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I 5 Stelle tra la morsa del PD e la campana del proporzionale

Il Movimento 5 Stelle declina la proposta del ministro Dario Franceschini (PD) di estendere la neonata alleanza di governo anche alle prossime elezioni regionali. Si ripropone l’ambiguo scenario già visto nei mesi scorsi: due partiti soci a livello nazionale e avversari a livello locale. Non un bello spettacolo per gli italiani.

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(laPresse,2019)

Il nuovo governo giallo-rosso composto da M5S-PD-LeU, come noto, ha ottenuto la fiducia in entrambi i rami del Parlamento, precisamente con 343 sì contro 263 no (3 astenuti) alla Camera e 169 sì contro 133 no (5 astenuti) al Senato. Tuttavia la composizione del gabinetto Conte bis è ancora in atto, infatti, oltre ai 21 ministri che hanno già prestato giuramento al Quirinale (14 uomini e 7 donne), sono stati da poco conferiti i 42 bramati incarichi di vice-ministri e sottosegretari, ripartiti in questo ordine: 21 al M5S, 18 al PD, 2 a LeU e 1 al Maie. La nuova squadra, dunque, sembrerebbe aver raggiunto l’agognata intesa ed è pronta a mettere in moto la macchina governativa, con l’obiettivo di realizzare l’ambizioso – a tratti chimerico – programma di governo, che il premier Conte ha magistralmente esposto al Parlamento e al Paese.

Eppure i rapporti tra partiti all’interno della maggioranza non sono proprio “rose e fiori” come le celebrazioni formali degli ultimi giorni vorrebbero far credere. Qualcosa tende già a scricchiolare e a produrre nuovi problemi ed incomprensioni. Giovedì il neo ministro della Cultura e del Turismo, nonché autorevole esponente del PD Dario Franceschini, ha lanciato al partner di governo la proposta di estendere l’attuale alleanza giallo-rossa anche a livello locale, allo scopo di fronteggiare la destra a trazione salviniana nelle elezioni regionali che nei prossimi mesi avranno luogo in Umbria, Calabria ed Emilia Romagna. L’invito è stato immediatamente condiviso e sottoscritto dal segretario del PD Nicola Zingaretti, il quale, fresco di accordo raggiunto a livello nazionale, ha rinnovato l’assist a collaborare, dando probabilmente per scontata la risposta positiva dell’alleato. Con grande sorpresa, invece, l’offerta è stata rapidamente respinta al mittente da parte del M5S, le cui fonti hanno peraltro aggiunto che “il Movimento ha altre priorità e le dinamiche interne tra forze politiche non interessano agli italiani”.

Una presa di posizione così netta non aiuterà certamente ad ammorbidire le tensioni interne al governo, ed anzi sarà causa di accese polemiche tra i suoi contraenti. Allo stesso tempo chiarisce finalmente la linea politica che il Movimento si accinge a seguire nei prossimi mesi. Una strategia che non presenta alcun cenno di discontinuità rispetto alla precedente esperienza giallo-verde, quando M5S e Lega si impegnavano a far passare il messaggio di andare d’amore e d’accordo al governo, salvo poi dar sfogo ad attacchi ed accuse di ogni sorta in campagna elettorale (vedi il caso delle elezioni regionali ed europee). E ciononostante, un attimo dopo la conclusione delle competizioni elettorali – che hanno visto sistematicamente trionfare il centro-destra a trazione leghista -, ogni malumore sembrava magicamente affievolirsi, e i ministri delle due forze politiche tornavano “felpatamente” ad occupare i banchi del governo, con tanto di sorrisoni, selfie e strette di mano, della serie “Scurdammoce o passato”. Certamente non un bello spettacolo per gli italiani, gli stessi “italiani” a cui il Movimento si è rivolto nelle sue dichiarazioni, e ai quali è pronto a riproporre ancora una volta la medesima commedia grondante di incoerenza e superficialità, questa volta al fianco del PD.

 A questo punto vale la pena chiedersi cosa spinga il M5S ad agire in tal modo rifiutando la proposta di collaborazione del Partito Democratico. Le spiegazioni che al momento appaiono plausibili sono due. In primo luogo, il M5S, nonostante nell’ultimo mese abbia dato prova della sua totale liquidità ideologica sostituendo la Lega con il PD al governo, deve pur sempre tutelare quel che resta della propria identità, e quindi chiedersi legittimamente se la proposta di Franceschini sia effettivamente un invito, o se dietro non vi si celi un agguato. Dopo essere stati drammaticamente fagocitati dalla Lega, per i grillini sarebbe opportuno evitare, o per lo meno rimandare, di subire il morso velenoso del PD, che questa volta rischierebbe di rivelarsi letale per il M5S. Primum vivere, deinde philosophari.

In seconda istanza il Movimento beneficia sin da ora degli scenari che caratterizzeranno la scena politica italiana dei prossimi mesi, e che molto probabilmente vedranno un ritorno al sistema di voto proporzionale. L’accordo di governo con il PD, difatti, prevede che si attui la riforma costituzionale finalizzata al taglio del numero dei parlamentari (da 945 a 600), mantenendo tuttavia inalterato il bicameralismo paritario, con il fine unico di ottenere un risparmio in termini economici pari a circa 60 milioni di euro l’anno, per un totale di poco meno di 300 milioni nell’arco dei cinque anni di legislatura, uguale allo 0,007% della spesa pubblica italiana (*Osservatorio conti pubblici italiani). La riforma in questione verrà sviluppata contestualmente alla modifica della legge elettorale, che sarà quasi certamente corretta in senso proporzionale, con soglia di sbarramento al 3% e riduzione o eliminazione dei collegi uninominali. Una legge del genere, sullo stile di quella utilizzata negli anni tra il 1946 e il 1994, non solo non favorirebbe la polarizzazione di due o più grandi forze politiche, bensì causerebbe frammentazione ed instabilità, dando adito a scissioni e alla costituzione di nuovi partiti – i cosiddetti “cespugli” -, fondamentali per sostenere una maggioranza parlamentare o per decretarne la fine. In questo contesto, il Movimento 5 Stelle – non proprio un cespuglio – avrebbe l’opportunità di collocarsi al centro del gioco politico facendosi ago della bilancia, pronto ad appoggiare oggi la destra, domani la sinistra, dopo domani chissà. Agli elettori l’ardua sentenza.

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