• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Il lavoro al tempo di Marchionne

Il lavoro al tempo di Marchionne

Dopo secoli di lotte e conquiste, i lavoratori vedono erodersi i loro diritti. Staremo fermi a guardare?

Le conquiste che i lavoratori hanno ottenuto nel ventesimo secolo si stanno sgretolando sotto i nostri occhi. Marchionne sta erodendo i diritti dei lavoratori, riportando la situazione nelle fabbriche ad un livello infimo. E’ una medievalizzazione del lavoro. Si torna all’operaio sfruttato, che deve lavorare lavorare lavorare e basta, senza pretendere cosette da niente come la rappresentanza sindacale, le pause e i tempi di lavoro adeguati.

In questo consistono gli accordi che Marchionne sta imponendo alle fabbriche Fiat sparse per l’Italia. Ieri Pomigliano, oggi Mirafiori, domani chissà. Il primo accordo, quello di Pomigliano appunto, doveva essere un caso straordinario. E invece eccoci qui, a parlare di quello di Torino (Mirafiori), che è il secondo caso straordinario, quindi.

Tutti parlano di larghe vedute del capo della Fiat, che secondo politici, giornalisti, economisti, giuslavoristi, sindacalisti e compagnia cantante sta salvando l’azienda e, in generale, innovando il mondo dell’impresa e del lavoro italiani. Ma siamo sicuri che sia così? Davvero è innovazione limitare e violare i diritti di chi lavora in nome dell’aumento della produzione? E davvero è “conservatore” chi continua a difendere quei diritti?

Marchionne fa un discorso molto semplice: chi firma l’accordo è dentro, lavorerà o avrà la cassa integrazione (a patto che non scioperi, che accetti di non poter votare il suo rappresentante sindacale e di lavorare per più tempo e con pause più brevi); chi non firma è fuori, e tanti saluti. E se la maggioranza rifiuta l’accordo non c’è problema, si delocalizza l’azienda in Brasile o in Polonia, dove nessuno scoccia. Accordo? A casa mia si chiama ricatto.

L’idea della Fiat è molto vecchia: per produrre di più, si fanno lavorare di più gli operai. Per uscire dalla crisi, l’azienda aumenta l’orario di lavoro oltre le 40 ore settimanali. La vecchia concezione del plusvalore che deriva dal lavoro in più di chi sta in catena di montaggio. E l’innovazione? Perché non puntare sulla ricerca, sulla creazione di modelli innovativi? Le case automobilistiche straniere stanno proprio puntando su questo. Ma noi siamo, come sempre, un passo (o forse molti di più) dietro agli altri.

Vediamo un po’ di dati. Nel costo complessivo della costruzione di un’auto, il valore del lavoro incide tra il 7 e il 9%. Le operazioni che fa Marchionne servono proprio a ridurre il costo del lavoro. Ma con questi metodi, al massimo potrà risparmiare un 1%. Quindi una macchina che gli costava 10mila euro, verrà a costargli 9.900. Chi crede davvero che un risparmio simile tirerà fuori dalla crisi l’azienda? Visto il calo delle vendite, che negli ultimi due anni è stato doppio rispetto alle aziende concorrenti in Europa, non dovrebbe puntare sulla creazione di modelli nuovi, che consumino meno? Sono anni che la Fiat non tira fuori una vera idea, un vero nuovo modello, nonostante dica di averne in cantiere molti.

Marchionne dice poi che gli operai italiani producono la metà di quelli delle fabbriche delocalizzate in Brasile e in Polonia. Non dice però (evidentemente lo dimentica) che mentre le fabbriche in questi paesi hanno funzionato, negli ultimi due anni, praticamente a tempo pieno, quelle in Italia sono rimaste ferme per il 50% del tempo. E non per l’assenteismo, ma per lo scarso numero di auto vendute.

Non è che la morale di tutto questo discorso è che la Fiat non fa macchine che si vendono o che non vende bene il suo prodotto?

