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Israele, la guerra e la non-vittoria su Hamas

Le ipotetiche conclusioni del conflitto erano tre, dopo l’azione di Hamas del 7 ottobre – dieci volte i morti dell’attacco terroristico al Bataclan, ma fatte le debite proporzioni fra i due paesi (la popolazione israeliana è un settimo di quella francese), equivalente a 72 Bataclan in un solo giorno. E ovviamente dopo la prevedibile, durissima reazione israeliana.

Tutte e tre sul piatto, fino a ieri. Oggi è ben più arduo dirlo.

La prima prevedeva un rapidissimo allargamento del conflitto a tutto il Medio Oriente, con attacco concentrico allo stato ebraico da parte dei miliziani di Hamas dalla striscia di Gaza, di quelli di Hezbollah dal Libano, di altre sigle jihadiste supportate dall’Iran dalla Siria e, naturalmente, dai supporter palestinesi della Cisgiordania. Migliaia di razzi e missili in contemporanea avrebbero saturato le difese causando enormi distruzioni, un numero molto alto di vittime militari e civili e il blocco dell’economia dello stato ebraico. La reazione israeliana avrebbe devastato il Libano, oltre che Gaza, causato migliaia di morti fra i palestinesi, i libanesi e i miliziani provenienti dalla Siria e forse anche dalla Giordania. L’Iran stesso avrebbe potuto inserirsi nello scontro con migliaia di missili balistici per evitare il collasso dei suoi alleati più vicini ai confini di Israele. Con conseguenze imprevedibili.

Questo quadro, molto fosco e dalle prospettive drammaticamente preoccupanti, deve essere stato considerato assai credibile al Pentagono, tanto che gli Stati Uniti hanno dispiegato rapidamente una forza di dissuasione impressionante sia nel Mediterraneo orientale, sia nel Mar Rosso dove la marina è intervenuta a più riprese per abbattere missili e droni yemeniti diretti verso il sud di Israele.

Forse proprio per questa pronta reazione, ben poco di quanto era stato temuto si è poi realizzato davvero. Che Hamas abbia clamorosamente sbagliato i suoi calcoli, mal interpretando le intenzioni dei suoi alleati, o che essi si siano resi conto che la reazione americana andava presa molto sul serio, lo sapremo, forse, in un lontano futuro grazie al lavoro di qualche storico.

Per ora sappiamo solo che "alcuni giorni fa – come ha scritto Guido Olimpio sul Corriere – un esponente della fazione [Hamas] ha dichiarato al Financial Times: siamo stati sorpresi dalla reazione di Washington e non da quella di Israele. Pensavano che gli americani sarebbero rimasti “fuori”. Ma l’eccidio nei kibbutz e le minacce esterne (Iran, Hezbollah, milizie sciite) hanno superato la linea rossa».

La prima strada possibile, quella di uno scontro globale portatore di immani distruzioni e di un numero impressionante di morti, capace anche di mettere in serio pericolo l’esistenza stessa dello stato ebraico, è stata così bloccata (o è abortita) sul nascere.

La seconda possibile conclusione era che Israele costringesse Hamas alla resa, se non altro per evitare un costo immane al suo stesso popolo. Ma sappiamo che «Mahmoud al Zahar, uno dei leader di spicco di Hamas, ha detto che la Palestina non è altro che uno tassello di poco valore di fronte al più ampio progetto transglobale di governare il mondo islamico attraverso Hamas e l’Organizzazione internazionale dei Fratelli Musulmani». Sono parole del quotidiano saudita Okaz e c’è da crederci. Hamas sapeva bene che con la mattanza del 7 ottobre avrebbe superato una invalicabile linea rossa; e sapeva anche che la reazione sarebbe stata devastante. Ma questo non l’ha fermata. Anzi, un alto numero di “martiri” rientrava ampiamente nei suoi interessi strategici.

Tuttavia lo scontro diretto con Hamas è stato più limitato del previsto.

Nonostante le distruzioni e un numero imprecisato di morti (le cifre fornite, anch’esse arma di propaganda nelle mani del Ministero della Salute di Gaza cioè di Hamas, sono quel che sono) la presenza di oltre duecento ostaggi nei cunicoli di Gaza, la pressione dei loro familiari e quella internazionale, soprattutto americana, perché vengano contenute le perdite civili (quello israeliano è l‘unico esercito al mondo che avverte prima di colpire informando dove e quando lo farà, come riportato dalla BBC, emittente solitamente ben poco tenera con Israele) e la prassi islamista di farsi scudo con i civili, hanno limitato lo scontro diretto con i combattenti di Hamas (tra 15 e 40mila secondo alcune valutazioni) probabilmente asserragliati nei tunnel di Gaza city o di Khan Younis.

Poi la trattativa per lo scambio ostaggi/prigionieri palestinesi ha imposto uno stop alle azioni militari per i primi quattro giorni concordati, poi per un quinto, un sesto, un settimo… e vedremo se si trasformerà in un cessate il fuoco definitivo (almeno fino al prossimo round).

L’idea che alla fine, nonostante la volontà del governo e dell’opinione pubblica israeliani, si dovesse fermare l’attacco a Gaza si è velocemente diffusa fra le cancellerie occidentali, all’Onu e, soprattutto, alla Casa Bianca. Oltre cinquanta giorni di guerra sono il massimo accettabile se non si è una delle superpotenze globali. Solo loro possono fare quello che vogliono per tutto il tempo che vogliono o quasi. Usa e Russia l'hanno ampiamente dimostrato.

Partita con l’obiettivo di sradicare Hamas distruggendolo o costringendolo all’esilio, l’offensiva israeliana non ha certamente centrato l’obiettivo prioritario dichiarato fin da subito. E questo ci porta alla terza conclusione possibile.

Sostanzialmente Israele ha perso lo scontro tre volte in rapida successione: la prima volta dimostrando un’impreparazione a dir poco sconcertante per un paese che è sul piede di guerra fin dalla sua nascita. In secondo luogo ha perso la battaglia della propaganda passando in brevissimo tempo, nei sentimenti dell’opinione pubblica mondiale (che in Occidente influenza non poco le scelte governative), da vittima di una terribile strage a colpevole di una strage più grave (ma qui è evidente che tutti sanno dire che cosa Israele NON avrebbe dovuto fare, ma nessuno sa dire che cosa avrebbe potuto davvero fare in una situazione come quella post 7 ottobre). E per finire sembra non aver vinto sul campo la battaglia con un nemico che è rimasto praticamente inafferrabile mentre il tempo giocava a suo favore.

Le cose potrebbero cambiare con la fine della tregua, è chiaro, ma ad oggi - stanti i malumori americani sul proseguimento dell'offensiva - non si vede altra conclusione che questa. Il che ha evidentemente una ricaduta pesante sul governo di estrema destra guidato da un leader che, appena fermate le armi, sarà chiamato a rispondere di tante cose. Troppe perfino per uno come lui.

È chiaro che Hamas definendo “una vittoria” la strage del 7 ottobre sapeva quel che diceva.

Dimostrando di poter colpire al cuore lo stato ebraico, ne ha distrutto l’alone di inattaccabilità su cui si fondava la sua capacità di deterrenza. E se un attacco è stato possibile, altri ne potranno seguire, con i tempi e i modi della paziente guerra di lunga durata concepita dai leader palestinesi. Questo è il messaggio che è passato fra la gente di Gaza e della West bank, fra le folle arabe, fra i tanti emigrati che hanno esultato nei cortei di Londra o New York. Questo è il messaggio recepito dai leader arabi che hanno sottoscritto, o stavano per farlo, gli Accordi di Abramo con lo stato ebraico, adesso congelati.

