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 Home page > Tribuna Libera > I rivoluzionari del “like” spiegati a mia figlia

I rivoluzionari del “like” spiegati a mia figlia

Quando un giorno dovrò spiegare a mia figlia cosa è successo in questi giorni (forse settimane, mesi e anni) sono tante le cose che dovrò crecare di non perdermi. Dovrò spiegarle il significato di “governo tecnico”, quindi non votato, ma anche farle capire perché dopo Monti ci tocca un governo minestrone fatto da assurdi accordi post elettorali tra partiti che fino al giorno prima se le davano di santa ragione (a parole). Spiegarle perché non si è riusciti a eleggere un nuovo Presidente della Repubblica, dovendo, per la prima volta nella storia, assegnare un secondo mandato – andando contro una prassi consolidata – e affidando quel posto a chi a fine mandato avrà 95 anni. Poi arriverà la cosa più complessa, ovvero spiegare Berlusconi e il perché in Italia la sinistra perde anche quando vince.

Ma da spiegarle ci sarà anche il concetto di “indifferenza” e “violenza”. L’indifferenza (che metaforicamente è anche violenza) di una parte di Stato, ad esempio, lontano da una buona fetta di popolazione che soffre per una crisi economica della quale non si vede uscita. E la violenza, soprattutto verbale, almeno fino a ieri, che ne è, in parte, conseguenza (e che a mio parere non è giustificata).

Assieme a questi macro argomenti, però, dovrò spiegarle che anche le sfumature sono importanti. I dettagli, i contorni, quelle cose che non sono il cuore del problema, ma risultati, precipitati di fatti spiacevoli. Ed è per questo che dovrò arrivare a spiegarle cos’è la “nostalgia degli anni (di piombo) che furono” nell’epoca dei social network.

La facilità con cui amiamo provare solidarietà per gesti folli, infatti, non smette mai di sorprendermi, pure ora che è pratica comune. Se “slacktivism” è il termine per descrivere l’attivismo del click (“salviamo il mondo firmando una petizione”), non so se esista un termine esatto per descrivere quell’atteggiamento per cui ci ritroviamo a essere dei rivoluzionari scrivendo un post duro/solidale/arrabbiato/di protesta.

Ma dovrò trovare le parole per farglielo capire.

Anche ieri, infatti, giornata di sparatoria fuori al Quirinale Palazzo Chigi, questo atteggiamento diffuso ha invaso la mia pagina Facebook (è chiaro che questa non faccia statistica, se non per me e il mio piccolo mondo). “Solidarietà a Preiti” leggevo. Assieme a quella indulgenza che porta a minimizzare il gesto (che ha portato due carabinieri in ospedale) in ragione di quella superiore ragione sociale del “muoriamo di fame, quindi bisogna fare qualcosa”, per cui quel “qualcosa” è (anche) sparare.

Perché c’è chi crede che sparando potremmo risolvere tutto. Sparo e risolvo, sparo e risolvo, sparo e risolvo. Quando lei mi chiederà perché la violenza dovrebbe salvarci oggi, dopo che anni e anni di piombo non ci hanno evitato lo schifo politico-economico in cui affondiamo oggi, dovrò trovare le parole giuste. Dovrò fare molta attenzione. Se sparare fosse servito a qualcosa, infatti, vista la nostra storia, oggi dovremmo vivere nel migliore dei mondi. Ma così non è, appunto, sperando che sarà migliore quando lei sarà più grande.

Dovrò provare a farle capire che per qualcuno l’idea di sparare, del gesto violento (gesto che però deve compiere sempre l’altro, sia chiaro) è più semplice dell’impegno in prima persona. Insomma, piuttosto che provare a cambiare le cose facendo qualcosa, si preferisce aspettare che qualcun altro si muova per noi. Però quel qualcuno avrà i nostri like e i nostri post di solidarietà assicurati.

