• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Media > Il Print on demand non è editoria

Il Print on demand non è editoria

Iniziative come Il mio libro del quotidiano La Repubblica, fanno parte della categoria denominata print on demand, cioè letteralmente: “stampa su ordinazione”. Questo nome (nonostante l'inglese a effetto distragga dal senso preciso delle parole) è già una dichiarazione d'identità, come dire: stampiamo (non pubblichiamo), siamo tipografi (non editori).

Peccato che la campagna pubblicitaria che circonda questo tipo di operazione calchi invece la mano sulla preziosa possibilità che offre alla realizzazione del sogno di ogni aspirante scrittore (che paghi): vedere il proprio manoscritto pubblicato, "accedere al mondo dell'editoria", come troviamo scritto testualmente sul sito Youcanprint. Queste operazioni, dunque, al pari dell'editoria a pagamento, glissano sul fatto che la discriminante per pubblicare sia il denaro (e chi non ce l'ha, problemi suoi), sottolineando invece la presunta democraticità del fatto che, secondo loro, chiunque può finalmente realizzare il suo sogno. Lo slogan del progettoIlmiolibro.it in questo senso è illuminante: Se l'hai scritto, va stampato, come se il semplice fatto di buttare giù un malloppo di frasi qualsiasi, fosse sufficiente a conferire al testo dignità e diritto alla pubblicazione: un povero aspirante scrittore, ingenuo e narcisista, non aspetta altro che questo tipo di avallo per potersi considerare a tutti gli effetti uno scrittore, cosa che sembra importargli infinitamente più che imparare a scrivere bene.

Molti sostengono a questo proposito che il problema sia di chi casca in questi tranelli. È sprovveduto? Fatti suoi. Siamo d'accordo che in un certo senso se la sia cercata, ma non ci sembra giusto che sull'ignoranza e sulla faciloneria del consumatore si costruisca un'impresa economica, si ricavi profitto. È pur vero che questi signori fanno molta attenzione a non autodefinirsi mai esplicitamente “editori” ma, per evitare gli equivoci sui quali si basa questa discutibile operazione di marketing, dovrebbe esserci una legislazione che preveda che, per ogni pubblicazione che comporta delle spese per l'autore, sia obbligatorio informare gli utenti con una frase standard, una formula che garantisca la piena comprensione a chi si imbatte in questo tipo di proposte. Per esempio, se gli editori a pagamento e i siti print on demand fossero obbligati a inserire bene in evidenza, e su tutte le pagine del proprio portale, la frase: Non siamo editori, siamo tipografi, chissà quale autore riuscirebbe ancora a prenderli sul serio. Un altro provvedimento auspicabile potrebbe essere, per i testi pubblicati in parte o interamente a pagamento, che per legge fosse previsto l'obbligo di aggiungere alle informazioni sulla stampa di un testo (nome della tipografia, luogo e data), la dicitura: Stampato (parzialmente o interamente) a spese dell'autore. Chissà quale autore riuscirebbe ancora a prendersi sul serio.

Fatta questa importante premessa, non ci interessa in questa sede il fatto che queste operazioni siano perfettamente legali (ci mancherebbe solo che prosperassero illegalmente). Non ci interessa neanche il fatto che pubblicare a pagamento sia appena un filino meno penoso che pubblicare grazie alla raccomandazione e dunque al poter scavalcare la pressoché inutile trafila dell'invio del manoscritto da parte dello sconosciuto qualsiasi. Quello che qui ci interessa è da una parte, come dicevamo, lo sfruttamento dell'ingenuità degli aspiranti scrittori, dall'altra lo svilimento dei processi di pubblicazione che dovrebbero invece operare su base qualitativa e meritocratica.

