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(In)ter(per)culturando: alcune considerazioni tra ’I sommersi e i salvati’ di Primo Levi

… viene in luce che esistono fra gli uomini due categorie particolarmente ben distinte: i salvati e i sommersi. Altre coppie di contrari (i buoni e i cattivi, i savi e gli stolti, i vili e i coraggiosi, i disgraziati e i fortunati) sono assai meno nette, sembrano meno congenite, e soprattutto ammettono gradazioni intermedie più numerose e complesse.
 
Questa divisione è molto meno evidente nella vita comune; in questa non accade spesso che un uomo si perda, perché normalmente l’uomo non è solo, e, nel suo salire e nel suo discendere, è legato al destino dei suoi vicini; per cui è eccezionale che qualcuno cresca senza limiti in partenza, o discenda con continuità di sconfitta in sconfitta fino alla rovina. Inoltre ognuno possiede di solito riserve tali, spirituali, fisiche e anche pecuniarie, che l’evento di un naufragio, di una insufficienza davanti alla vita, assume una anche minore probabilità. Si aggiunga ancora che una sensibile azione di smorzamento è esercitata dalla legge, e dal senso morale, che è legge interna; viene infatti considerato tanto più civile un paese, quanto più savie ed efficienti vi sono quelle leggi che impediscono al misero di essere troppo misero, e al potente di essere troppo potente.
(pag.79-90, ‘Se questo è un uomo’, capitolo ‘I sommersi e i salvati’)
 
Nel tempo della velocità, delle corse, gli impegni, le superfici lisce e lucide, documenti come ‘La strada di Levi’ ( dettagli in fondo, link tra le fondi – n.d.r.) sono strumenti preziosi che abbinano parole a immagini, rielaborazioni a riprese nude. Indubbiamente si può non essere d’accordo con le analisi, opinioni e angolazioni proposte.
Proprio partendo da ‘La strada di Levi’ mi è cresciuta l’esigenza di tornare su e con le parole di Primo Levi.
 
Nominando Primo Levi non si può non richiamare alla mente ‘Se questo è un uomo’, opera travagliata nelle pubblicazioni, opera discussa nei contenuti, negli intenti e nei lasciti, opera portata sui banchi di scuola, opera stratificata difficile da etichettare.
 
Ciò nonostante, proprio riprendendo le opere dell’autori oggi, (che ho trentun’anni rispetto a quando mi avvicinai a Levi dieci e più anni fa), mi sembra altrettanto notevole, fondamentale, l’ultimo scritto: ‘I sommersi e i salvati’.
Pubblicato nel 1986, con un anno di anticipo dalla morte dell’autore, in alcuni tratti inverte le proporzioni di ‘Se questo è un uomo’.
 
Innanzi tutto in ‘I sommersi e i salvati’ Levi non ha più l’urgenza di fissare con le parole il proprio vissuto, non è più della propria testimonianza che si occupa prioritariamente, con ‘Se questo è un uomo’ ha, in un certo senso, calmato questa sete feroce. ‘I sommersi e i salvati’ racconta molto meno, del Levi uomo dentro il campo, quanto del Levi che ascolta, registra, raffronta, analizza. Le testimonianze riportate nell’opera sono più frequentemente di altri, sebbene ci sono, altrettanto frequentemente, parallelismi con la realtà toccata con mano dall’autore stesso. 
 
Inoltre, sempre entro una sorta di capovolgimento strutturale, in ‘I sommersi e i salvati’ Levi si dedicata con passione, accuratezza e intensità alle analisi sociali, comportamentali, di dinamiche e sensi entro la natura umana. Un approccio che già ‘Se questo è un uomo’ ha avviato ma sebbene in quest’ultimo si mischia, forse perfino si cela, tra i racconti, le riprese di quel vissuto che Levi tira fuori da sé, ripercorre con lo sforzo di non perderne schegge importanti, di non sbavare troppo nelle spennellate.
 
Si può ragionevolmente affermare che ‘I sommersi e i salvati’ è il custode delle esperienze dirette e indirette di Levi trasmutate in analisi antropologiche, divenute affermazioni lucide, non serene ma nemmeno rancorose, oneste e aperte all’ascolto, lo stesso ascolto che in Levi non è mancato nemmeno nell’anno di prigionia, nemmeno nei momenti bui di freddo, fame perenne, paure e mali.
 
Rileggendo ‘I sommersi e i salvati’ mi sono insistentemente domandata come mai questo testo è nettamente meno noto, proposto e discusso. Come mai si è scelto ‘Se questo è un uomo’, come opera ‘principale’ di Primo Levi?
Le risposte possono essere tante, me ne rendo conto, e tutte con diverse argomentazioni certamente valide.
L’importanza di ‘Se questo è un uomo’ non è in discussione. Piuttosto trovo curioso e altrettanto interessante notare come un’altra opera che di fatto nasce da una costola di ‘Se questo è un uomo’ (c’è un capitolo intitolato proprio ‘i sommersi e i salvati’ da cui l’estratto in apertura – n.d.r.), rimane tra discorsi, approfondimenti e dibattiti, più in ombra.
 
Come se di Primo Levi (che non nasce intellettuale con una laurea in chimica tra tasche e pratica) si potessero più facilmente prendere in considerazione le ‘memorie ragionate’ di ‘Se questo è un uomo’ piuttosto che le consapevoli e fondissime analisi dei comportamenti umani ne ‘I sommersi e i salvati’. Come se il ‘peso letterario’ di Levi si fermasse alla sua verità e a quanto ne ha ricavato, in primis come individuo.
 