La risposta è l’innovazione. Bisogna puntare sul futuro, producendo e proponendo macchine pulite, d’avanguardia, che siano accattivanti e che consumino poco. Se non si scommette sul nuovo non c’è via d’uscita. La colpa non è degli operai, dei lavoratori. E’ di chi, tradendo il suo ruolo di manager, naviga a vista e scarica le sue responsabilità sugli altri, invece di proporre nuove soluzioni. Marchionne si è trasformato in un dittatore, che impone le sue condizioni violando i diritti fondamentali, primo tra tutti quello che garantisce la rappresentanza sindacale.

Dopotutto, è una questione di rapporti di forza. L’uomo col maglioncino ha in mano le sorti dell’azienda e quindi di chi ci lavora. E il governo, debole e disinteressato, lo lascia fare, guardandolo mentre distrugge le conquiste di secoli di lotte e di fatiche, mentre calpesta la Costituzione, mettendo tutti in riga. Gli operai non hanno potere, non hanno niente da negoziare. La loro dignità vale meno di un lavoro, per quanto mal retribuito.

Cosa ci vuole per capire che questi accordi sono il primo passo verso una regressione drammatica in materia di lavoro? Oggi la Fiat, domani chissà che altro. Si invocheranno le sacre leggi e i fondamentali bisogni del mercato, eliminando uno a uno i diritti di chi lavora. E noi staremo a guardare, impotenti. Oppure applaudiremo a queste mostruosità, come fanno il PD (ormai del tutto fuori di testa) e gran parte della stampa (come il Corriere, del quale Fiat è azionista con il 10%).

Nessuno nega che un imprenditore debba fare il bene della sua azienda. E’ il suo lavoro. Ma a che prezzo? Si può discutere una riforma in materia di lavoro, non c’è dubbio. Ma Marchionne chi è, il Parlamento? Il Presidente del Consiglio?

Ecco perché è necessario stare con la Fiom, l’unico attore di questo dramma che resiste e si batte, non accettando una ferita così profonda ad uno dei diritti fondamentali dell’uomo: il lavoro. E’ il lavoro che delinea una persona per quella che è, che la determina e la innalza. Vogliamo davvero che sia il modello Marchionne a descrivere quello che siamo?

(Firma l’appello di Micromega: “La società civile con la Fiom“, firmato da Camilleri, Hack, Tabucchi, Fo e tanti altri)

Commenti all'articolo

  • Di Pere Duchesne (---.---.---.203) 8 gennaio 2011 10:58
    Pere Duchesne

    Direi che effettivamente la FIOM si batte, ma sembra solo per mantenere il proprio ruolo, senza guardare in faccia alla realtà, utilizzando parole, schemi logici, valutazioni economiche sepolte, e talmente vecchie da essere quasi ridicole. Non c’è dubbio che il referendum avviene sotto un ricatto, ma cosa ha fatto la FIOM per tantissimi anni se non ricattare la FIAT (e non solo)? Cosa ha fatto per contrastare l’assenteismo selvaggio, i boicottaggi, la superflua moltiplicazione dei permessi sindacali e le centinaia di delegati in fabbrìca, ma non per lavorare, i picchetti, e l’imposizione violenta degli scioperi ? Perché ha sempre osteggiato qualsiasi forma di referendum, come se avesse sempre paura di contarsi? Per anni la FIAT ha avuto bisogno dell’Italia, come l’Italia ha avuto bisogno della FIAT. Ora l’Italia ha ancora bisogno della FIAT, ma la FIAT non ha bisogno dell’Italia, che piaccia o non piaccia alla FIOM, e per questo che il referendum avviene sotto forma di ricatto. Il mondo è cambiato, i rapporti economici fra stati non sono quelli di venti o trenta anni fa, ma la FIOM è rimasta al “salario variabile indipendente”. Tutto questo non è certo bello, ma la FIOM dovrebbe provare ad uscire dalla sua corazza ideologica e cercare di capire come gestire questo nuovo mondo economico, e fare proposte alternative, ma dubito molto che ne abbia la capacità. Alla FIAT il referundum passerà, la FIOM abbozzerà, ma continuerà con azioni di disturbo all’interno della fabbrica per dimostrare di essere viva, e morirà con la FIAT italia.