Noi consideriamo a pagamento tutte le forme di pubblicazione in cui è l'autore a pagare l'editore, e non viceversa, quindi il print on demand, a nostro parere, è assimilabile più all'editoria a pagamento (che non consideriamo degna del nome "editoria") che all'editoria vera e propria. Con molte differenze, nelle modalità e nei costi, sia chiaro, ma le accomuniamo in questo discorso dal punto di vista della spesa per l'autore, che secondo noi non dovrebbe sussistere mai.

Una differenza fondamentale per esempio, tra il print on demand e l'editoria a pagamento, che giustifica l'assimilare il pod decisamente alla tipografia piuttosto che all'editoria, è la clausola dell'accordo che prevede che i diritti sul testo non siano venduti, ma restino di proprietà dell'autore. Naturalmente questa clausola viene sottoposta all'autore come una concessione, come un incredibile atto di generosità: pensate a un tipografo, che al momento di presentarvi il preventivo per stampare una serie di depliant, per convincervi sulla competitività della sua proposta, esclami con compiacimento che il testo resta di vostra proprietà! Che potrete continuare a farne quello che volete!

Stabilito, dunque, che stiamo parlando di tipografi a tutti gli effetti (semmai un tantino assuefatti agli espedienti truffaldini di un certo marketing che fa della malafede uno strumento lecito), passiamo all'esempio pratico.

Siamo stati sul sito di Youcanprint e abbiamo calcolato il preventivo di spesa se volessimo stampare 100 copie di un testo di 200 pagine nel formato più economico. La cifra risultante dal conteggio è di 500 euro, e cioè 5 euro a copia. Abbiamo provato a calcolare il preventivo per lo stesso numero di copie nel formato più economico su Ilmiolibro.it, e la cifra risultante è di 552 euro. Abbiamo tentato la stessa operazione su altri siti e il preventivo di spesa si conferma di poco al di sotto o al di sopra dei 500 euro. Sorvolando sul fatto che questa cifra, allo stato attuale del mercato del lavoro italiano, è grossomodo pari allo stipendio medio mensile per un impiego part-time a progetto, ammettiamo che possa sembrare ugualmente un buon investimento all'autore che, immaginando di vendere poi il suo testo mettiamo a 10 euro, crederà di rifarsi della spesa e guadagnare anzi 500 euro una volta vendute tutte le 100 copie stampate. Peccato che, se desidera avvalersi dei servizi di ufficio stampa e distribuzione, assolutamente necessari se desidera promuovere il proprio testo e quindi venderlo, deve pagare ancora, perché su Youcanprint, come su moltissimi altri siti di questo tipo, se si vuole usufruire di uno dei servizi che normalmente un editore fornisce gratuitamente (editing, correzione di bozze, ufficio stampa, distribuzione), bisogna pagare ancora. E su Youcanprint il servizio di ufficio stampa "light" costa 150 euro, quello "premium" 250.

Secondo noi tutto questo è semplicemente indecente.
Ricapitoliamo i motivi di questa considerazione:

1. Il sistema dell'editoria a pagamento e il print on demand sfruttano l'ingenuità e la disperazione di moltissimi aspiranti scrittori, che piuttosto che aprire gli occhi al fatto che scrivere un libro valido e riuscire a pubblicarlo è difficile, preferiscono continuare a sognare ad occhi aperti (e a pagamento) la propria gloria letteraria.

2. Una volta che pago per pubblicare il mio testo con uno pseudo-editore che non mi fornisce neanche i servizi minimi che qualsiasi editore fornisce gratuitamente (ripetiamo: editing, correzione di bozze, ufficio stampa, distribuzione), non solo non imparerò niente perché non farò il lavoro di editing sul testo insieme a un professionista, non solo il mio testo sarà pieno di errori, non solo non avrà la minima promozione/distribuzione e quindi nessuno si accorgerà che esiste, ma farò una figura penosa con chiunque leggerà il mio testo, la cui realizzazione sarà talmente mediocre che chiunque penserà: lo credo bene che ha dovuto pagare per pubblicarlo.

