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(In)ter(per)culturando: analisi-confronto da ‘Con la faccia di cera’ di Girolamo De Michele - Parte II

L’introduzione al progetto e la prima parte QUI.

Parte II
Chi è Girolamo De Michele e perché proprio Ferrara, la Solvey e il CVM?

 
Recita la quarta di copertina del libro:
Girolamo De Michele, nato a Taranto, vive a Ferrara. Ha pubblicato diversi saggi di storia e di filosofia (tra i quali Felicità e storia, Quodlibert, 2001) prima di affermarsi con il romanzo Tre uomini paradossali pubblicato nel 2004 da Einaudi. Scrive di filosofia e critica letteraria su diversi giornali, ed è redattore di Carmilla, magazine online diretto da Valerio Evangelisti. Nel 2005 ha pubblicato Scirocco (Stile libero Noir, Einaudi); nel 2008 è uscito il suo ultimo romanzo La visione del cieco (Stile libero).
 
Tentando di spostare l’angolazione, rivolgo a De Michele alcune domande.
 
Vivi a Ferrara ma sei originario di Taranto. È stato questo, il ‘viverci’, la causa scatenante di ‘Con la faccia di cera’? O la scelta del luogo e delle tematiche ha altre radici?
 
La proposta di un romanzo che avesse come argomento le morti della Solvay è stata formulata dai responsabili della collana VerdeNero, che hanno redatto una lunga lista di crimini di ecomafia per poi mettersi alla ricerca degli autori. Io avevo la più ampia libertà creativa, tanto è vero che ho proposto una ghost-story invece di un noir. A questo si aggiungono le ragioni personali, che mi hanno portato ad accettare la proposta: il vivere a Ferrara, il desiderio di scriverci su – e su questo ha pesato molto l’influenza di Bassani, che non ho mai nascosto; ma anche, l’essere originario di Taranto, una città devastata dall’industrializzazione, macchiata a lutto da una agghiacciante catena di omicidi bianchi, di morti per tumore e leucemia. Scrivendo su Ferrara ho scritto anche su Taranto, e sull’Italia di ieri e di oggi.
 
Sei redattore di Carmilla, hai pubblicato diversi romanzi recentemente per Einaudi, tutti scaricabili in copyleft dal web come precisa la casa editrice stessa. Ma non è facile trovare informazioni su di te. Ti chiedo allora, chi è Girolamo De Michele, lo scrittore? Cos’è la tua scrittura, non soltanto nel noir di ecomafia oggetto di questo approfondimento; cos’è che più ti interessa, scrivendo?
 
Beh, non è del tutto vero che non è facile trovare informazioni su di me. Non ho un blog, è vero, non sono su Facebook o su MySpace, però non vivo nascosto. Più che altro, mi interessa molto poco parlare di questioni personali che non siano in qualche modo attinenti alla mia attività letteraria: preferirei che per me parlassero i miei libri. Per rispondere alla tua domanda: Girolamo De Michele è uno scrittore che è passato dalla ricerca filosofica alla narrativa – e credo che questo si veda, in quel che scrivo. La filosofia (che coltivo ancora) mi ha dato uno sguardo sul mondo, e degli strumenti preziosi per la lettura e la critica dello stato di cose esistente. La narrativa – e anche l’attività giornalistica, sul web o su carta stampata – è il modo di dare espressione a questo sguardo critico. In tutti i miei romanzi ho cercato di esprimere un’idea al tempo stesso semplice e complicata: che la realtà non è quella che si vede, che la rappresentazione dell’esistente non è la vera sostanza delle cose. E questo secondo strato di realtà non appare per epifania: bisogna conquistarlo. Quello che appare del mondo è il risultato dei vincitori di un conflitto, che ha lasciato vincitori e vinti. E i vinti, gli sconfitti, non hanno spazio nel mondo “ufficiale”, vivono negli angoli delle strade, nascosti agli occhi dei passanti: come la donna che compare in “Tre uomini paradossali” che viveva in un’automobile alla Bolognina, a due passi dalla famosa sezione del PCI, e della quale i giornalisti che andavano a sentire della svolta di Occhetto non si accorgevano; o il barbone di “Scirocco”, che qualcuno ha definito “shakespeareano”, ma che esiste davvero. Io cerco di ridare voce a questi esclusi, ma soprattutto cerco di trasmettere un’attenzione alla ricerca e alla visione di questi fantasmi quotidiani.
 
