti. Lo rivela, in un dettagliato dossier intitolato “L'economia, le armi, l'Italia” il mensile diretto da padre Alex Zanotelli Mosaico di Pace. La ricerca, dettagliatissima, rivela il giro d'affari presente dietro l'industria bellica. Un giro d'affari di miliardi di euro che, tra l'altro, offre uno spunto importante per comprendere i reali motivi del nostro impegno bellico in Libia e Afghanistan.

Protagonista assoluto è Finmeccanica, leader europeo nella produzione di elicotteri, aerei da combattimento e sistemi di difesa. I principali proprietari di Finmeccanica sono il Ministero dell'Economia, con il 32,4 per cento delle quote azionarie, ma anche la Lybian Investment Autority (ovvero il governo libico) e BlackRock (entrambe con il 2 per cento circa): quest'ultima, per inciso, è la più grande società di investimento del mondo e gestisce un patrimonio di 3.360 miliardi di dollari. Amministratore delegato di Finmeccanica è Giuseppe Orsi che al recente Salone dell’Aerospazio di Le Bourget ha dichiarato, come si trattasse di una partita a Risiko e non della vita e morte di esseri umani: “Finmeccanica deve focalizzare la sua attività sui mercati emergenti. Dobbiamo aumentare la nostra presenza in paesi-chiave come India, Cina, Turchia, Russia, Brasile e Medio ed estremo Oriente. Tutto ciò, anche perché il budget del governo statunitense per la Difesa in proiezione si abbasserà”.

Ma vediamo i numeri: secondo il dossier, nonostante la crisi economica internazionale, “l’industria militare italiana nel 2009 ha lavorato a pieno ritmo per far fronte sia alle nuove commesse sia a quelle già autorizzate negli anni precedenti, tanto che le consegne effettive di armamenti nel 2010 hanno raggiunto la cifra record degli ultimi vent’anni: si tratta quasi 2,8 miliardi di euro, rispetto ai 2,2 miliardi di euro del 2009, con un incremento quasi del 25%. Il trend delle effettive consegne di materiali d’armamento è in costante crescita nell’ultimo decennio: si passa – in valori costanti – dai circa 500 milioni di euro del 2004 a quasi 2,8 miliardi di euro nel 2010, con un incremento in otto anni pari al 460%”.

Tradotto vuol dire che il comparto militare dell’industria italiana negli ultimi anni ha progressivamente rafforzato la propria capacità e il proprio “dinamismo internazionale”, soprattutto in alcuni “mercati di interesse”: Medio Oriente e Nord Africa.

Secondo il dossier di Mosaico di Pace “verso i governi dei paesi di quest’area sono state rilasciate autorizzazioni all’esportazione per un valore complessivo di oltre 1,4 miliardi di euro (il 49,1%) cioè il doppio di quelle rilasciate ai paesi europei (compresa la Turchia) che sommano a meno di 715 milioni di euro (il 24,6%) e quasi il quintuplo di quelle per i paesi del nord America che non superano i 302 milioni di euro (il 10,4%). I principali partners commerciali dell’industria militare italiana sono stati, infatti, nel 2010 gli Emirati Arabi Uniti (477 milioni di euro di autorizzazioni per armamenti) seguiti dall’Arabia Saudita (432 milioni di euro) e – si noti – dall’Algeria per 343 milioni di euro che, secondo il rapporto della presidenza del consiglio, consisterebbero in non ben specificate apparecchiature elettroniche”.

Va invece notata la riduzione di commesse da parte della Libia (quasi 38 milioni di euro rispetto ai 112 milioni del 2009): al regime di Gheddafi sono, però, stati consegnati fino al dicembre scorso oltre 100 milioni di euro di armamenti tra cui “bombe, siluri e razzi” già autorizzati in precedenza e veicoli terrestri e aeromobili di nuovi di zecca. Nessuna segnalazione, invece, delle oltre 11mila armi semi-automatiche del valore di circa 7,9 milioni di euro prodotte dalla ditta Beretta e consegnate alla Direzione armamenti della Pubblica Sicurezza del rais libico.

I dati riguardanti la Libia sono quantomeno curiosi. Da marzo, come è noto, l'Italia è impegnata insieme alla Nato nel tentativo di rovesciare il regime di Gheddafi anche con l'ausilio di cacciabombardieri. Il governo italiano ha inoltre garantito ai ribelli lo stanziamento di 400 milioni di euro. Eppure il “rais” resiste e ha ordinato ai suoi uomini di riconquistare Bengasi. Ovviamente con l'ausilio di armi e sistemi di difesa acquistati proprio all'Italia e venduti da Finmeccanica.

Alla demenza non c'è davvero fine...

Commenti all'articolo

  • Di Piero Cappelli (---.---.---.246) 7 agosto 2011 08:09
    Piero Cappelli

    questo articolo denota che l’informazione sulle questioni militari sono veramente accantonate perchè vannoa disturbare tanti interessi e svelano connivenze spregiudicate pur di raggiungere l’obiettivo della vendita di armi e del guadagno con la pelle delle persone umane.
    e di questo non dice niente nemmeno quella sinistra come Vedola che dovrebbe battere questo tasto più spesso per ’sputtanare’ tutti coloro i quali lasciano che il nostro sistema industriale bellico possa continuare a produrre e vendere armi arricchendo uno Stato e dei dittatori, insieme, che pur di fare affari si tollerano di fronte al mondo e poi al buio lavorano insieme per la morte. vergogna e solo vergogna. questo stato non vale più la nostra fedeltà quando si contraddice così spudoratamente la Costituzione: e il presidente Napolitano cosa dice su questo argomento? e i cattolici come Casini, Bindi e company ? i ’sinistri’ del Pd non vedono? saluti cordiali e ancora grazie di questo articlo. Piero Cappelli 

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