Che le esperienze vissute gli abbiano fatto scrivere ciò che a scritto, senza le quali forse nemmeno avrebbe scritto (per sua stessa ammissione in più d’un’occasione) è consapevolezza sodata. Mai Levi si è sottratto all’osservazione a posteriori di eventi, cause e conseguenze. Mai ha ceduto a smemoratezze di comodo, modellamenti dei fatti o ricostruzioni a piacimento di sequenze. Mai Levi, entro l’imperfezione umana, si è lasciato accecare, assordare o confondere da dolore, male, fatiche, odi e rancori. ‘I sommersi e i salvati’, in questo senso, mi sembra un testo ben più che dimostrativo degli sforzi dell’autore.
Sforzi però, che sono andati negli anni, ben oltre la riproduzione il più possibile fedele di quanto visto, registrato e ascoltato. Ben oltre.
 
Levi ha maturato studi sulla natura umani, ha lavorato di incastri, notando e perfezionando convinzioni generali sulle dinamiche psicologiche, fisiche, sociali in cui ricade l’uomo in determinate circostanze. E non si tratta di opinioni qualunquistiche e generaliste. Non si tratta di sentenze o assolutismi da ‘l’uomo è malvagio’, ‘tutto è male’, oppure ‘dal male non ci si salva’ e così via. Tutt’altro. Si tratta di toccare ogni cosa e tentare di sentirla per ciò che è. Nel male quanto nel bene. Nel calore quanto nel freddo. Tra cadute e sguardi verso l’alto.
 
L’importanza, la forza di ‘I sommersi e i salvati’ non è nelle ipotetiche ‘sentenze’ che ci si aspetta da un sopravvissuto. Come non arriva dalle dichiarazioni sorprendenti, ciò che Levi aveva da dire su quanto vissuto lo ha già ampiamente scritto e divulgato.
 
La potenza di ‘I sommersi e i salvati’ è nel proporre, con garbo e precisione, tra logiche e aperture, affondi e scavi sempre più profondi, a cercare radici e noccioli duri che dalla superficie non si vedono, dei quali forse si preferirebbe ignorare l’esistenza facendosi bastare le conseguenze, i gesti e i comportamenti manifesti.
 
Levi non si accontenta. Per questo continua a scrivere, io credo, pur avendo già raccontato quanto vissuto, quanto capito, quanto assorbito e rielaborato nel tempo.
Levi non si rassegna. Alle immutabilità. A lasciare che quanto c’è sotto, torni a sfuggire, trovi nuove caverne, nuovi buchi in cui celarsi in attesa delle prossime manifestazioni esterne, galleggianti.
A Levi non bastano le registrazioni storiche dei “campi d’annientamento nazisti” (prima riga, incipit de ‘I sommersi e i salvati’), non basta che i fatti siano noti o comunque ben impressi tra memorie e documenti.
Levi chiede un ascolto ulteriore, un annegamento che è poi emersione dall’apatia, dalla superficialità cieca che non usa la mente ma solo il corpo: Levi chiede di capire. E capire implica affondare, scavare, insistere, domandarsi, valutare e comparare più voci, più carni, più punti di vista.
A Levi non interessano aspettative, cliché o cataloghi usa e getta.
 
A Levi interessa illuminare il fondo. E nel fondo ci sono sommersi e salvati. Ci sono vittime e aguzzini, colpevoli e innocenti, confusi e consapevoli, coraggiosi e vili, fortunati e condannati, astuti e maldestri. Mentre il bene e il male, i buoni e i cattivi, sono onnipresenti ovunque e in chiunque.
 
 
Ripropongo alcuni estratti dal capitolo ‘La zona grigia’ uno dei più devastanti e incredibili (Levi lo ha definito il più importante del suo lavoro):
 
Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri e lo incoraggi. Limitiamoci ai Lager, che però (anche nella sua versione sovietica) può ben servire da <laboratorio>: la classe ibrida dei prigionieri-funzionari ne costituisce l’ossatura, ed insieme il lineamento più inquietante. E’ una zona grigia, dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare.
(pag. 29)
 
Il potere è come la droga: il bisogno dell’uno e dell’altra è ignoto a chi non li ha provocati, ma dopo l’iniziazione, che (come per Rumkowski) può essere fortuita, nasce la dipendenza e la necessità di dosi sempre più alte; nasce anche il rifiuto della realtà e il ritorno ai sogni infantili di onnipotenza. […] Di fatto, era ben visibile in lui (‘lui’ si riferisce a Rumkowski, la cui storia è stata radiografata da Levi nelle pagine precedenti come modello comportamentale- n.d.r), come nei suoi modelli più famosi, la sindrome del potere protratto e incontrastato: la visione distorta del mondo, l’arroganza dogmatica, il bisogno di adulazione, l’aggrapparsi convulso alle leve di comando, il disprezzo delle leggi.
Tutto questo non esonera Rumkowki dalle sue responsabilità.
[…]
Ha però delle attenuanti: un ordine infero, qual era il nazionalsocialismo, esercita uno spaventoso potere di corruzione, da cui è difficile guardarsi. Degrada le vittime e le fa simili a sé, perché gli occorrono complicità grandi e piccole. […] Come si comporterebbe ognuno di noi se venisse spinto dalla necessità e in pari tempo allettato dalle seduzione?
(pag. 51-52)
 
 
Nello scaffale
‘Se questo è un uomo’ di P.Levi, Einaudi, Super ET, postfazione di Cesare Segre.
‘I sommersi e i salvati’ di P.Levi, Einaudi, Super ET, prefazione di Tzvetan Todorov, postfazione di Walter Barberis.
 
 
Fonti
Annotazioni libere su ‘La strada di Levi’, su AgoraVox.

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