Hai definito ‘Con la faccia di cera’ una ghost story, e in effetti di misteri, fantasmi e nebbie ce ne sono praticamente ovunque, tra le pagine. Ma è stata anche una scelta rischiosa, affrontare in questo modo la storia che ha precisi collegamenti con una dolorosa realtà ad oggi non del tutto risolta. Puoi spiegare come sei arrivato a concepire il romanzo? Perché questa virata dal noir in senso stretto, un genere forse più vicino alle aspettative del lettore?
 
Avevo sempre desiderato scrivere una storia di fantasmi, ma non ero riuscito a farlo nei precedenti romanzi (anche se ci avevo provato), per le ragioni che ti ho già detto, ed anche per una lunga serie di influenze letterarie e cinematografiche – dal “Giro di vite” di James a “Sesto senso” di Shyamalan, per non parlare degli sceneggiati RAI degli anni Settanta, a cominciare dal “Segno del comando”. In una storia di fantasmi ci sono più strati di realtà, che si intersecano tra loro: e io credo che il “reale” sia fatto così. Del resto, elementi fantastici, o addirittura fantasmi, sono disseminati anche negli altri romanzi “noir” (ad esempio, il dialogo tra il narratore e il fantasma della sua ex morta dieci anni prima o il funerale del narratore narrato dal narratore stesso in “Scirocco”, la fotografia finale nella “Visione del cieco”): solo che in pochi se ne sono accorti. E poi in una città come Ferrara l’elemento fantastico mi è sembrato la scelta migliore per rendere al meglio l’incredibile ricchezza di questa città. Ferrara è piccola, ma ha una tale storia, piena di delitti, magie, fantasmi – pensa ai romanzi di Maria Bellonci – che potrebbe essere al centro di una serie di storie, un po’ come la Parigi del ciclo di Nestor Burma di Leo Malét, che ambienta ogni romanzo in un singolo quartiere: basta sostituire alla topografia la scala temporale...
 
Cosa ne pensi dell’attuale situazione di Ferrara e dei suoi lavoratori/abitanti in relazione al recente processo (che vede tra gli imputati i dirigenti Solvey) e alle condizioni di vivibilità (o meno) ‘lasciate’ dalla produzione di CVM negli anni passati?
 
Purtroppo a Ferrara c’è una gran voglia di far finta di niente, di dire che è una storia vecchia e ormai passata. C’è un’agguerrita minoranza che lotta su questi temi, ma è una minoranza. Un esempio concreto, che risponde alla tua domanda, è la vicenda dell’asilo di via del Salice: un asilo già costruito, la cui inaugurazione è per ora sospesa, che sorge su una vecchia discarica illegale di CVM. E in tutta franchezza non so se si riuscirà a bloccarne l’apertura. Il punto è questo: il CVM (e non solo lui) non è svanito nel nulla, ma è presente nelle acque, nelle terre, sotto i suoli. Così come le polveri sottili, le sostanze che le fabbriche ferraresi scaricano nell’aria e quelle che il vento ci porta dalla Montedison di Ravenna. Quando inquini, lo fai per secoli. E a Ferrara, come in buona parte d’Italia, respiriamo, beviamo e mangiamo l’eredità di un modello di sviluppo sbagliato, che prevedeva che in cambio del lavoro si potesse anche morire: Si lavora per vivere, e per lavorare si muore. Ma solo la regione Puglia si è impegnata a varare una legge che costringerà le fabbriche pugliesi a scendere al di sotto non degli standard nazionali, che sono ridicoli, ma di quelli europei. Se volessi fare della retorica mi chiederei perché la regione Emilia-Romagna non recepisce una legge analoga: ma so bene che l’eccezione è, appunto, la Puglia di Nichi Vendola e dei sindaci di Bari e Taranto. Tornando a Ferrara, rimane la speranza che almeno dal punto di vista formale si possa giungere a una condanna dei dirigenti Solvay: non andranno in galera, ma la condanna sarebbe la prima della Solvay, che è una multinazionale e fa in giro per il mondo quello che ha già fatto a Ferrara. Il processo Aldrovandi, con la condanna dei quattro agenti che hanno provocato la morte di Aldro, ha dimostrato che è possibile avere, se non giustizia, almeno “un po’ di giustizia”, come ha scritto il giornalista Cecchino Antonini: se succedesse di nuovo sarebbe una buona notizia.
 
Grazie a Girolamo De Michele.


Prossimamente, di giovedì sempre:

Parte III: VerdeNero e il progetto ’noir di ecomafia’. Legambiente Ferrara e il caso Solvey: una città, un polo industriale, la plastica e le sue ’segrete’ pericolosità.
Con intervista ad Antonio Pergolizzi (che ringrazio), coordinatore Osservatorio Nazionale, Ambiente e legalità, Legambiente. (programmata per fine mese, inizio settembre).

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