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Haiti: soldi, confusione, business

Anche ad Haiti, come durante lo Tsunami, l’industria dell’assistenza corre. Lasciando indietro qualche vittima, però. Ripetendo gli stessi errori ai danni dei beneficiari. Ricerca di visibilità, raccolta fondi, competizione fra organizzazioni limitano l’efficacia degli aiuti.

Haiti: soldi, confusione, business

Adesso l’Avatar (creazione del sistema partitico) Bertolaso dirà che il suo indagamento è dovuto a un complotto diretto da Hillary Clinton a causa delle sue critiche alla gestione degli interventi ad Haiti. Come sempre risulta più facile valutare fuori di casa che non in casa, però solo in quel caso, non si può dargli torto. Vediamo come sempre un po’ di dati.

L’industria dell’assistenza sta raccogliendo fondi paragonabili a quelli dello Tsunami (2004) che ammontarono a più di USD 14 miliardi. Allora era anche Natale. Tutti quei soldi superarono i danni stimati di circa il 30%, cioè USD 4 miliardi non furono utilizzati per le vittime (vere o inventate delle Tsunami). Non sapendo più come spendere i soldi, il marketing umanitario s’era concentrato sulle barche ai pescatori e allora tutti a portare barche e barconi magari non utilizzabili a causa dei fondali e delle maree. Si calcola che ogni sopravvissuto allo Tsunami ricevette circa USD 7000. Nello stesso periodo chi in Somalia moriva di fame (riceveva USD 130 di aiuti pro-capite) o chi era alluvionato nel Bangladesh (USD 3 procapite) era fuori dalla copertura dei media (e, dunque, dell’industria dell’assistenza). Si calcola che il 60% delle medicine inviate ad Aceh (Indonesia) siano state distrutte (con costi relativi) perché non utili o con prescrizioni scritte in lingue incomprensibili per il personale locale, dopo aver impegnato persone e spazi per lo stoccaggio. Magari parte di quelle medicine, con un lavoro un po’ più organizzato e professionale, potevano essere utilizzate per contrastare la silenziosa emergenza normale che provoca (per malnutrizione, infezioni, malattie curabili) la morte di circa 9 milioni di bambini nel primo mese di vita. Ad Haiti sono stati inviati oltre USD 500 milioni dagli USA (che hanno rimpatriato 88 haitiani) e dalla Gran Bretagna Pound 365 milioni. Già siamo arrivati a oltre USD 1500 per ogni terremotato.

Anche per lo Tsunami, come in ogni disastro umanitario seguito dai media, la carovana dell’assistenza si mosse in massa, fece finti filmini di propaganda, grandi articoli ma, secondo gli esperti, commise sempre gli stessi errori che hanno prodotto (e producono) minore efficacia negli aiuti e minori benefici per le vittime. Tutte le organizzazioni vogliono mettere la loro bandiera sui luoghi del disastro e, ognuno la mette dove vuole (magari intasando zone e lasciandone scoperte altre), possibilmente dove è più visibile. Arrivano materiali inutili che bloccano le vie di comunicazione, migliaia di esperti internazionali (da alloggiare, sfamare, proteggere) spesso scoordinati e molte volte poco esperti.

 

Eppure tutti hanno visto (e scritto) che nelle grandi tragedia (Tsunami, terremoto di Bam in Iran, Pakistan) è fondamentale che sia la gente locale ad essere attrezzata, a muoversi perché loro conoscono i posti, le persone, la lingua. La maggior parte dei sopravissuti è stata trovata da gente del posto che magari scavava con le mani. Gli esperti consigliano di concentrare gli aiuti sui volontari medici locali, sulle strutture esistenti, piuttosto che inviare medicine, apparecchiature e medici senza un minimo di coordinamento.
 
A Bam, i costosi ospedali da campo, arrivarono una settimana dopo quando gran parte dei feriti era già ospitata in ospedali locali ad Haiti tutta la rete di trasporti s’è intasata. A Milot (75 chilometri da Port-au Prince, l’ospedale poteva ospitare 100 pazienti con 20 medici haitiani con specialisti in traumi e ortopedia ma nessuno se ne è accorto. Qualcuno dice che siccome la stampa arriva solo nelle capitali e zone limitrofe anche l’assistenza internazionale preferisce concentrarsi lì. Targeting easy-to reach populations is the result in over-concentration of NGOs on the most visible beneficiaries.

 

In questi giorni da Haiti alcune ONG hanno chiesto tende, ne sono arrivate 49.000, poi altri hanno bloccato la richiesta (troppo costosa la gestione) dicendo che era meglio avere più economiche sistemazioni temporanee (teli di plastica) in attesa di iniziare a costruire le transitional homes (baracche dal costo di USD 1000). Niente di nuovo visto che l’80% delle tende inviate in Pakistan (2005) non erano waterproof e dato che nessuno sa cosa fa il vicino. Addirittura l’autorevole Lancet scrive: Polluted by the internal power politics and the unsavoury characteristics seen in many big corporations, large aid agencies can be obsessed with raising money through their own appeal efforts. Media coverage as an end in itself is too often an aim of their activities.

 

E aggiunge: Perhaps worse of all, relief efforts in the field are sometimes competitive with little collaboration between agencies, including smaller, grass-roots charities that may have better networks in affected countries and so are well placed to immediately implement disaster. Anche nei disastri riscontriamo I soliti limiti dell’industria dell’assistenza: incapacità, disorganizzazione, cialtroneria. Anche a Haiti si vedono sempre gli stessi crimini, diffusi ovunque, nei paesi poveri la compravendita dei bambini. Anche ad Haiti vediamo frotte di esagitati delle sette cristiane che spacciano certificati di battesimo in cambio di riso. Vediamo che si sta creando, come ovunque, nei disastri umanitari un business, gente in passerella, vittime dimenticate. Mamma mia dobbiamo dare ragione al super-raccomandato e testimonial  della partitocrazia (fra l’altro anche del vituperato, in questo blog, CCS Italia) Bertolaso. Che tristezza.

 

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