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Il Corriere e il cambiamento climatico

Pierluigi Battista in un notissimo fondo del 12 Dicembre 2011 sul Corriere della Sera scrive:

Il «global warming», forse anche a causa dei dati incautamente imprecisi forniti da una comunità scientifica inaffidabile e manovriera, non è più in cima all'agenda psicologica del mondo, e non solo a quella, politica, dei governi. [corsivo mio]

Il pezzo merita una lettura completa ed è stato commentato in più sedi (a caldo da Sylvie Coyaud, che fornisce anche utili riferimenti, e il 9 Gennaio 2012 da Climalteranti, che contiene pure una lettera aperta al Corriere, non pubblicata dal giornale).

Il 21 Agosto 2012 Giovanni Caprara scrive sullo stesso giornale un articolo molto utile, raccogliendo dichiarazioni di Michele Brunetti (Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr di Bologna), Marina Baldi e Massimiliamo Pasqui (Istituto di biometeorologia del Cnr), che con piacere vedo considerati climatologi probi e degni di fiducia.

Il quadro è molto preoccupante: Le estati del 2003 e del 2012 sono le due più calde dal 1800 con, rispettivamente, 3,66 e 2,26 gradi in più della media estiva nel periodo 1971-2000. A quanto comprendo, il dato del 2003 è riferito all'intera stagione, mentre quello del 2012 è aggiornato a fine Luglio; ritengo quindi che le misurazioni a fine Agosto alzeranno sensibilmente il valore di 2,26 gradi sopra la media.

Il fatto che due estati così ravvicinate siano le più calde degli ultimi 212 anni potrebbe essere una "coincidenza", ma l'evidenza scientifica oggi disponibile (che esiste e non crolla per un commento di Battista, vedi sotto) spinge l'analisi nella prospettiva ricordata in conclusione da Caprara:

diventano sempre più concrete le preoccupazioni manifestate dai recenti studi del Met Office britannico assieme alla Noaa, l'amministrazione dell'atmosfera e degli oceani americana, secondi i quali simili manifestazioni sarebbero sempre più connesse al generale cambiamento climatico del pianeta. 

Il testo contiene l'espressione cambiamento climatico e non menziona mai il riscaldamento globaleNon vi è nulla di scorretto nell'uso della prima locuzione, a meno che non serva a coprire, come spesso fanno in USA molti "scettici", il man-made global warming

Al contrario di quanto presume Battista nella chiusa del suo articolo: "L'urgenza appare un'altra: come uscire da un altro «disastro», quello delle monete, dell'economia, dell'industria, dei debiti degli Stati", il costo economico, sociale e umano legato al cambiamento climatico è sempre più alto. Caprara ricorda i pericoli per la salute, soprattutto degli anziani, durante le estati torride (secondo l'Oms le temperature del 2003 "causarono «70 mila morti in eccesso» nei dodici Paesi europei") e i disastri degli autunni:

«Le acque del Tirreno e dell'Adriatico hanno raggiunto i 25-26 gradi - sottolinea preoccupata Marina Baldi -, vale a dire quattro gradi sopra il livello tradizionale considerato normale». Questo significa che continuano ad accumulare calore il quale, poi, tra la fine di settembre e ottobre, si libererà scatenando quei fenomeni di intense e violente precipitazioni capaci di provocare disastri come accadde l'anno scorso in Liguria.

E si potrebbe aggiungere, meno drammaticamente ma con chiarissimo effetto economico, il forte calo della produttività in ogni ambiente di lavoro sprovvisto di aria condizionata (vd. sul New York Times del 18 Agosto, The Cost of Cool di Elisabeth Rosenthal). Naturalmente installando ovunque l'aria condizionata si "risolverebbe" un problema e si contribuirebbe ad aggravare l'altro.

I condizionatori consumano abbondante energia elettrica, e producono un doppio danno in termini di cambiamento climatico, poiché sia l'energia elettrica che utilizzano e il lubrorefrigerante che contengono risultano in emissioni che riscaldano il pianeta (The Cost of Cool, dove si noti anche l'onesto uso di climate change).

I due articoli del Corriere non sono da interpretare come prova della vitalità e imparzialità del nostro giornalismo, con la sua testata più illustre capace di presentare contributi di segno diverso e di "non prendere parte, ma fornire la versione di tutte le parti" (sul manuale della Reuters suona meglio: take no side, tell all sides). Il Corriere ha pubblicato un fondo di un editorialista del tutto incompetente sul cambiamento climatico e sulle cause umane di esso, e non disposto a seguire il consenso scientifico su questi temi. Come chiarisce SkepticalScience "più del 95% degli scienziati che lavorano nelle discipline del campo di studi intorno al clima, ammettono che il cambiamento climatico è quasi certamente causato da attività umane"; per chi comincia da zero si veda sullo stesso sito una pagina introduttiva, dove si spiega anche che:

Gli scettici attaccano vigorosamente qualsiasi prova per il riscaldamento globale causato dall'uomo ma adottano acriticamente qualsiasi argomento, op-ed, blog o studio che confuti il riscaldamento globale. Se si inizia con una posizione di scetticismo climatico, non si possono scegliere solo i dati che confermano la propria visione, mentre si lotta con le unghie e denti contro ogni evidenza che contraddice quella posizione, mi dispiace ma non è vero scetticismo scientifico.

E ancora, sul tema dell'alfabetizzazione e dell'incertezza scientifica, Maggie Koerth-Baker (nel contesto di una discussione sul rapporto di causalità tra aumento dei tornado in USA e cambiamento climatico) scrive con piena ragione:

[Afabetizzazione scientifica significa] capire come funziona la scienza, e in che modo la scienza può essere usata per guidare il processo decisionale umano. Si tratta di sapere che non abbiamo tutte le risposte. Ma si tratta anche di sapere che "non abbiamo tutte le risposte" non è la stessa cosa di "non sappiamo niente". Se imbottiamo le persone di fatti, ma nulla insegniamo dell'incertezza, allora non possiamo essere sorpresi quando le vediamo respingere tutto ciò che non è sicuro al 100%.

Infine quanto siano inaffidabili e manovrieri certi "scettici del clima" viene mostrato di nuovo, nel febbraio 2012, dal leak dell'Heartland Institute. In tale vicenda ben manovriero è stato pure Peter Gleick, che, "accecato dalla frustrazione per le attività - spesso anonime, ben finanziate e coordinate - volte ad attaccare la scienza del clima" (queste le sue parole di scusa), ha ingannato l'Heartlland Institute, procurandosi documenti che, commenta Bob Ward sul Guardian, indicano "ancora una volta come coloro che sono guidati da dogmi ideologici o da interessi commerciali cerchino di nascondere i loro veri motivi dietro una facciata di falsa polemica e di incertezza nel campo della scienza".

Questo articolo è stato pubblicato qui

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