Perché, le dirò, adoriamo guardare il gesto degli altri, immedesimarci in un ruolo che non abbiamo il coraggio (per fortuna) di imitare. Amiamo vedere i greci in piazza, godiamo nel condividere post indignati senza interessarci se siano veri o meno, sbattere in faccia ai nostri amici digitali numeri falsi e/o parziali, debiti non pagati da nazioni nordiche che però sono stati pagati. Le dirò che amiamo indignarci di un’indignazione da supermercato, dozzinale, quando l’indignazione dovrebbe essere un bene prezioso, da usare e maneggiare con cautela.

Le dirò di farlo, sperando che non abbia mai bisogno di usarla.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.248) 29 aprile 2013 23:56

    (Para) informazione >

    Un quarantenne viaggia armato di pistola fino a Roma. In giacca e cravatta passeggia per la piazza antistante Palazzo Chigi. Non trovandovi dei politici scarica la pistola su due Carabinieri posti di presidio. Disarmato urla alle forze dell’ordine di farlo fuori.

    In rapida successione si è parlato di terrorismo, di follia e di disperazione.
    E’ un uomo separato che, perso il lavoro, ha scarsi rapporti con la famiglia di origine. Ai conoscenti ha già palesato l’idea di un gesto eclatante. Non si esclude il ricorso alla cocaina.

    Gli organi di informazione, “dimenticate” le recenti pagine di cronaca nera (omicidi e suicidi) riguardanti coppie separate, imprenditori tartassati, ecc., hanno deciso di fare di lui il simbolo delle “sofferenze” patite dalla categoria dei disoccupati. Debito spazio è stato quindi riservato alle “divergenze” d’opinione ed alle “polemiche” sorte tra vari esponenti politici. Per l’intera giornata tutto ha concorso a “segnare” ed a marginalizzare le cerimonie di giuramento ed insediamento del nuovo, tanto “tribolato”, governo.

    Quando si porrà fine a cotanta attenzione per un caso dalle spiccate “connotazioni individuali”? Subito, si spera.
    Altrimenti è l’ennesima riprova di quel modello “imperante” che relega la “funzione informativa” al solo compito di focalizzare e “enfatizzare” ciò che nel vissuto quotidiano meglio riesce a “stuzzicare” la curiosità del pubblico.
    Fino a farne un “caso mediatico”.

    Postilla. Spengere lo spirito critico vuol dire rischiare di essere Travolti dalle Informazioni

  • Di Arrigo Garipoli (---.---.---.222) 30 aprile 2013 09:35

    Non credo tu possa spiegare niente a tua figlia ma beni tua figlia spiegerà a te cosa succede, innanzi tutto il luogo della sparatoria che non è il Qurinale,

    Tti vorrei far riflettere inoltre su cosa dovra spiegare Giuseppe Giangarnde (il Carabiniere ferito gravemente) a sua figlia che dovra prendersene cura sacrificando la sua giovane vita interrotta per la seconda volta nel suo crescere.
    Puoi capire quindi che qualunque cosa tu debba mai dire a tua figlia e irrilevante rispetto a chi non sa spiegarsi il perche ha scelto di servire lo Stato sacrificando anche la figlia oltre che se stesso

    • Di Francesco Raiola (---.---.---.196) 30 aprile 2013 12:24
      Francesco Raiola

      Caro Arrigo, esistono i refusi. Succede (e succede anche a lei, più volte, in questo commento). Poi c’è chi li fa notare in un modo e chi in un altro. Grazie per la segnalazione, comunque. 


      Il secondo punto non lo capisco, mi spiace. Cosa c’entra? Quando uno scrive di qualcosa sceglie un argomento escludendone altri (sarebbe impossibile scrivere un articolo/libro/etc onnicomprensivo). Mia figlia è chiaramente un artificio retorico per parlare di qualcosa che è la "rivoluzione del click". Poi c’è sempre qualcos’altro di più importante di cui scrivere, ma quella roba sfocia in una pratica che piace tanto ma cerco di evitare sempre: il benaltrismo.
      Grazie per il commento

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