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I ritratti bagnati di Judy Starkman

Diciamolo, la piscina in città è un incubo estetico. L’aria umida e la luce bianca, il rimbombo soffocato delle urla e il rumore liquido degli schizzi sono il proscenio di una sconfortante sfilata di imperfezioni e costumini azzurri, che sembrano disegnati da uno stilista iraniano degli anni ’70. Sarà forse la mancanza del sole e del mare, che impedisce di concentrarsi sul contesto e di godere dei regali della natura, sarà il cloro, che gonfia gli occhi e irrita le narici, sarà l’acqua che ingoi quando nuoti a dorso, che sembra uscita dal serbatoio di un ferro da stiro, saranno le cuffie e gli occhialini che trasfigurano i lineamenti, ma la grazia non sembra appartenere a questo luogo.

La piscina però ha anche un pregio evidente: è un luogo assolutamente democratico dove tutto si livella. Giovani o vecchi, belli o brutti, ricchi o poveri, tutti fanno una pessima figura. Almeno finché non cominciano a correre come treni nella corsia di destra perché, come sempre, il gesto atletico riabilita l’uomo.

Le piscine all’aperto sono una via di mezzo tra il mare e il complesso sportivo, un po’ come laghetti urbani. E i loro frequentatori hanno già un altro appeal, un'altra presenza. E allora viene da chiedersi: che lavoro faranno, questi uomini e queste donne nelle loro esistenze terrene, quando smettono i panni del bagnante di città? Se lo è chiesto anche Judy Starkman, con il progetto fotografico Secret Life of Swimmers, coinvolgendo i clienti della Culver City Plunge Pool di Los Angeles. Ecco i risultati, con e senza cuffietta.

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