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Un Castello Bene Comune. A Milazzo tra la miopia della politica e gli interessi innominabili

“Immagina che questo posto, due secoli fa e poi fino alla chiusura del carcere che ci stava dentro, è stato vissuto dai milazzesi con lo stesso senso di disagio e oppressione con cui oggi vivono gli abitanti di Niscemi il Muos. Una servitù militare. Un simbolo di dominazione e potere. Da qui la riapertura attraverso un processo sociale e culturale che l'ha consentita, che è un atto politico inedito e dalle conseguenze imprevedibili. Perfino per noi che lo stiamo vivendo. I cittadini si sono presi un luogo di immenso valore che non era mai stato loro. È poco?”

La spiega così la storia del Castello di Milazzo Dario Russo, l'assessore alla cultura e al turismo della città siciliana che è uno dei principali promotori del riuso sociale di uno dei più grandi spazi pubblici, potenzialmente, di produzione culturale nel nostro paese. Attraverso un progetto pubblico, gestito pubblicamente tenendo insieme tutte le realtà del territorio in un processo inclusivo e delicatissimo. Il Castello bene comune.

Il Castello di Milazzo rappresenta uno spazio che per dimensioni e potenzialità – mille anni di sovrapposizioni a partire dagli arabi e passando per i normanni, gli spagnoli e poi i Borboni – è paragonabile solo al Lingotto a Torino. Ma che è - e vuole rimanere - oggetto pubblico e non proprietà di fondazioni private come è invece avvenuto nel capoluogo piemontese. E se al Lingotto il luogo narra un secolo di industrializzazione, a Milazzo il Castello rappresenta più di un millennio di storia, in uno dei punti più formidabili sul piano paesistico e ambientale della Sicilia. Milazzo a un tiro di schioppo dallo Stretto e dalle Eolie, sospeso fra cielo e mare e terra ferma (l'istmo è il collegamento ideale fra l'Isola e l'arcipelago). Un luogo che solo visitandolo come semplice turista ti lascia senza fiato.

 

IL CASTELLO DI MILAZZO - GUARDA LA GALLERY

 

Anche sul piano storico e culturale. Nel Castello venne detenuto per un periodo Sandro Pertini insieme ad altri esponenti antifascisti. Qui andò in scena uno dei capitoli non marginali della storia dell'unificazione del nostro paese. Qui incontri pezzi di racconto greco, fenicio, romano, bizantino, arabo, normanno e poi spagnolo e borbone. Tutto questo lo trovi a Torino? No. A Torino trovi i grandi investimenti privati sulla cultura e l'innovazione, qui trovi, oggi, una pattuglia di visionari e resistenti che senza soldi e scontrandosi con interessi palesi o innominabili (siamo sempre in terra di mafia, di quella che oggi non spara ma sa sempre molto bene come fare affari) stanno cercando di proteggere questo bene comune attraverso un processo culturale e economico virtuoso inedito nel nostro paese.

“Ci sono voluti decenni perché si arrivasse alla riapertura totale degli spazi interni al Castello – prosegue Dario Russo – E come spesso avviene sono stati spesi moltissimi soldi e male, snaturando troppo spesso la natura dei luoghi con ristrutturazioni affrettate e mal modulate e ancor peggio eseguite. Quando siamo riusciti ad entrarne in possesso come amministrazione, ci siamo resi conto che era necessario riconsegnare subito alla città questo luogo. Nella sua interezza. Anche se non avevamo risorse, anche se ci siamo dovuti basare sul lavoro volontario, come ad esempio quello dei soci dell'associazione culturale della Compagnia del Castello, anche se ci siamo trovati subito a far fronte a una situazione di assoluto isolamento sia sul piano politico che economico”.

Russo è assessore in una giunta anomala, che raccoglie esponenti sia della sinistra anche radicale (Russo ha una storia che parte da Lotta Continua e attraversa gli ultimi trent'anni della sinistra eretica siciliana) che del centro destra non colluso con i comitati di affari. Una sorta di Cln che, dopo anni di malaffare e pessima gestione della città e delle risorse pubbliche, si è presentata ai cittadini con un programma che si fonda su due punti fondamentali: No alla mafia e restituzione di protagonismo ai cittadini sia sul piano culturale che sociale partendo dalla riapertura del Castello. E la giunta si è fatta carico di prendersi sulle spalle la gestione di un comune in default. E con un oggetto politico e economico delle dimensioni del Castello a fare da detonatore in una situazione amministrativa già enormemente complicata.

Davanti a uno scenario del genere, abilmente creato in decenni di mala gestione e affari inconfessabili, sia il progetto del Castello come spazio sociale e culturale pubblico e condiviso che il risanamento sia etico che dei conti dell'amministrazione, è visto ovviamente come fumo agli occhi e osteggiato. Sia da chi aveva già messo l'occhio sul castello (privati che già avevano offerto una manciata di milioni di euro per una concessione ventennale e che solo la caduta della precedente amministrazione ha impedito la sottrazione di un bene della collettività) sia di chi, consapevolmente o meno, vede la buona gestione del patrimonio pubblico da parte dell'attuale amministrazione, come un aspetto marginale e se non ostacolo nei giochi della politica locale, sia sul territorio che in tutta la Sicilia.