3. Il valore e la dignità di un testo, e il suo riconoscimento in ambito editoriale, si basano sul fatto che un editore scommette e investe sull'autore pubblicandolo e pagandogli una percentuale (peraltro allo stato attuale decisamente bassa, e cioè, quando è buona, del 10%) sul prezzo di copertina. Se decido di pubblicare a pagamento, di fatto è perché non trovo nessuno che mi pubblichi, per questo motivo mi abbasso a pagare anziché essere pagato per un mio lavoro. Quindi, se in seguito vorrò presentare un mio testo a un editore degno di questo nome (e non un tipografo mascherato da editore), non sarò preso sul serio, perché sarò considerato un poveretto che ha pagato per pubblicare.

4. Pubblicare a pagamento è un privilegio di chi può permettersi di pagare: quando il denaro è l'unica discriminante per pubblicare, non è più la qualità del testo a fare da soglia oltre la quale si pubblica, ma la disponibilità economica. I soldi, oltre a non essere una garanzia di qualità, rendono la pubblicazione un privilegio di chi può pagare, e non un merito dovuto al presunto valore del testo. Per questo motivo, pagando per vedere pubblicato il mio libro, ho contribuito ad alimentare un sistema elitario basato sulla disponibilità economica dell'autore, e non sul suo talento.

Concludendo: sconsigliamo fortemente di pagare per vedersi pubblicati, e consigliamo tutti gli aspiranti scrittori di trovare un editore, anche piccolissimo, ma che investa su di loro, li pubblichi gratuitamente e li retribuisca con una percentuale sul prezzo di copertina. È troppo difficile? Buongiorno.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.48) 1 novembre 2011 18:24

    L’articolo è interessante, però non sarebbe male accentuare la differenza tra servizi come youcanprint e ilmiolibro (lulu.com e molti altri) e gli editori a pagamento. Nel primo caso infatti anche se come giustamente notato il marketing è talvolta fuorviante, è la singola persona a decidere come e in che quantità stampare, ed è spiegato chiaramente quali sono le forme di promozione. Gli editori a pagamento invece molto spesso richiedono denaro senza permettere al cliente di scegliere nulla riguardante il suo testo (formato, numero di copie, etc) e promettono forme di distribuzione che poi non si avverano.


    Solo questo.

  • Di fernanda cataldo (---.---.---.216) 1 novembre 2011 21:08
    fernanda cataldo

    sì, credo che si tratta di un modo superficiale e incompleto parlare dell’autopubblicazione in questo modo. come per dire: chi pubblica sulmiolibro.it, scrive solo "schifezze", invece c’è di tutto, anche dei buoni scrittori. paghi sì, ma sei libero e non condizionato da case editrici disoneste. ed è da considerare che la case editrici tradizionali difficilmente escono da un certo giro di autori, per altro non sempre "buoni" ma facili da distribuire. il discorso vale anche per il giornalismo online, ci sono buoni articoli e pessimi articoli, ma senza questa possibilità non potremmo leggere i buoni articoli. non so, il discorso è molto vasto. magari anche Campana, deriso e rifiutato da tutti avrebbe avuto la possibilità di farsi leggere mentre era vivo, con questo nuovo strumento.

  • Di (---.---.---.236) 22 gennaio 2014 11:37

    Ottimo articolo. Non posso che condividere pienamente il concetto fondamentale qui espresso: non è editoria. E grazie al cielo, aggiungo.
    In ogni caso trovo che:
    1. Si dia troppo peso al concetto di "a pagamento". Pubblicare con - ad esempio - Lulu è gratuito al 100% per l’autore, con tanto di ISBN. Dov’è il pagamento? Certo, giusti i riferimenti a Youcanprint, ma a ben vedere si tratta di servizi in surplus, non si è obbligati a pagarli. Diversi i casi di Narcissus e Lampi di Stampa, ma vi è libertà di scelta tra diversi portali, no?

