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Il risveglio della sinistra in Europa e la scommessa fatale del PD

L'Europa ribolle qua e là, da qualche tempo, di idee da molto sopite. Affermate con forza in Grecia, in Spagna, serpeggiano in Irlanda e nel Regno Unito. Idee di equità sociale e diritti, di regolazione dei mercati finanziari, di riduzione della forbice della disuguaglianza, di laicità dello Stato. Movimenti politici che riscoprono lo Stato non come identità nazionale da opporre ad altre speculari identità nazionali, ma come soggetto regolatore delle forze dei mercati, come contraltare alle dinamiche della finanza internazionale e interlocutore delle istituzioni sovranazionali. Movimenti che intendono cambiare l'Europa, affatto antieuropeisti, come pure si è cercato di rappresentarli.

La seconda vittoria di Syriza, dopo lo scontro durissimo con la Germania, ha riportato sullo scacchiere, inalterate, le ragioni del conflitto fra un'Europa ostaggio dei mercati finanziari e delle grandi lobbies e un'Europa unita nella diversità, come recita il suo motto. Conflitto anzi inasprito dalla battaglia di Tsipras, che ha l'opportunità di continuare a trattare, sul tavolo del debito, per un'Europa nella quale le istituzioni democratiche -nazionali ed europee- non siano sistematicamente scavalcate dagli interessi preponderanti di soggetti lasciati liberi da ogni vincolo e dotati di una forza tale da poter imporre l'agenda ai governi: l'astratta definizione di “mercati finanziari” non deve trarre in inganno sulla natura concretissima dei poteri che li abitano, e delle menti raffinatissime che li condizionano.

Syriza ha un programma di radicale riforma, fondato sul recupero di margini di trattativa con i soggetti debitori sulla rinegoziazione del debito, sul modello di quanto fatto con la Germania nel secondo dopoguerra, quando le venne tagliato il 90% del debito. Tale strategia servirebbe ad ottenere risorse per avviare un Piano di Ricostruzione Nazionale, ovvero una manovra fiscale ed industriale volta alla lotta alla corruzione e alla riduzione della forbice della disuguaglianza, focalizzato in particolare sul sostegno alle fasce più povere della popolazione. La proposta politica di Syriza implica un maggior ruolo dello Stato nell'allocazione delle risorse, una sorta di politica neokeynesiana che è l'antitesi delle politiche di austerità e che si affaccia anche in altre zone d'Europa.

In Spagna Podemos, movimento riuscito in breve ad assumere una posizione di primo piano nel panorama politico nazionale, rafforzato alle elezioni amministrative di maggio, si fa portatore di idee assai simili, incentrate sulla necessità di una redistribuzione più equa della ricchezza, sul ruolo dello Stato come garante di diritti fondamentali come l'istruzione universale laica e la sanità pubblica. Rivendica con forza la riduzione dei costi della politica e la trasparenza: in questo ha qualcosa in comune con il M5S, anche se a differenza di quest'ultimo, è dichiaratamente di sinistra. Anche la sua crescita, costruita erodendo il PSOE, ha delle analogie con la situazione greca, con Syriza che ha stravinto su un Pasok ridotto ai minimi termini. In questi 2 casi i partiti socialisti, non (più) in grado di rappresentare un'alternativa chiara rispetto agli avversari popolari e conservatori, sono stati scavalcati a sinistra da altri soggetti, così come analogamente avviene, sulla destra, per i grandi partiti conservatori, nella generale crisi dei partiti tradizionali, rimestati assieme nel grande calderone della post-ideologia degli ultimi vent'anni.

Ulteriore segnale del risveglio della sinistra in Europa è la vittoria di Jeremy Corbyn nella corsa alla leadership del Partito Laburista nel Regno Unito: in questo caso, è lo stesso partito che tradizionalmente occupa l'area sinistra, ad innovare la propria proposta politica, allontanando il proprio asse dal centro. La vittoria di Corbyn segna una netta virata verso posizioni più decise del Labour, più smarcate dai conservatori, orientate a politiche economiche espansive e a nazionalizzazioni dei servizi pubblici, idee così inusuali nel Paese di Blair, da suscitare un interessante dibattito sulla “Corbynomics", che non è altro, secondo i suoi sostenitori, che un insieme di politiche anti austerità. E' un dato di fatto che anche il Partito Laburista si riappropria così di alcune idee forti, caratteristiche di una visione politica altra rispetto a quella della destra conservatrice.

E in Italia?

In Italia assistiamo ad una situazione anomala rispetto al risveglio della sinistra europea, che risponde alla crisi dei partiti tradizionali e allo scivolamento dei socialisti verso il centro con una proposta politica nettamente alternativa ai conservatori; in Italia, con estremo ritardo rispetto al blairismo, si compie lo spostamento dell'asse del PD verso destra, utile ad erodere il consenso al centro del panorama elettorale (“si vince al centro”, dicono in molti) lasciando così senza rappresentanti di rilievo la sinistra italiana. Un vuoto in attesa di essere colmato. Questa strategia politica si basa sulla scommessa che questo vuoto sia del tutto minoritario, che in Italia sia prevalente un elettorato centrista, cosiddetto “moderato”, che percepisce lo Stato come soggetto invasivo della libera intrapresa, sensibile alla riduzione dei “lacci e lacciuoli” della legge, più attento ai diritti individuali che a quelli collettivi.

Vediamo perciò il PD renziano spostarsi a destra, coprendo il centro ed erodendo di fatto l'elettorato di Forza Italia, ridotta ad un misero 10%. La politica economica del governo Renzi appare infatti l'inveramento dei tentativi abbozzati negli ultimi vent'anni dai governi di centrodestra che si sono succeduti. Alcuni provvedimenti sono illuminanti, per comprendere l'impostazione ideologica delle politiche governative: il JobsAct, il previsto innalzamento della soglia per i pagamenti in contanti a 3000 €, l'annunciata abolizione della tassa sulla prima casa. Questi provvedimenti tracciano un percorso politico di chiaro spostamento a destra. Il JobsAct, che avrebbe dovuto accompagnarsi ad una piena revisione delle forme contrattuali precarie, ha affrontato in maniera decisa la riduzione delle tutele e l'incentivazione di contratti a tempo indeterminato nel frattempo trasformati in tutt'altra cosa, ma in modo assai carente il riordino delle forme contrattuali precarie; di fatto, si è cercato il consenso elettorale magnificando i dati sui nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, confidando nella scarsa capacità di approfondimento del pubblico votante e sulla superficialità dell'infotainment televisivo. Nel breve periodo, la strategia paga.

Il previsto innalzamento della soglia per i pagamenti in contanti è un segnale chiarissimo che strizza l'occhio all'evasione fiscale: esiste una chiara correlazione fra l'uso dei contanti e l'economia sommersa, come evidenziato da autorevoli economisti in tempi non sospetti, quando ci si rallegrava che il governo Monti avesse abbassato tale soglia a 1000 €, dai 2500 stabiliti dal governo Berlusconi. E' appena il caso di notare che la soglia che si prevede di introdurre è ancora più elevata di quella stabilita da quest'ultimo.

Basta con il terrore”, ha twittato per l'occasione il Presidente del Consiglio: il punto di vista non è quello dello Stato, che vede nell'evasione un danno sociale che impedisce di avere a disposizione risorse da impiegare per la collettività, ma quello dell'evasore, che vede nelle regole un impedimento, un ostacolo al perseguimento del proprio benessere individuale. Che quindi teme lo Stato e quindi adesso sarà più tranquillo.