    • Di Martino Ferrari (---.---.---.250) 8 gennaio 2011 11:33
      Martino Ferrari

      La Fiom ha certamente le sue responsabilità, così come i lavoratori di Pomigliano (alcuni), che per anni hanno fatto il bello e cattivo tempo in fabbrica, tra assenteismo e scarso lavoro. E il sindacato si è limitato a difendere, evidentemente sbagliando, questi atteggiamenti, non riconoscendo, o facendolo scarsamente, le colpe dei lavoratori.

      Ma credo che questo dimostri che il problema sta a monte di tutto questo discorso. Il punto fondamentale è infatti il rispetto delle regole, delle leggi. Se si facessero rispettare le leggi, se in Italia fosse diffusa, culturalmente ancora prima che giudizialmente, l’idea che è necessario, vantaggioso e doveroso fare il proprio dovere e obbedire alle leggi, se si facessero effettivamente rispettare le norme, questi problemi sarebbero molto più semplici da risolvere, perchè si presenterebbero in forma meno tragica.
      Detto questo, non è assolutamente accettabile l’idea che, dato il fatto che il mondo economico è cambiato e che i rapporti economici tra stati non sono più quelli di prima, i diritti di chi lavora debbano essere eliminati o comunque messi in discussione in modo così violento. La risposta alla crisi è tornare indietro, al lavoratore senza diritti? No, non è questa la risposta. Ripeto, un riassetto del mondo del lavoro è probabilmente necessario, ma non è questa la via da seguire e non è Marchionne a doversene occupare. In tempi di crisi tutti devono fare sacrifici, ma non rinunciare alla propria sfera di diritti.
  • Di Pere Duchesne (---.---.---.150) 10 gennaio 2011 08:18
    Pere Duchesne

    In linea teorica si può essere d’accordo, ma è nella realtà che certi regionamenti cadono. I diritti dei lavoratori  e i doveri  dovrebbero andare di pari passo, ma esistono solo quando esiste il lavoro. Se il lavoro non c’è, scompaiono diritti e doveri. In un mondo sovrappopolato, con una forza lavoro immensa a disposizione e a basso prezzo, con stati che farebbero carta falsa (e fanno) per avere una fabbrica, ci troviamo con una FIOM che parla per slogan, che continua a parlare di diritti ma mai di doveri, che vuole continuare ad avere centinaia di esentati dal lavoro, che sembra non capire in che mondo viviamo. Sarebbe necessario avere sindacati che, nel pretendere giustamente il rispetto dei diritti, cerchino anche di capire come si può fare per mantenere in Italia una grossa industria, come rendere appetibile il lavoro in Italia, almeno per qualità se non per costo. Ma i nostri sindacati (tutti, non solo la FIOM) hanno sempre combattuto battaglie di retroguardia e sono stati la cinghia di trasmissione dei partiti che avevano dei traguardi, e che premiavano i segretari sindacali al termine del loro mandato con prestigiosi e lucrosi incarichi, se proprio non sapevano fare altro, come deputati. Ora che i partiti storici si sono dissolti, il sindacato va a ruota libera, ma senza avere più di mira alcun traguardo, se non la conservazione dei propri privilegi. Che questa posizione sia perdente sembra che lo stiano capendo quasi tutti, anche i rottami dei partiti che ora ci sono: infatti la FIOM ha avuto l’appoggio solo dei signori Bertinotti e Cofferati, rottami politici dei rottami dei partiti (ma sempre ben remunerati).

  • Di Martino Ferrari (---.---.---.99) 10 gennaio 2011 18:52
    Martino Ferrari

    Lasciamo perdere la Fiom. Ha fatto e fa molti errori, non c’è dubbio. Il mio invito a spalleggiarla deriva esclusivamente dal fatto che si oppone alla visione del mercato come dio di Marchionne e di molti altri. 

    La dignità dell’uomo, che sia italiano, spagnolo, tedesco, brasiliano, polacco o altro, è un limite che non si può mai travalicare. Non in nome del cambiamento, non in nome del progresso o del mercato o della necessità o della globalizzazione. E’ un limite, punto. E ciò che è accaduto a Pomigliano ed accade a Mirafiori va contro la dignità dell’uomo, che è configurata anche, in buona parte, dal suo diritto al lavoro.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares