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Iron Maiden: The Number of the Beast (22 Marzo 1982)

Il 22 Marzo 1982 esce l'album più importante della storia dell'heavy metal, un disco epocale che rappresenta, guardando al suo passato e presente, il culmine della tradizione "veramente metal" inglese, quella inaugurata dai Judas Priest per capirci e nello specifico della NWOBHM, e volgendoci al suo futuro l'unica opera capace di unificare tutte le varie correnti successive, dal trash al death, dal black all'epic, dal progressive allo sludge, dal drone al post-metal, nella lode come nella (necessaria, vedremo dopo) presa di distanza.

The Number of the Beast è ovviamente troppo mondialmente noto e celebrato senza interruzione da decenni per rispondere ai canoni del disco di culto (e a fortiori del kvlt, che è solita estremizzazione metal); ogni metallaro che tenga un poco a dimostrare la propria preparazione sceglierà infatti, già dentro la stessa NWOBHM, un'alternativa, a cominciare da quel Lighting to the Nations dei Diamond Head, ormai da trent'anni necessariamente mediato dai Metallica.

Proprio The $5.98 E.P.: Garage Days Re-Revisited, l'EP di cover dei Metallica registrato come dimesso rientro discografico dopo la scomparsa di Cliff Burton, servirà in questo contesto. Si apre con Helpless dei Diamond Head e, si conclude, in coda a Last Caress/Green Hell dei Misfits, con una parodia scordata dell'inizio di Run to the Hills, brano che peraltro i Metallica hanno suonato varie volte dal vivo.

Il gesto si motiva con l'impossibilità per i Metallica di incidere una versione seria di quella canzone, in quanto gli Iron Maiden (nel 1987) non rappresentano altro che il Padre troppo temuto e quindi continuamente dissimulato da Lars Ulrich e compagni in Diamond Head, Misfits, Mercyful Fate. Il minimale confronto e affronto in parodia è quindi, nella realizzazione, una banale irriverenza, ma nell'intenzione un monumentale parricidio, come quasi sempre accade nel metal, che vive la dialettica di tradizione e innovazione e quindi il rapporto col passato in forma molto maschilmente bellicosa, con l'omicidio rituale sempre lì a portata di axe (e del resto i Metallica nel 1987 stavano per essere travolti dal death che montava dal basso e qualche anno più tardi quest'ultimo verrà assaltato dal black ecc.).

The Number of the Beast è stato invece suonato nella sua interezza dai Dream Theater, forse il gruppo oggi musicalmente più preparato in tutta la scena metal, in occasione di uno dei suoi famosi concerti tributo (simile omaggio hanno avuto The Dark Side of the Moon, Masters of Puppets e Made in Japan, solo The Number of the Beast è stato però distribuito come "official bootleg"). Il disco godibilissimo e con meravigliose pagine di gran virtuosi dimostra ancora più chiaramente la grandezza dei Maiden, nell'ascolto comparato.



Harris, Dickinson, Murray, Smith e Burr sono una band straordinaria per unità e compattezza, guidata dal basso formidabile e galoppante di Harris, a segnare la via per Bruce Dickinson e per la coppia di chitarre, che non scarificano mai il raddoppio in variazione e in rilancio di formidabile efficacia (come si può sentire al meglio nella finale Hallowed Be Thy Name) alla gloria caduca dell'assolo infernale, portando così a definitiva perfezione quel modello inglese della doppia solista che dai primi Settanta dei Wishbone Ash passa ai Judas Priest e quindi ai Maiden (e oggi in forma deliziosamente citazionista e follemente guitarherorica, proprio nel senso del videogioco, risorge nei DragonForce di Li e Totman).

Dickinson marca ovviamente la svolta rispetto ai Maiden forzatamente "punkeggianti" di Paul Di Anno con mezzi vocali, talento narrativo-operistico e presenza scenica assolutamente impossibili per il predecessore. Consente, come sempre si nota, a Harris un songwriting più complesso e prepara i Maiden per il dominio del mondo, letteralmente (The Number of the Beast ha venduto 14 milioni di copie e continuerà a vendere fin quando ci sarà un ragazzino in cameretta che alza il volume fino a undici e fa le metal horns).

A trent'anni di distanza l'album conferma quello status di classicità, che già alla sua uscita aveva visto subito riconosciuto. Di fronte a canzoni come la title track, Hallowed by Thy Name e l'anthem metal per eccellenza, Run to the Hills, non si può che riconoscere, oltre il genere, un genio musicale certo in molti aspetti limitato ma degno, in assoluto, del più grande rispetto.

Negli album successivi gli Iron Maiden affiancheranno a questo disco Piece of Mind e Powerslave in una formidabile trilogia; dopo il 1984 continueranno a crescere per successo mondiale trasformandosi in un enorme luna park itinerante e amplificato, sotto la protezione di Eddie (la famosa granguignolesca mascotte) e non ritroveranno più la felicità di scrittura della trilogia. Ma - luna park o meno- vedere e ascoltare Dickinson con centomila fans nel rito collettivo (perché tale è) di cantare il coro di Run to the Hills continua a essere l'epitome del metal classico (e non ne è ancora, fortunatamente, l'epigrafe tombale, nemmeno per gli Iron Maiden).

 

Per maggiori info: Iron Maiden - The Number of the Beast, EMI, 1982 (Wikipedia, AllMusic)

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