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Evo Morales: "Israele è uno stato terrorista"

Mentre gli Stati Uniti spendono vaghe parole di preoccupazione per le vittime civili a Gaza e l'Europa, ancora una volta, appare incapace di esprimere una posizione chiara ed unitaria sul massacro in corso, dall'America Latina arrivano segnali inequivocabili di insofferenza verso la politica di Israele e gli effetti devastanti dell'operazione "Margine Protettivo".

Fino ad oggi sono cinque i paesi del continente ad aver richiamato i loro ambasciatori in Israele. Dopo Brasile, Cile, Ecuador e Perù, ieri anche el Salvador ha scelto la strada dello scontro diplomatico con Tel Aviv. Il governo israeliano si è dichiarato “profondamente deluso” per quella che considera una frattura ingiustificata e difficilmente sanabile.

Il portavoce del Ministero degli Esteri dello stato ebraico, Yigal Palmor, ha dichiarato che l'iniziativa intrapresa dai cinque stati americani “incoraggia Hamas, che è stata riconosciuta come un'organizzazione terroristica da diversi paesi. I paesi che si oppongono al terrorismo devono agire responsabilmente e non dovrebbero giustificare (i terroristi ndr). Nel momento in cui Hamas si è assunta la responsabilità di ostacolare il cessate-il-fuoco, El Salvador, il Perù e il Cile erano tenute a supportare l'impegno internazionale per la pace e la demilitarizzazione di Gaza”.

L'appello alla pace e alla responsabilità è stato lanciato da un governo che ha appena annunciato la mobilitazione di altri 16.000 riservisti e le cui scelte militari hanno fino ad oggi provocato oltre 1360 morti e più di 7000 feriti. Se l'intento era quello di richiamare all'ordine i 5 paesi latinoamericani, Israele ha ottenuto l'effetto contrario, allargando il fronte dei suoi oppositori.

Ieri è sceso in campo Evo Morales, presidente indio della Bolivia, noto per il suo anticonformismo e per le posizioni fieramente anti-americane. Morales ha scelto la strada dello scontro frontale, ribaltando la retorica impiegata da Israele per giustificare l'aggressione della Striscia.

La Paz ha dichiarato Israele uno “Stato terrorista”, stracciando un accordo bilaterale vecchio di 42 anni. L'annuncio è arrivato dopo una riunione del Consiglio dei Ministri: “Lo stato e il popolo della Bolivia hanno preso la ferma decisione di porre termine all'accordo, firmato nel 1972 dall'allora governo dittatoriale, che permetteva ai cittadini di Israele di entrare in Bolivia liberamente, senza la necessità di un visto”. “Ciò significa, in altre parole, che stiamo dichiarando Israele uno stato terrorista”, ha voluto mettere in chiaro il Presidente Morales. L'offensiva su Gaza, ha poi aggiunto, dimostra che Israele “non garantisce i principi del rispetto della vita e del diritto più elementare che governano la coesistenza pacifica e armoniosa nella nostra comunità internazionale”.

Difficilmente Israele potrà risentire dell'iniziativa simbolica messa in campo dalla Bolivia, ma dopo il bombardamento di un mercato e l'uccisione di 23 civili palestinesi che si erano rifugiati in una scuola gestita dalle Nazioni Unite, centrata da un missile dell'IDF, la pressione internazionale sullo stato ebraico perché accetti un cessate il fuoco si è fatta più forte.

L'ONU oggi ha di fatto preso posizione contro Israele, accusandolo apertamente di violare il diritto internazionale. L'Alto Commissario per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha denunciato seccamente i bombardamenti contro abitazioni civili, moschee, scuole e centri della comunità internazionale: “Nessuno di questi attacchi è sembrato casuale, ma un atto di deliberata violazione del diritto internazionale”. Lo stesso Ban ki-Moon, ieri, aveva scelto toni insolitamente duri per condannare il bombardamento della scuola dell'ONU nella Striscia: “Nulla è più vergognoso che attaccare dei bambini mentre dormono". Il Segretario Generale ha dunque censurato il massacro “nei termini più forti possibili", ribadendo che “tutte le prove a disposizione indicano che ad attaccare è stata l'artiglieria israeliana”.

L'isolamento internazionale non è mai stato un deterrente per Israele, forte dell'incondizionato appoggio americano e della traballante politica europea. Al momento però non si vedono altre prospettive di pace se non quelle che passano per la creazione di un ampio fronte trasversale capace di spingere lo stato ebraico a rallentare la sua azione militare e ad assumere maggiori responsabilità sul fronte della salvaguardia dei civili.

 

Foto: Alain Bachellier, Flickr

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