L'abolizione della tassa sulla prima casa è una proposta ancora più nettamente appannaggio della destra conservatrice. L'ultimo a proporla e a metterla in atto, anche in questo caso, fu Berlusconi. Un provvedimento del genere è socialmente iniquo e non genera crescita economica, per vari motivi: eliminare una delle poche tasse patrimoniali di difficile evasione è distorsivo, perché la tassazione, se le risorse sono reperite in altro modo, graverà sulle fasce che non possono evadere, che già ne sopportano il peso per conto dei molti evasori. Se non saranno reperite altrove, per coprire il buco (3,5 miliardi di €) sarà necessario operare ulteriori tagli alla spesa pubblica, il che, essendo quest'ultima una componente importante del PIL, rischia di aggravare la crisi. Una riduzione della spesa ottenuta attraverso maggiore efficienza o trasparenza potrebbe essere auspicabile, ma è più difficoltosa dei generici tagli, per esempio alla sanità. Non esiste quindi ragione -economica- di un provvedimento come l'abolizione della tassa sulla prima casa: si comprende invece la mossa elettorale di ottenerne consenso, anche sacrificando l'unica seria imposta patrimoniale italiana e allontanando il sistema fiscale dagli obiettivi di equità.

Osservando altri provvedimenti-simbolo come la legge sulle unioni civili, o la legge sulla cittadinanza (modificata in senso restrittivo accogliendo emendamenti di Scelta Civica e NCD), si nota che sono certo dei passi avanti rispetto alla normativa attuale, ma in una prospettiva comparata europea sono vicini, come contenuto, a quanto fatto dai partiti della destra conservatrice. Sono temi che in Europa, con varie sfumature, attraversano gli schieramenti politici da un quindicennio e quella che il governo Renzi ha fatto propria, su questi temi, è la sfumatura adottata dai più timidi partiti conservatori europei: nei principali Paesi della famiglia europea il tema dei diritti delle coppie omosessuali, ad esempio, è ampiamente trasversale alle forze politiche. Esclusi i movimenti di ispirazione neofascista e di destra estrema, possiamo intravedere di solito una frattura, fra destra moderata e sinistra socialista, che vede la prima generalmente favorevole alla formula delle unioni civili, la seconda a favore del matrimonio egualitario. Ci sono casi in cui la destra europea, ad esempio David Cameron, è apertamente a favore del matrimonio egualitario, posizioni politiche che in Italia sono attribuite, a torto, solo a quella che è dipinta come “sinistra radicale”: ma l'opinione pubblica è ormai a maggioranza a favore della soluzione “radicale”, soprattutto dopo la svolta in questo senso in Irlanda e negli USA.

Insomma, le bandiere che il governo rivendica sui diritti civili, appartengono ormai alla destra europea: non valga come scusante la considerazione che la destra italiana è inqualificabile e retrograda, di fatto la compagine di governo esprime posizioni politiche certamente innovative per il nostro Paese, ma sul lato destro dello schieramento. Contribuisce forse a far progredire la destra italiana, in misura minore di quanto possibile, invece, il resto del Paese.

Altro aspetto indicativo è lo scontro con la minoranza interna al PD, l'ala cosiddetta sinistra. Essa, nonostante i proclami, non si è sganciata dal PD. E' il PD che si è sganciato dalla sua componente sinistra. Il suo peso politico è diventato progressivamente minore, di pari passo con la sostituzione dei suoi voti con quelli di provenienza dalle file di FI, grazie al “soccorso azzurro” organizzato da Verdini, che ha -è evidente- una convergenza di interessi con il Presidente del Consiglio.

