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(In)ter(per)culturando: Alcune annotazioni su ’Piccolo testamento’ di Gabriele Dadati

Esce il 2 settembre 2011, il nuovo romanzo di Gabriele Dadati, ‘Piccolo testamento’, per Laurana, nella collana Rimmel (pagine 128 a euro 12).

Basta l’incipit, a spiegare cos’è questo libro e quali intenzioni ha l’autore:
 
“È la prima volta che sogno Vittorio da quando non c’è più. In genere è raro che al risveglio ricordi i sogni, ancora più raro che abbiano a che fare con qualcuno che amo e se proprio succede non è mai uno dei miei morti. A parte questo s’è trattato di un sogno che non valeva niente, completamente privo di azioni: c’eravamo solo noi due, io seduto e Vittorio in piedi. Lui indossava un completo sportivo e la cravatta scura, io non so. Mi piacerebbe dire che aveva
un’aria particolare, che nel suo sguardo c’era un grado di consapevolezza che non ho mai misurato nello sguardo di nessuno, ma non è così. Lo sguardo di Vittorio era consapevole quando era vivo, mentre nel mio sogno era solo sconsolato. In più non siamo riusciti a scambiare nemmeno una parola e anche questo non mi pare sia granché”.


‘Piccolo testamento’ è la storia d’un lungo monologo, una voce prende per mano il lettore e lo accompagna in un viaggio che sembra breve per lunghezza del libro (sono centodiciassette le pagine effettive del narrare) ma anche breve rispetto all’arco temporale in cui si svolge la narrazione principale - un’afosa notte di giugno, è questo il contesto in cui il protagonista-narratore preso dall’insonnia, ricorda, incastra pensieri, consapevolezze, a portare a galla la morte di Vittorio (peraltro già presente nell’incipit) e la separazione da Marta.

Due nodi centrali, insomma, (la perdita dell’amico che è stato anche la guida, l’interlocutore preferenziale, ma anche l’amore impossibile da trattenere sostituito coi molti corpi nei quali cercare il piacere estermporaneo) nella vita di questa voce che narra alternando piano temporali, mescolando flussi interiori a macro tematiche del vivere. Si tratta di una storia, quella del protagonista, eppure dentro si rintracciano facilmente aderenze che esulano dalla mera intimità del singolo.

Malattia, morte, affezioni, legami fragili eppure profondamente durevoli, crescita personale quanto intellettuale, necessità di dire, dialogare, ascoltarsi e ascoltare: tutto questo e molto altro si contorce in questo libro che espone, nel suo processo creativo, alcune accomunanze col vivere dell’autore stesso.

“Alla base del libro c’è un lutto reale” - scrive Dadati nelle note finali - “che è stato per me particolarmente doloroso. Avrei preferito non doverlo affrontare, e non mi illudo che scrivere un romanzo possa costituire una forma di risarcimento.”

Inoltre, il narratore è un giovane non ancora trentenne che lavora nelle larghe maglie dell’editoria e Dadati, classe 1982, rientra evidentemente nella categoria sebbene ritengo che questo romanzo non sia parte delle recenti dinamiche italiane attribuite alle c.d. ‘autofiction ombelicali’.
Tra l’altro per Dadati non è il primo romanzo in cui innesca dinamiche di vicinanza tra se stesso e il proprio personaggio. In ‘Il libro nero del mondo’ il regista protagonista si chiamava per l’appunto Gabriele.
E ci sono, in quest’ultimo libro, evidenti nodi che l’autore ha assorbido direttamente, la morte di Vittorio è narrata con un’intensità, un trasporto e una maturazione che difficilmente possono essere attribuiti al mero meccanismo di immedesimazione o trasposizione a cui può ricorrere l’autore laddove non c’è vissuto diretto a cui attingere. Anche senza la nota finale, ritengo sia pulsante nel narrare che il dolore, lo spaesamento, la mancanza, la ricerca di chi non c’è eppure è; tutto questo innesca meccanismi ‘forti e chiari’, inequivocamente figli di grovigli di emozioni e accadimenti che, in primis, hanno coinvolto l’autore e che poi sono entrati nel narrare diventando ‘altro’, esattamente come nelle contemporanee dinamiche innescate da talune autofiction, più esattamente a mio avviso entro una necessità - un’urgenza - che nella letteratura italiana contemporanea si manifesta con intensità crescente negli ultimi anni in alcune scritture e in alcuni romanzi.