«Dal Marocco all’Arabia Saudita, sarà ora più difficile spiegare le necessità della normalizzazione politica ed economica con Israele, a un’opinione araba che ha visto quelle immagini di una battaglia così inaspettatamente vittoriosa» scriveva un mese fa Ugo Tramballi.

La guerra per la liberazione della Palestina continua e può vincere. Ci credono.

Guerra non finalizzata - come vorrebbe la vulgata diffusa nella gauche occidentale - a liberare i territori al di là dei “confini” del ’67, pretesa fondata sul (sacrosanto) diritto palestinese ad avere un proprio stato accanto a quello ebraico, ma molto più prosaicamente a liberare l’intero territorio “from the river to the sea”, dal Giordano al mare. La liberazione della Palestina passa per l'eliminazione dall’esistenza stessa di Israele. Obiettivo chiarissimo, scritto nero su bianco nello statuto fondativo di Hamas, nelle parole dei suoi leader, in quelle dei leader di Hezbollah, in quelle di fuoco degli ayatollah iraniani, ribadite ancora una volta poche settimane fa a Riyad.

Questo obiettivo strategico, che rappresenta l'opinione prevalente fra i palestinesi secondo un sondaggio del 14 novembre, è il vero impedimento, l'ostacolo principale, a una soluzione duratura del conflitto.

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Se Israele deve sparire, foss'anche alla fine dei tempi, di quale trattativa si può realisticamente parlare? E se non si può trattare che altro si può fare? Questo è il dilemma che i due contendenti saranno chiamati a sciogliere quando le armi taceranno. Il crollo prevedibile della destra attualmente al governo si tramuterà forse in un governo disposto a fare concessioni sui Territori, come fecero senza fortuna Barak nel 2000 e Olmert nel 2008, ma se, sull'onda del successo si dovesse imporre la logica dell'Armageddon finale propugnata da Hamas, chi ne pagherà le conseguenze più disastrose?

Gaza è lì a dimostrarlo.

Foto Utenriksdepartementet UD/Flickr

 

 

 

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.44) 4 dicembre 2023 09:29

    Ad oggi i morti palestinesi per mano di Netanyahu sono circa 15.000 (di cui almeno 6500 bambini). Fatte le debite proporzioni ( la popolazione di Gaza è circa un 26- esimo di quella francese) i morti corrispondono a circa 2700 Bataclan. Dal conto escludiamo gli extra della Cisgiordania e i pregressi da qualche decennio ad oggi.

    Vedo che insisti.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.55) 4 dicembre 2023 09:38
      Fabio Della Pergola

      Vedo che ti riesce ancora difficile accendere i neuroni prima di rispondere.

      Fino al 6 ottobre quei 15mila erano ancora vivi. E lo sarebbero rimasti se Hamas avesse deciso di abbandonare la prassi terroristica che invece abbiamo visto tutti (tranne te forse) il 7 ottobre.

      E oggi altre centinaia, forse migliaia, sono ancora vivi, ma domani forse non lo saranno più perché Hamas ha deciso, nonostante le distruzioni che si è volutamente tirato addosso, di NON arrendersi, NON depositare le armi, NON liberare gli ostaggi che ancora detiene in prigionia.

      Mai a voi basta gridare che Israele deve fermarsi (mai che Hamas deve arrendersi) per sentirvi ganzi. Ahinoi.

  • Di paolo (---.---.---.68) 4 dicembre 2023 10:49

    Lascia stare i neuroni, non sei in grado di giudicare.

    Se Israele (vedi occupazione dei territori non suoi e relative stragi) si fosse comportato diversamente da uno Stato spietato e sanguinario oppressore dei diritti altrui, probabilmente Hamas non sarebbe mai esistita. Dopo la performance attuale di Netanyahu, stai certo, avrà in eredità forse altre due o tre Hamas. Mi confermi che hai un pò di difficoltà nell’analisi tra cause ed effetti.