Voci incaute e digiune di storia parlano di compromesso storico: eppure, nella dinamica attuale, in cui un partito di centrosinistra che ha vinto le elezioni di un soffio (il PD) sceglie di cedere in maniera sostanziale sugli orientamenti delle politiche di governo a impostazioni estranee alla sinistra, non si notano analogie con il pensiero di Berlinguer, che voleva superare la stagione dell'esclusione dei comunisti dal governo del Paese. Un politologo potrebbe forse azzardarsi a parlare di maggioranza a geometrie variabili, pragmatismo di una forza di governo che, pur orientata a sinistra, per limitate necessità si appoggia in alcuni casi, senza perdere la sua identità, ad altre aree politiche. Ma non è questo il caso, perché Renzi ha scelto la rottura totale con il dissenso interno, forzando la mano in una direzione sola, quella dell'avvicinamento all'elettorato di centrodestra: l'orientamento è costante e unidirezionale, non variabile, e sta determinando un chiaro mutamento genetico del PD e del suo elettorato. Ne è spia, fra l'altro, il riflesso che questo fenomeno ha sulla base elettorale del M5S, principale avversario del PD, in fase di spostamento verso il centrosinistra secondo un recente rilevamento. Non sorprenda questo dato, perché l'elettorato di sinistra, orfano, in parte si rifugia nell'astensionismo (ed è ciò che auspica Renzi) in parte cerca appoggio dove può: qualcuno nel M5S, qualcuno nel movimento Possibile di Civati del quale però non sono ancora definiti i contorni. Nessuno nei frammenti della sinistra tradizionale, percepiti come settari, ininfluenti, o peggio ondivaghi, nel caso di SEL.

Altro aspetto sostanziale: l'azione di governo e l'impostazione con cui sono state avviate le riforme costituzionali appaiono guidate dalla volontà di accentramento del potere decisionale, idea del tutto opposta al recupero di spazi di democrazia diretta portata avanti da Syriza e Podemos. Lo sblocca Italia, definendo il carattere strategico di alcune grandi opere, dalla rete nazionale di inceneritori alle trivellazioni, sceglie di scavalcare gli enti locali; la combinazione fra nuovo Senato e legge elettorale con i capilista bloccati, cristallizza nella forma istituzionale lo sbilanciamento dell'equilibrio fra il Parlamento e l'esecutivo a favore di quest'ultimo, da tempo in atto nella prassi, come è evidente nel ricorso patologico al voto di fiducia. D'altra parte, Renzi ha spesso fatto riferimento alla legge sui Sindaci come modello: esattamente quella legge che ha pesantemente indebolito il ruolo di indirizzo e controllo dei Consigli comunali sulle Giunte. Cioè degli organi assembleari sugli organi esecutivi.

Appare insomma nell'insieme una generale torsione delle regole alla necessità di garantirsi la permanenza al potere, anche a costo della (o proprio attraverso questa) limitazione dei canali di partecipazione popolare: le primarie (si faranno o no a Roma?), le preferenze (capilista bloccati), l'intenzione di limitare il ricorso ai referendum.

Infine, anche lo stile comunicativo del governo ed i suoi contenuti non presentano analogie con gli schieramenti di sinistra recentemente emersi in Europa. Da Syriza a Podemos, al Labour di Corbyn, queste forze politiche sviluppano una critica piuttosto radicale alle politiche di marca liberista, centrando la propria proposta sulla necessità di un'alternativa netta. Portano avanti proposte politiche redistributive in ambito fiscale, espansive in ambito macroeconomico, di crescita del ruolo dello Stato nella gestione dei servizi fondamentali, di riduzione della disuguaglianza e di sostegno alle fasce marginalizzate. Pur dando al PD l'attenuante che si trova al governo con l'appoggio di un partito di centrodestra, non si può fare a meno di notare che le politiche messe in atto rispondono a logiche diametralmente opposte, assai vicine al più classico dei neoliberismi. Si tratta di proposte geneticamente estranee alla sinistra, perché non riconoscono allo Stato il ruolo di soggetto ordinatore, orientato al perseguimento di una maggiore equità sociale, ma vedono piuttosto in esso un ostacolo al raggiungimento di un benessere individuale.

Altrove in Europa, idee politiche in netta discontinuità con le posizioni neoliberiste marcano una sorta di rinascita della sinistra, che però travalica la classica dicotomia destra/sinistra. In Italia, il fenomeno è ancora acerbo. Attende, per emergere, l'esito della ricollocazione del principale attore che ha a lungo occupato l'area politica sinistra, il PD, in una posizione centrista. Terminato questo processo, sarà da vedere quali attori sapranno cogliere l'opportunità: un M5S riposizionato, il movimento Possibile, entrambi? In tempi rapidi, vedremo.

Foto: Julia Manzerova/Flickr

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