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Il Quirinale e l’Asino di Buridano

Che il Partito Democratico fosse seduto da sempre su una faglia di terremoto lo si sapeva.

Che fosse finito in un vicolo cieco grazie ad una vittoria/non vittoria alle ultime elezioni è anche questa cosa nota. Ed è cosa addirittura arcinota che la sua scomodissima situazione di non poter fare un governo senza allearsi o di qua (PDL) o di là (M5S) sia all’origine dello stallo politico in cui tutto il Paese è bloccato.

Le elezioni presidenziali sono un momento fondamentale di questa rischiosissima e azzardatissima partita a poker in cui tutte le carte sono in mano al PD, che non sa decidere come muoversi e se non decide muore, proprio come l’asino di Buridano.

“Un asino affamato e assetato è accovacciato esattamente tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno, un secchio d'acqua, ma non c'è niente che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall'altra. Perciò, resta fermo e muore”, riassumeva Popper.

È vero che il Partito Democratico sembra destinato a morire sia che resti fermo sia che decida una delle due opzioni possibili: il lato berlusconiano o quello grillino. Pur sapendo che in politica una morte può essere una rinascita, è chiaro che le lacerazioni interne non sono determinate solo da queste due possibilità; perché i giochi di potere fra correnti - renziani, bersaniani, giovani turchi, vendoliani, barchiani, filogrillini eccetera - complicano esponenzialmente le possibili soluzioni. All'interno di ogni opzione ne esistono altre che non fanno capo alla Grande Politica, ma a quel sottobosco di interessi personali, locali, piccoli o piccolissimi che si snodano come una processione quaresimale.

In questo contesto un nome di “sostanza” come quello di Franco Marini, ex presidente del Senato, ex democristiano, ex sindacalista cattolico di area centrista del PD, uomo di moderata, moderatissima presenza politica ultradecennale, sembrava aprire la strada ad un ipotetico governo PD-PDL. Una candidatura che quindi avrebbe potuto essere fatta propria dalle tendenze piddine non avverse a questo progetto. Ma il fatto che Renzi avesse sparato ad alzo zero proprio su Marini (e Finocchiaro) nei giorni precedenti, non poteva portare che al siluramento della vecchia corazzata democristiana in salsa abruzzese rimasta senza carburante nel motore.

Ergo; palla al centro. Qualcuno considera la candidatura Marini un grossolano errore di Pier Luigi Bersani e forse lo è davvero perché ha scatenato la bagarre interna acuendo il rischio di spaccatura del Partito. Ma, come si sa, quando si vuole difendere la propria posizione (di sinistra) bisogna avanzare (al centro). Magari buttando là, provocatoriamente, un nome come quello di Prodi che ha l'unico scopo di far imbizzarrire oltremisura il Cavaliere, distraendolo dalle vere manovre in corso, proprio come un torero distrae il toro con la muleta dietro cui si nasconde lo spadino per il colpo fatale. Opportuno ricordare che se un governo PD-M5S dovesse prendere il largo la sua navigazione sarà di sicuro complicata, ma a Berlusconi rimarrebbe in mano ben poco (e quel poco si chiama Aule di Giustizia).

Allora forse, con questa singolare mossa del cavallo che segue al geniale colpo di scena Boldrini-Grasso, il leader democratico potrebbe aver fatto fuori sia le tendenze filogovernissimo che le aspirazioni renziane alla guida del Partito (che non hanno chance se non si torna al voto). L’ira furibonda della base democratica verso le aperture al centrodestra e le simpatie apertamente manifestate verso una figura come quella di Rodotà, guardacaso nuovo nome di punta del Movimento di Grillo (dopo la rapida quanto indolore “bruciatura” degli outsider di facciata Gabanelli e Strada), sembra aver aperto davvero la possibilità di una svolta sinistrorsa dell’asino di Buridano bersaniano (ammesso e non concesso che il M5S sia di sinistra).

Mossa sbagliata o non piuttosto mossa azzardata, ma sottile e non certo sciocca, quella del leader PD ?

Ora una proposta continuista - nel senso di continuità con nomi della “casta” o della “vecchia politica” come la definiscono i grillini (volendo farci credere che Rodotà con il suo curriculum gli sia del tutto estraneo) - sembra più lontana di quanto non lo fosse qualche giorno fa alla vigilia delle prime tre tornate elettorali che tutti sapevano essere di assaggio; un falò delle vanità di questo o quello, rese evanescenti dalla cinica prassi politica di celare fino all’ultimo il nome del candidato ‘vero’ bruciando via via tutti gli altri.

Adesso sugli scudi è Stefano Rodotà, costituzionalista originario della minoranza albanese di Calabria, 80 anni, padre della simpatica e strafottente Maria Laura editorialista del Corriere, ex radicale, ex indipendente nelle liste del PCI, ex presidente della Camera, ex parlamentare europeo, eccetera eccetera, uomo di specchiata onestà e di profonda sensibilità verso i diritti civili e individuali dei cittadini. Uomo di vecchia politica che merita ogni rispetto anche da chi si definisce, non sempre a ragione, un "nuovista".

Chi confluirà su di lui? Ala sinistra del Partito Democratico, certamente, vendoliani e simpatizzanti sicuramente, grillini ovviamente visto che è il 'loro' candidato. La mossa apre a un futuro dialogo PD-M5S come suggerisce Grillo agendo come il più sperticato aperturista - dico e non dico - da Prima Repubblica?

Basterà per raggiungere il quorum più basso della quarta votazione? O anche il nome di Rodotà è un nome da bruciare per illudere tutti che l’asino avesse voltato la testa verso il lato grillino così come Marini ha rappresentato il finto movimento verso quello berlusconiano?

Se è così - e sottolineo se - l’asino è in realtà ancora fermo, via via che bruciano i nomi; prima quelli di paglia, poi quelli di legno. Chi sarà alla fine il nome di solida tempra che non potrà essere bruciato sull’altare del Moloch quirinalizio? È già Rodotà o è quello che deve ancora venire, quello a cui nessuno potrà dire di no perché rappresenta proprio l’ultima ultima spiaggia e, nello stesso tempo, la soluzione ideale perché nessuno - nemmeno Berlusconi - ne uscirebbe perdendoci la faccia ?

Resta il dubbio che sarà quello di cui nessuno, ma proprio nessuno, parla ancora. Perché "quel" nome non può rischiare di essere bruciato anzitempo. I riti della politica pretendono leggerezza di tatto, passi felpati e freddezza da vero pokerista: la posta in gioco è davvero bella alta.

 

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