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Impresentabili in lista e tweet su Falcone

Sulle questioni morali, in questo Paese, ne sono state dette tante, nel corso dei decenni. Così tante e così ripetitive da essere evidente spia del fatto che cambiano casacche e cambiano bandiere, ma certe cose, sotto la superficie, rimangono. Il fiume carsico della corruzione, della torsione del quadro politico ad interessi criminali, si adatta, scava nella realtà quotidiana fino a trovare nuovamente la via, insinuandosi nelle fessure, creando cavità, consumando giorno dopo giorno la roccia dove è più tenera.

La criminalità organizzata si comporta così: appena può, evita la superficie, si inserisce nelle pieghe molli del sistema politico, capta le opportunità offerte da ambienti sociali non ostili, sfrutta le convergenze di interessi piuttosto che cercare il conflitto con i poteri - potenzialmente - avversi. Il conflitto è l'estrema risorsa: rischia di portare visibilità, attenzione pubblica. Le organizzazioni criminali sanno bene, dai tempi delle prime stragi di mafia, che nulla è più dannoso per loro dell'esposizione mediatica, dell'occhio attento della società circostante, della pubblica e unanime condanna. Sanno bene che il cuore della legislazione antimafia in Italia è nato da una risposta di emergenza della politica, spinta da un'opinione pubblica devastata dalle stragi; lo dimostra la difficoltà ad adattare le norme, in tempi non funestati da stragi mafiose, alle mutate condizioni dell'ambiente socio-economico. Le “nicchie ambientali favorevoli”1 in cui proliferano le organizzazioni criminali si ricreano con il cambiamento: la legge dovrebbe costantemente adattarsi ad esso, tuttavia la politica nazionale mostra di non avere la forza e l'autonomia per farlo, per superare la logica emergenziale della normativa antimafia. Sceglie l'inazione, o i timidi passi, per calcolo: perché settori consistenti del Paese mantengono convergenze di interessi con la criminalità organizzata. Al contempo, la strategia mafiosa dell'infiltrazione (e degli omicidi mirati) è efficace nel consentire alla criminalità organizzata una difesa dei propri interessi; non allarma l'opinione pubblica nazionale, induce ad una percezione distorta e riduttiva del fenomeno criminale e non costringe la politica ad adottare comportamenti di totale intransigenza verso le aree grigie di connivenza.

Gli “impresentabili” nelle liste per le elezioni regionali di cui si è parlato nelle scorse settimane, per fare un esempio, piuttosto che essere messi tardivamente all'indice, non sarebbero dovuti esistere: una politica sana opera una selezione della classe dirigente a monte, non a valle, del processo elettorale. Non è accettabile la risposta, pure reticente, data dal segretario del PD, nonché Presidente del Consiglio: “ci sono, ma non li voterei”. Troppo comodo, Presidente.

La politica - tutta la politica, in modo trasversale alle appartenenze - dovrebbe affermare con grande chiarezza che non è possibile compromesso, equilibrismo, tolleranza nei confronti degli ambienti criminali e delle aree grigie circostanti. Queste ultime in particolare sono l'anello di congiunzione fra politica, economia e criminalità organizzata: senza la connivenza di professionisti e colletti bianchi, le mafie sarebbero criminalità di piccolo calibro. E' noto per esempio - o almeno dovrebbe esserlo, visto che è storia patria - che le logge massoniche hanno svolto una funzione decisiva nell'accrescere le dimensioni e la pericolosità criminale della 'Ndrangheta e di Cosa Nostra, permettendone l'accesso ad ambienti di vertice dell'economia, della finanza, delle forze armate, proteggendo l'operatività delle organizzazioni criminali dall'azione di contrasto degli organi dello Stato.2 Sono ugualmente noti i processi distorsivi causati dall'incontro fra gli interessi di attori di mercato e le organizzazioni criminali, capaci di offrire servizi, materiali, lavori a costi ipercompetitivi.

