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Italia-Serbia. Le tante domande e le poche risposte

Il teppista serbo Ivan Bogdanov, che ieri ha tenuto sotto scacco uno stadio e più federazioni è stato arrestato nella nottata, nascosto nel bagagliaio del pullman che stava riportando a casa i “tifosi” serbi, alcuni dei quali felici di aver ottenuto ciò che volevano: guerriglia e stop della partita. Un arresto che non mette la parola fine alle polemiche che hanno travolto le Forze dell’Ordine, e soprattutto la federazione serba e l’Uefa.

La domanda che ci si è posti fin dal tardo pomeriggio di ieri è perché. Perché si è permesso ad un manipolo di criminali di mettere a ferro e fuoco una città e, non contenti, di permettere a quelle stesse persone di entrare allo stadio con le conseguenze che tutti noi abbiamo potuto osservare? Il tutto dopo una vigilia fatta di scontri in seguito alla sconfitta con l’Estonia, e non ultimi quelli al Gay Pride svoltosi pochi giorni fa a Belgrado, senza contare l’attacco del pomeriggio al pullman dei giocatori serbi che ha portato a dover abbandonare qualsiasi velleità di poter giocare (perché, ricordiamolo, di gioco dovrebbe trattarsi) il portiere Vladimir Stojkovic, il quale, stando alle parole di Prandelli, "tremava come una foglia"
 
Ecco, perché? Tutto sotto controllo, aveva detto il questore di Genova in una concitata telefonata col sindaco di Genova Marta Vincenzi, ritrovatasi a contemplare lo spettacolo agghiacciante di un centro cittadino sotto scacco coi nazionalisti serbi che imbrattavano, non solo con scritte, i muri del Municipio. Ma sotto controllo, almeno a vedere la situazione dall’esterno, sembrava ci fosse ben poco. Un criminale diventato simbolo per chi questa pazzia ha appoggiato, a cui è stato permesso di prendersi gioco delle forze dell’ordine e di tenere in ostaggio uno stadio, due nazionali e una Uefa che ancora una volta ha aspettato troppo tempo per dichiarare terminata una partita che aveva avuto il coraggio di far cominciare a giocare (5 minuti e poi tutti negli spogliatoi a causa del lancio di fumogeni addosso a Viviano, il portiere della nazionale).
 
Un’ora in cui, in diretta tv, abbiamo potuto vedere - più a causa di colpe serbe che di errori italiani, questa volta - uno spettacolo indegno di un paese civile. A quel punto le Forze dell’Ordine hanno fatto ciò che potevano, ovvero posizionarsi davanti al settore ospiti in tenuta antisommossa evitando quello che a un certo punto in molti hanno temuto, ovvero l’entrata forzata nel settore serbo. Forze dell’ordine impegnate, poi, nel dopopartita a respingere la violenza di quello che non è possibile chiamare tifo, compiendo decine di arresti e fermi, fino a scortare i pullman dei supporter serbi al confine.
 
Dato che di risposte per ora ce ne sono ancora poche (anche se quella più importante è l’arresto del fanatico serbo), sono le domande a fare capolino nelle nostre teste. E’ possibile che in un paese che ha adottato la tessera del tifoso e che da anni lotta, con più o meno successo, il “tifo” violento, possa succedere questo? Sì, sembra essere la risposta,e la causa è la scarsa collaborazione dei colleghi serbi che non dovevano permettere a questi scalmanati di uscire dai confini; gente schedata e conosciuta, che circola liberamente oltre che nel proprio paese, anche per l’Europa, provocando solo danni.
 
 
Come prendere poi il gesto dei calciatori della Serbia che, sicuramente per cercare di calmare il calmabile ma pur sempre dopo essere stati aggrediti, hanno sottostato alla violenza iconografica di quelle tre dita alzate, simbolo della Grande Serbia tanto cara ai nazionalisti. Un gesto che voleva essere pacificatore ma che ha sottomesso lo sport e il calcio alla politica più violenta; ma soprattutto un gesto che si scontra non solo con la violenza subita dal primo portiere serbo, ma anche con le lacrime versate da Stankovic negli spogliatoi.
 
E, infine, come non parlare di ciò che è successo durante la diretta Rai: un gruppo di professionisti si è lasciato prendere (d)alla pancia da una situazione sicuramente esecrabile, ma che, proprio per questo, avrebbe dovuto portarli a essere ancora più ragionevoli. Una circostanza senza dubbio straordinaria che ha mescolato calcio, politica e nazionalismo, trattata in maniera tutt'altro che professionale. Tesi azzardate (le tre dita scambiate per per uno sfottò calcistico), frasi come “dovrebbero tenerli tre giorni chiusi”, che vanno bene al bar o nel salotto di casa, non in diretta Rai, e una sensazione generale di sbando che non ha aiutato lo spettatore, che dovrebbe piuttosto essere aiutato a comprendere quello che succede, non essere accondisceso nei suoi istinti più bassi.
 
E non consola e non consolerà il 3 a 0 a tavolino che ci permette di rimanere in cima alla classifica e ipotecare la qualificazione. Lo spettacolo indegno (calcisticamente parlando) avremmo preferito vederlo sul campo.
 
Update: Repubblica dice che anche l'Italia rischia la squalifica per non aver saputo gestire l'ordine pubblico
 
Credits Foto: Il Secolo XIX

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