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Il bavaglio ce lo mettiamo da soli

Il bavaglio ce lo mettiamo da soli

Oggi è la giornata del silenzio. Almeno questa volta abbiamo scelto. Il silenzio, il bavaglio, non è solo in quel disegno di legge punitivo voluto da Berlusconi e dai suoi. Il silenzio è un sistema dell’informazione vecchio, asfittico, che troppo spesso appare irriformabile come, specularmente, quello politico. Dove senza il finanziamento pubblico all’editoria l’intero sistema salterebbe, e la politica questo lo sa e infatti usa la minaccia del taglio al contributo per rimettere in riga tutti, di anno in anno. Tutti, senza alcuna eccezione. Anche Il Fatto, felice anomalia, non racconta tutta la verità sull’argomento contributo pubblico. Invece di dire “non vogliamo i soldi pubblici” dovrebbero dire, per correttezza e trasparenza, “non prendiamo contributi pubblici anche perché non ne abbiamo diritto”. È così, perché una testata giornalistica per poter aspirare ad avere un contributo pubblico deve esistere da almeno 5 anni. Funziona così, il sistema. Non giochiamo con le parole. Il silenzio, il bavaglio, è dentro di noi. Nel sistema industriale dell’informazione. Dove gran parte degli editori sono interessati, per vocazione e cultura, a tutt’altro che alla libera informazione. Dove l’accesso alla professione è bloccato da decenni. Dove lo stesso Ordine è un assurdo in termini di diritto costituzionale in violazione di quell’articolo 21 della Costituzione a cui, poi, si appella.
 
Oggi è la giornata del silenzio perché per avere un raffronto sul crollo di copie vendute dei quotidiani italiani bisogna ritornare indietro nel tempo fino al 1939. Quello è l’unico dato raffrontabile con la nostra situazione attuale.
 
Oggi è la giornata del silenzio perché anche Internet non è la salvezza. Gli stessi meccanismi di controllo si stanno mettendo in moto per normalizzare il fenomeno dei blogger, del citizen journalism. Mentre in Finlandia la banda larga e l’accesso a internet vengono definiti un diritto civile, noi siamo qui ancora a parlare di cose che per ogni altro Paese civile sarebbe assurdo persino mettere in discussione. Diritti non contrattabili come il diritto di espressione e di accesso all’informazione.
Oggi è il giorno del silenzio perché c’è troppa gente che confonde marketing e informazione, opinioni con partigianeria, notizie con veline. Il problema è di tutti, compresi noi artigiani dell’informazione.
 
La “legge bavaglio” è solo la spallata finale. Che il potere pensa di potersi permettere perché noi, tutti noi, l’abbiamo consentito. Non nascondiamoci dietro l’alibi del presunto regime. Il regime populista che governa questo Paese è lo specchio della nostra incapacità di assumerci responsabilità. 

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