    Comunque faccio un break per stemperare un pò il clima. In qualche modo mi ricordi quel Fubini agitato a Piazza Pulita di qualche tempo fa che, in un confronto con il prof. Orsini, dopo averlo invitato a studiare meglio la storia americana(?!!), affermò, tra altre perle di saggezza, con molta sicumera " gli USA in tutta la loro storia non hanno mai bombardato le città". Stupore sul volto di Orsini e Formigli. Allora uno si chiede come mai gli USA stanno sulle balle alla stragrande maggioranza dei popoli del mondo (esclusi ovviamente quelli con la funzione di camerieri con annessi e connessi). Secondo te come mai?. 

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.193) 4 dicembre 2023 11:04
    Fabio Della Pergola

    Quanto a storia stai a zero. Hamas ha dichiarato che il suo obiettivo era la distruzione di Israele nel 1988, proprio nel momento in cui l’OLP decideva di cambiare strategia accettando un percorso di trattative. Ma fino a quel momento l’OLP aveva adottato lo stesso obiettivo finale, la distruzione di Israele, come propria ragion d’essere. Cosa messa in pratica, prima ancora, dagli stati arabi che direttamente hanno provocato tre guerre di aggressione con l’intento dichiarato di "buttare gli ebrei in mare". E questo ben prima che la Cisgiordania fosse occupata da Israele, essendo occupata dalla Giordania fin dal 1948. L’intento di eliminare l’esistenza di israele ha radici ben precedenti l’occupazione dei Territori, ma tu lo ignori, dimostrando di essere totalmente a digiuno di cosa sia realmente l’analisi di causa/effetto. Dimostrando una volta di più che più si ignora e più si pretende di avere il diritto di insegnare ad altri. Non a caso sei uno che poi cita Orsini (sic!)...

  • Di paolo (---.---.---.89) 4 dicembre 2023 12:44

    Mi viene un sospetto. Ma sei di origine ebraica? Diciamo come la Di Cesare . E’ l’unica spiegazione ragionevole che giustifica la metamorfosi. Appunto, non è un caso che tu provi avversione per Orsini visto come butta la guerra della NATO contro la Russia by ciccia degli ucraini. Comunque onde evitare che il mio troppo commentarti diventa stalking, passo e chiudo. Continuerò a leggerti con piacere.

    ciao

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.32) 4 dicembre 2023 15:51
    Fabio Della Pergola

    Quale metamorfosi? Sono sempre stato (salvo i miei anni adolescenziali in cui protestavo contro tutto e tutti ma senza aver mai aperto un libro) a favore della soluzione a due stati. Cioè alla definizione concordata di un confine da rispettare. Cosa che non è stata possibile finora (a differenza del confine internazionale dell’Ucraina che anche la Russia si impegnò a rispettare firmando a Budapest un apposito accordo, anche se poi abbiamo visto come li rispetta i trattati...). Nel caso in questione addebito ai palestinesi (e prima ancora agli stati arabi) l’aver reso impossibile quel necessario accordo, a partire dal rifiuto della proposta di spartizione britannica del 1937 fino a oggi, dal momento che Hamas è la forza politica prevalente e nel suo statuto ha scritto, bello chiaro, l’obiettivo di eliminare Israele dalla faccia della terra. Cosa che ha conseguenze evidenti sulla gente di Gaza, poveretta. Orsini è uno che all’indomani del 24 febbraio chiedeva all’Ucraina di arrendersi per non farsi distruggere e oggi accusa Israele di distruggere Gaza. Doppiopesismo a iosa. Impossibile prenderlo sul serio, troppo fatuo. L’Ucraina se si fosse arresa subito avrebbe perso la sua indipendenza, non arrendendosi l’ha conservata. Se ti pare poco... Le mie origini? Come le tue: un babbo e una mamma. Continua a leggermi, mi fa piacere. Saluti.

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