Non è un caso, infatti, che proprio Russo sia stato messo sotto attacco da alcuni esponenti regionali di Sel (che paradossalmente, anche se non è iscritto, sarebbe l'area di riferimento politica dell'assessore) insieme ad altri esponenti del partito locali che ne sostengono l'azione. Si è addirittura giunti a chiedere dimissioni, in un momento delicatissimo e fragile come quello che si vive in questi mesi a Milazzo dove i comitati di affari e i soliti poteri che hanno portato al dissesto si stanno riorganizzando dopo la sconfitta elettorale.

Miopia politica? Certamente. Sottovalutazione della situazione di rischio che si corre a Milazzo? È nei fatti. Ricerca di spazi e di visibilità attraverso azioni di cannibalismo cieche e senza altro obiettivo che ottenere spazi di visibilità effimera sulla stampa attraverso polemiche strumentali? Il sospetto c'è e ha tutte le migliori ragioni per farsi convinzione. Certo, l'amministrazione di Milazzo non è etichettabile come “di sinistra” visto l'ampio schieramento che la sostiene. Ma è l'unica alleanza che abbia raccolto il consenso attorno a un progetto chiaro: no agli affari della mafia, si a una politica inclusiva sul progetto di un Castello bene comune e risanamento delle casse del Comune attraverso un processo sostenibile sia sul piano sociale che economico.

Una battaglia politica tutta interna alla sinistra, di basso livello anche sul piano locale, che sta rischiando di affossare non tanto l'esperienza dell'attuale amministrazione di Milazzo quanto un progetto di enorme rilievo sociale e culturale a livello nazionale. Quello che nasce proprio attorno al Castello, che si dipana attraverso le reti sociali e del terzo settore, che include le realtà produttive del territorio che operano su criteri di trasparenza e sostenibilità. Sì, perché il “problema” del Castello di Milazzo non è solo locale, ma è nazionale. Perché si tratta di un bene unico e soprattutto di un progetto concreto e già nella sua prima fase di costruzione inedito nel nostro paese. Un progetto modello a livello nazionale. Che rischia di essere cancellato dal coincidere dei soliti interessi di comitati di affari con la miopia di un ceto politico ormai travolto dal proprio narcisismo autoreferenziale a Milazzo come nel paese.

Possibile che troppi sul territorio (fisico e politico) non riescano a vedere quale sia il valore e quali siano le potenzialità del processo che si è avviato a Milazzo? Paradossalmente se ne rendono conto di più le persone che arrivano al Castello da fuori. E per fortuna di gente da fuori, per gli strani intrecci che a volte la vita regala, ce ne sono.

Andrea Satta, cantante dei Têtes de Bois, che il 21 settembre è sceso a Milazzo per suonare e partecipare a #sbavaglio, la festa della testata de I Siciliani giovani, ha poi scritto su L'Unità dove tiene una rubrica fissa: “Milazzo la penisola del Sole, Milazzo il traghetto per le Eolie, Milazzo la raffineria illuminata che pare Manhattan, Milazzo la grotta di Polifemo, Milazzo il castello grandissimo e antico, Milazzo e i Nebrodi dei nuvoloni bui, Milazzo e il Golfo di Patti. Milazzo e quella laggiù è Stromboli, Ustica è troppo a largo e se fosse bel tempo si vedrebbe l’Etna. Milazzo e un gruppo di visionari. Tra problemi e meraviglie, i visionari hanno inscenato una tre giorni dedicata ai 'Siciliani Giovani', un vivaio spudorato a nuoto fra le utopie concrete di Danilo Dolci e il corpo frapposto tra verità e vita di Pippo Fava”.

E poi chiude il pezzo con una metafora del nostro paese impietosa nella sua precisa pertinenza: “Mentre il cielo era incerto sul da farsi io mi sono trastullato con la linea dell’orizzonte e ho indugiato sullo stadio di calcio visto dall’alto. Il campo sportivo è proprio in riva al mare. Nell’ordine: stadio, venti metri di sabbia, acqua fino all’orizzonte, Eolie e luna. Tutto nella stessa fotografia. Ma ogni meraviglia necessita di un assurdo. Anche lo stadio del Milazzo ha una tribuna, una sola sul lato lungo del rettangolo di gioco. Dove l’hanno piazzata? Spalle al mare, è ovvio. Cioè, se tu stai guardando Milazzo - Barcellona Pozzo di Gotto, alle tue spalle ci sono una striscia di sabbia, l’acqua del golfo di Patti e tutte le Eolie schierate e a zona. E tu gli dai la schiena. Non è la foto più sintetica del pianeta Italia?”.

E tu gli dai la schiena?

 

Tutte le foto (nell'articolo e nella gallery) sono di Sebastiano Gulisano

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