Evidentemente anche gli svolgimenti di questo romanzo, a unire in un legame indefinibile il narratore e il personaggio di Vittorio, intellettuale cinquantenne, hanno radici profonde nel vivere di Dadati, quali che siano, queste radici, poco importa a chi si ritrova questo libro tra le mani. Importa, invece, che il patto di finzione di questo romanzo possa - possa - colpire duro anche per la sua matrice concreta, figlia o nipote o cugina di schegge direttamente prelevate dal vivere dell’autore, in un’operazione molto più complessa di quanto possa apparire, da ‘piccolo chirurgo’ consapevole che rielabora, decodifica e vomita.
 
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“Non lo so. Posso avere delle idee, ma non lo so”, mi aveva detto. “Mi piacerebbe fare una prova, vedere se fare una mappatura di questi testi serve a qualcosa. Le descrizioni in un romanzo sono antieconomiche, non fanno progredire la storia e rallentano la naturale caduta del
lettore nel precipizio della trama. Mi sembra commovente che qualcuno cerchi di riesumarle e lo faccia soprattutto descrivendo il corpo, che è forse il dato superstite a cui ci si può ancora aggrappare quando tutto il resto è andato a rotoli”.
Il suo, di corpo, avrebbe cominciato a farsi macerie non troppi mesi dopo, in aperta contraddizione con l’idea che, quando il resto va a rotoli, proprio al corpo ci si può aggrappare con successo.
(pag.22)
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Non sono vere e proprie sottotracce, queste percezioni ‘collettive’ infilate nel narrare, e non lo sono, a mio avviso, perché in diversi momenti Dadati espone con una certa trasparenza logiche, ragionamenti e contesti che - sebbene messi in bocca ai personaggi o al narratore - restano in un evidente stato di esclusione dalla trama in sé, dalle dinamiche specifiche della storia specifica. E c’è, in questa scrittura, l’aroma della consapevolezza, come era evidente in altri romanzi e scritti di Dadati, la consapevolezza di chi tenta di avvaleresi della lingua per lavorare coi contenuti, per esporre ‘noccioli’.

Delle corporeità nella narrativa italiana contemporanea, Dadati si era già occupato nel già citato ‘Il libro nero del mondo’, nella misura in cui la sua scrittura resta ancorata a corpi e carni. In quest’ultimo libro s’avverto lo scarto, il passo successivo, ovvero l’esposizione delle consapevolezze, degli ascolti verso percezioni che accomunano diversi autori italiani in questo Oggi contradditorio e artisticamente convulso, in un’Italia che è somma di tante differenze quanto negazione di creatività e capacità critiche.
Dunque corpi che dicono ma anche corpi che s’ammalano, corpi che essendo ciò che sono delineano i confini di un’esistenza, corpi usati per il soddisfacimento di piaceri e pulsioni quanto corpi esposti nelle piaghe più urticanti e scomode, corpi a ricordare ciò che resta oltre ogni possibile perdita ma anche ciò che più si può perdere.
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Adesso che sono in piedi da un po’ il caldo soffocante di quando ero a letto s’è fatto più leggero. I piedi nudi stanno sulle piastrelle chiare. Appoggio i gomiti al bancone e con le mani sfoglio la piletta di bozze ancora da correggere.
(pag.35)


