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Annotazioni libere su ’La strada di Levi’, dvd e libro

 
La strada di Levi
il film di Davide Ferrario e Marco Belpoliti
con un libro di Marco Belpoliti e Andrea Cortellessa
Collana DVD+libro
Chiarelettere, gennaio 2010
 
 
… a molti individui o popoli può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. (‘Se questo è un uomo’ – prefazione, di Primo Levi)
 
Il senso della normalità geniale, la forza di un narrare improvviso, l’arrivo della scrittura dopo le esperienze subite e vissute, gli intrecci tra Levi e gli amici (Rigoni Stern) e tra Levi e la stampa, l’imperativo urgente di ‘testimoniare’, le traballanti incertezze del non-scrittore, gli stranieri come nemici, il diverso come nemico quando oggi – leggendo e guardando ‘La strada di Levi’ (scheda del cofanetto in fondo – n.d.r) – è evidente anche agli occhi e alla mente dell’osservatore più frettoloso che esistono ancora tanti stranieri quanto tanti diversi nelle più vaste, complesse e banali declinazioni possibili (non è forse diverso da me il mio vicino di casa che pulisce la macchina di notte? O mister x – amico, parente, collega, conoscente, affetto – che fa cose che non capisco? E ancora: non sono forse io ‘diverso’ in queste zone d’ombra che tento continuamente di nascondere?).
 
In questo cofanetto tra documentario e libro, ci sono molti spunti, virate, considerazioni, analisi, voci, riprese, ricostruzioni, tentativi di ascolto, di riafferrare una realtà passata eppure così vicina tra sensi-aderenze con quanto oggi, nel 2010, accade nel mondo e con quanto sempre oggi, vediamo riflesso negli occhi di chi ci sta attorno.
 
Perché ‘La strada di Levi’ è anche una sapiente, dosata e lucida radiografia dell’umano, di quell’umano che non conosce tempi, nazioni e soprattutto, che non cambia nei noccioli duri.
 
Di Primo Levi si è scritto molto, da vivo poi, dopo la sua morte, ancora di più. Nel libro contenuto in questo cofanetto si sottolineano alcuni aspetto del Levi-uomo quanto del Levi-scrittore.
 
Tra i tanti spunti, trovo notevole l’analisi di Belpoliti su Levi come ‘scrittore d’occasione’. Primo Levi ha vissuto delle esperienze che in lui hanno tirato fuori una scrittura precisa, non ha semplicemente documentato e nemmeno romanzato. Primo Levi ha scritto di quanto ha vissuto con la lucidità del testimone e l’acutezza del narratore, ma ha potuto farlo proprio in virtù di quel vissuto non per ispirazione o altro desiderio di scrittura a prescindere dal vivere. Una modalità pratica che – mi si consenta il paragone-non-paragone – lo accomuna a molti altri scrittori anche contemporanei come Philippe Forest (avrebbe scritto ‘Tutti i bambini tranne uno’ se non fosse morta la figlia malata? Avrebbe abbandonato i saggi e gli scritti accademici per narrare, se la sua vita non fosse stata distrutta dalla perdita della figlia e le successive tappe?). Ma è anche un’osservazione che riapre vecchie e nuove polemiche su quei non-confini che oggi paiono confusi tra autobiografismo, fiction, narrazioni c.d.’ombelicali’, auto-fiction, il romanzo del Sé. E, come già è stato scritto in altri contesti, la differenza, ciò che ancora fa leggere e commentare le opere di Levi è il loro carattere ‘universale’, il loro raccontare un’esperienze precisa – quella dell’autore evidentemente – andando a toccare ‘nodi’ che dell’umano hanno gli aliti eterni, che dilatano lo specifico-soggettivo rendendolo condivisibile, un po’ di tutti come di tutti sono le sue nature più profonde e intime dell’esistenza.
 
Scrive Belpoliti:
“Se questo è un uomo non è tanto e solo un libro di testimonianza, ma una lunga riflessione sulla natura umana in condizioni estreme; è un libro di etologia. Vi si parla dell’animale-uomo. E questo è un altro aspetto della sua natura bifida: scrittore e scienziato, testimone ed etologo”. (pag. 29)
 
In piena osservazione dell’animale-uomo rientra l’enunciazione della c.d. ‘zona grigia’ che Levi focalizza con nuda chiarezza disarmante e che ancora riporta alla mente del lettore dibattiti, approfondimenti e trasmissioni tv magari del giorno prima dove il bene e il male non sono poi così netti ed evidenti, vittima e carnefice si mescolano proprio come accadde nei Lager.
 
Un libro da leggere in più tempi. Richiede digestioni lente e ponderate, consapevolezze. La struttura stessa del libro, la suddivisione in capitoli autonomi lo permette agevolmente.
 
Un documentario ricco di spunti, che scava e affonda tra passato e presente, tra stralci delle parole di Levi e le voci di chi oggi vive realtà all’apparenza differenti. Un modo per vedere che diventa quasi un ‘toccare’ ciò che le parole di Levi (scritte, analizzate, dette e trascritte nel libro) tentano di lasciare e che nel documentario si espandono.
 
 
 
Link
Scheda del cofanetto dal sito dell’editore.

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