Dunque, proprio per la dinamica di queste “camere di compensazione” fra criminalità organizzata e politica, è infrequente che esponenti politici di primo piano siano direttamente coinvolti in fatti di mafia e questa è la foglia di fico abitualmente utilizzata dalle forze politiche per sbandierare una purezza che, nei fatti, non hanno. Esiste un processo osmotico, fra gli ambienti criminali e gli attori economici e politici: ci sono passaggi di risorse, pur restando il più delle volte separati fra loro. Soltanto in alcuni casi la penetrazione mafiosa si spinge fino all'infiltrazione diretta di affiliati nelle amministrazioni pubbliche: di solito non è necessario tanto, per ottenere comunque una decisiva influenza sulle scelte politiche; bastano i pacchetti di voti e la corruzione per avere a disposizione un rappresentante dei propri interessi “regolarmente” eletto. Senza contare che l'infiltrazione diretta comporta per le mafie rischi assai più elevati, in termini di esposizione mediatica e possibile allarme dell'opinione pubblica e, per i Comuni ad esempio, di scioglimento per infiltrazione mafiosa.3 Quello che conta, per la criminalità organizzata, è avere dei referenti politici. Referenti in grado di tutelare i loro interessi. La struttura di potere della DC in Sicilia era perfettamente adattata a questa esigenza, tanto che i vertici siciliani fungevano da interlocutori fra Cosa Nostra e la politica romana. Qui sta il calcolo - sbagliato - della politica, che si ripete come una costante fino ad oggi, percorrendo gli schieramenti di quasi tutto l'arco parlamentare, con una ovvia preminenza nelle file dei partiti di Governo, in grado di offrire maggiori tutele: considerare le mafie come interlocutori. significa intenderle portatrici di legittimi interessi, dare loro dignità di attori politici. Rafforzarle e garantirne la sopravvivenza nel tempo. Ecco perché ogni parola ambigua, ogni pericoloso distinguo in fatto di mafia, ogni tentennamento di chi ha responsabilità politiche deve apparirci come un gigantesco allarme. Che ci dice che quel pericoloso calcolo si sta ripetendo, che qualcuno sta ancora strizzando l'occhio alle mafie: “potete continuare ad esistere” - dicono le parole ambigue - “perché i miei interessi coincidono con i vostri. Possiamo convivere, anche domani.”

Su tutto questo rimane un fatto, che ha un peso: la politica nazionale si è mossa con coerenza ed efficacia contro le mafie assai di rado. E' stata spinta fino a questo limite dall'azione caparbia, ostinata e contraria, di pochissimi uomini, che sono stati uccisi per questo e che prima erano stati ostacolati e isolati. Costretta poi da un Paese che si era alzato in piedi, e gridava che la mafia poteva - e doveva - essere estirpata dallo Stato. Escluse le fiammate legate alle stragi, per gran parte della lunga storia della lotta alla mafia, ad alto livello sono stati pochi - e spesso soli - gli uomini che hanno avuto la forza di essere coerenti. Schierandosi anche contro i propri dirigenti di partito, colleghi, amici. Quei pochi oggi li chiamiamo eroi, ma erano uomini, come lo sono gli innumerevoli senza nome che ogni giorno costruiscono storie diverse, esemplari per la semplice coerenza che hanno nel rifiutare di essere, ciascuno nel proprio piccolo, complici delle mafie. Solo una parola dunque, ai tanti personaggi, pubblici e meno pubblici, che usano le icone dell'antimafia come pregevole foglia di fico: non fatene dei miti inarrivabili, a difesa della vostra mediocrità. Erano uomini. Potreste esserlo anche voi, nel quotidiano vivere. Ricordatevene ad ogni scelta che fate, ad ogni parola che dite. E ad ogni tweet, naturalmente.

Foto: Wikimedia ("Foto segnaletica di Salvatore Riina". Con licenza Pubblico dominio tramite Wikipedia - https://it.wikipedia.org/wiki/File:...)

 

1-Definizione di Rocco Sciarrone, in “Mafie vecchie, mafie nuove”, Ed. Donzelli, Roma, 2009

2-In merito, Commissione Parlamentare Antimafia, Relazione annuale sulla 'Ndrangheta, 2008.

3-Anche se è da segnalare che la L. 94/09, che modifica la normativa in merito, disponendo che sia il Consiglio dei Ministri a deliberare lo scioglimento dell'ente locale segnalato dal Prefetto (delibera poi resa esecutiva dal Presidente della Repubblica) lascia ampia discrezionalità al Governo.

 

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