Spengo il neon della cucina. Attraverso la sala, vado alla portafinestra e finisco nel piccolo balcone che dà sulla strada. Oltre alla sigaretta e all’accendino ho di nuovo in mano il bicchiere recuperato dalla vasca più grande del lavello. L’ho riempito un’altra volta d’acqua. Fumare mi aumenta la salivazione e subito dopo arriva la voglia di bere per sciacquare la bocca. Appoggio il bicchiere sul motore esterno del condizionatore, metto la Marlboro in bocca e la accendo. Mi appoggio con gli avambracci sulla ringhiera di metallo coperta di vernice marrone ormai scortecciata.
(pag.56)
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Un romanzo che dice e contraddice, che espone e ricuce, una voce che narrando s’insinua in angoli non sempre comodi, più spesso alla ricerca di quell’unico granello di polvere fuori posto o nel posto sbagliato.
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È stato tumulato nel quarto campo del cimitero cittadino, in un forno della cappella di famiglia, al terzo livello. Non un granché, com’era giusto aspettarsi, poiché Vittorio aveva origini umili. Il giorno della sepoltura, che nel mio ricordo è un giorno caldo di metà maggio, con una luce
smaltata che descrive i dettagli di ogni cosa e un generale senso di attesa nell’aria, il loculo è stato chiuso con uno sportello in plastica più piccolo del dovuto, in attesa che il marmo fosse pronto. La presenza del corpo di Vittorio là dentro era segnalata solo da un foglio A4 che riportava la foto del suo volto in bianco e nero e sotto il suo nome, le sue due date e la sua città, città dove è nato, vissuto e infine morto. Immagino che ora quella plastica non ci sia più,
che il marmo sia stato collocato correttamente e che lui possa sorridere dal suo ovale mentre s’è ormai dimenticato di questa terra. Lo immagino ma non posso saperlo, perché non ho più messo piede al cimitero da quel giorno, non lo desidero e neanche credo che lo farò tanto presto. Non c’è più niente di Vittorio lì, non c’è niente di nessuno, e non è un luogo del ricordo, non è niente.
(pag.82-83)
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Innegabile anche in questo come nel precedente, le aderenze tra le percezioni e le esposizioni del corpo con la dimensione della sessualità, dell’eros anche fine a se stesso quanto la visione del proprio corpo entro le necessità pratiche proposte come legittime (non contaminate da etiche o morali riconoscibili nella scrittura), considerate parti del vivere stesso.
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A questo punto penso che potrei masturbarmi e vedere se per caso mi rilasso abbastanza da riprendere sonno, anche se si tratta di una possibilità in cui ho smesso di credere. Tuttavia queste pubblicità attraggono la mia attenzione, così le guardo con curiosità e quasi con divertimento senza trovarci dentro niente di eccitante. Sarebbe meglio andare di là, da Camilla, levarle il lenzuolo di dosso e scoparla il più in fretta possibile. Immagino che le farebbe pia-
cere. Allargarla con le dita, leccarla e andarle dentro subito. Ma poi sarebbe sveglia anche lei, dovremmo scambiare almeno qualche parola, forse tenterebbe addirittura di baciarmi e questo sarebbe insopportabile. Così l’idea di tornare in camera da Camilla è senz’altro da scartare.
(pag.89)
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E c’è spazio, c’è sempre stato spazio fin ora nelle scritture di Dadati, per l’amore che non si chiama in nessun altro modo, lo si sente da subito devastante, nel bene quanto nel male.
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Il primo ricordo che ho del rapporto con Marta è la mia gamba che struscia contro la sua, coscia contro coscia, poi le caviglie che si toccano, prima di tornare al loro posto. [...]
Esistono delle cose belle nella vita, delle cose che tutti conosciamo, e i primi momenti di un innamoramento sono una di queste. Non vale la pena di aggiungere altro. Poi vengono i ricordi di tutto il resto, che alla rinfusa riempiono quattro anni. [...]
Esistono inoltre delle cose brutte nella vita, delle cose che tutti conociamo, e gli ultimi momenti di un innamoramento sono una di queste. Per noi sono venuti un sabato sera.
[stralci da pag.113-114)
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Una scrittura a tratti disarmante nella sua semplice esposizione delle cose, ma anche lucida e coerente con le percezioni di un proprio Sé quanto un Io in bilico tra memorie e inquietudini presenti, volontà e mancanze, perdite che lo hanno inginocchiato e la precisa percezione che piegandosi e flettendosi le gambe possono ancora rialzare il busto e spostare tutto il corpo altrove.
 
 
 
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Altri approfondimenti del lavoro letterario di Gabriele Dadati, pubblicati su AgoraVox:
- Analisi di 'Sorvegliato dai fantasmi', 20 agosto 2009;
- Analisi-confronto da 'Il libro nero del mondo' - parte I, 3 settembre 2009;
- Analisi-confronto da 'Il libro nero del mondo' - parte II, 10 settembre 2009.

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