    2. Chiunque abbia un minimo di senso critico è in grado di capire che il PoD non è editoria. Un ’allocco’ che sia convinto di scalare le classifiche con il proprio opuscolo di poesie su Ilmiolibro.it è lo stesso che invia con entusiasmo 2000 Euro a, chessò, Europa Edizioni o Il Filo. Il che, se mi è concesso, è parecchio più grave, è una truffa ben più legalizzata della questione di ’linguaggio’ sui siti di Self-Publishing cartaceo.
    3. E l’ISBN? E il deposito legale? Qui non difendo il PoD ma lo ammonisco gravemente. Alcuni siti si pongono come tipografi, si spacciano per pseudo-editori, ma la legge parla chiaro: il deposito legale (le famose 4 copie, o 2 se tiratura di meno di 200 copie) è a carico dell’editore. Ma l’autore cos’è? Editore di sé stesso? Non mi è capitato di leggere un regolamento di PoD che affermi con chiarezza "Tu e il tuo deposito legale arrangiatevi alla grande" oppure "Stia tranquillo, ci pensiamo noi!". La situazione continua a non essermi chiara; se qualcuno potesse chiarirmi la questione mi farebbe un favore. 

    In ogni caso, credo che i risultati migliori del Print-on-Demand non riguardino affatto l’autopubblicazione. Mi sembra che si tratti di un ponte, un ibrido in attesa della digitalizzazione della lettura e, in particolare, del self-publishing. Potrebbe essere interessante invece lo sviluppo nei casi del prestito interbibliotecario, delle edizioni universitarie (si veda il caso dell’Università di Firenze), delle ristampe di out-of-print.

    Chi vivrà vedrà. 

    Cordiali saluti. 

    Matteo Bianco ([email protected])

  • Di (---.---.---.123) 4 giugno 2014 22:40

    Interessante articolo, ma dico una cosa: ho proposto un mio libro ad alcune case editrici, che si sono dette tutte quante interessate. Alla fine mi hanno proposto degli accordi che mi avrebbero portato in tasca poco più di 4 euro ogni copia venduta. A quel punto, scusatemi, se uno non ha intenzione di diventare uno scrittore affermato, e vuole essere gratificato dal suo lavoro, tanto vale autopubblicarselo con codice isbn, promuoverselo e intascare gli 8 euro per ogni copia venduta (al netto dei costi di stampa, ovviamente).


  • Di letizia (---.---.---.208) 8 giugno 2022 08:51

    perché mai tanto disprezzo per i poveri allocchi che pubblicano a pagamento?

    non esistono solo la Poesia e la Letteratura e la Cultura con le rispettive iniziali maiuscole e rispettivi autori certificati di pregio perché accettati da editori di pregio. Esiste anche la ricezione delle medesime, e quale miglior fonte per chi volesse conoscerla degli "ingenui" autori POD? fonte utilissima anche per clima dei tempi, immaginario collettivo, psicologia...

    il criterio chi paga chi non è un criterio applicabile al valore dell’opera, ma soltanto al valore di mercato dell’opera. Editori rinomati come Mondadori hanno o hanno avuto collane tipo Harlequin il cui valore letterario non era necessariamente superiore a quello di tanti autori POD. Alcune biografie di scrittori entrati definitivamente nel canone ricordano clamorosi rifiuti di grandi editori. Quasi tutti gli editori che pubblicano monografie o raccolte di saggi accademiche si fanno pagare, salvo che da una ristretta rosa di nomi eccellenti, e alcuni non rispettano neppure gli impegni assunti in materia di distribuzione, tempi etc.. Vero che a pagare sono in ultima analisi i fondi pubblici, amministrati dai dipartimenti, non necessariamente favorevoli a ricercatori e ricerche fuori dal coro. Per fortuna ora viene imposta per legge anche una versione open access delle opere realizzate grazie a contributi di ricerca.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares