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Habe(ba)mus papam. I prelati umani di Nanni Moretti

Confessi chi non ha mai avuto la curiosità di sapere cosa succede nella segretezza di un conclave, cosa c’è sotto il fruscio delle vesti cardinalizie, come vivono e si comportano i cardinali nelle segrete stanze del Vaticano. Nanni Moretti – che nel film impersona lo psichiatra di costoro e che finisce per sconvolgerne i riti - ha voluto curiosarci dentro e ce lo ha immaginariamente raccontato. Sempre avremmo voluto sapere come sono, dentro, gli esseri umani vestiti con abiti sacri: scopriamo che avrebbero bisogno di abbandonare l’etichetta, giocare a pallavolo nei cortili di San Pietro o litigare nell’agonismo di una partita a carte, tornare bambini e perfino lasciarsi andare ad un ballo. Anche l’eletto papa – uno splendido Michel Piccoli - ha bisogno di svestirsi dei paramenti e del ruolo così impegnativi, andare a cercare sé stesso o la vita semplice degli altri, magari dell’attore che avrebbe voluto essere, vivere normalmente! Questa liberazione dalle gravi responsabilità della sua carica, avviene anche per le sedute con la seconda psichiatra assegnatagli, la morbida e rassicurante Margherita Buy, moglie separata del primo, la quale tutto fa risalire ai “deficit di accudimento” patiti da piccoli.
 
Volutamente o no il film suggerisce che è esagerato pensare le preghiere come risolutrici dei problemi di piccoli esseri umani, tutte quelle mani giunte non sistemeranno i guai che noi stessi ci andiamo a cercare, non riusciranno a far sì che il papa voluto a tutti i costi si sobbarchi il gravoso compito di guidare il gregge (dei cardinali o degli uomini comuni?). È una delega troppo grande, deresponsabilizzante forse, sostenere che “ciascuno di noi è frutto di un pensiero di Dio”, o pretendere che uomo e papa siano la stessa cosa. Il dubbio affiora dalle parole stesse del Segretario di Stato (Renato Scarpa): “Il papa è deciso dai cardinali e… da Dio”. Possibile?


 
Moretti è forse l’unico regista che in un suo film, “La stanza del figlio”, si è soffermato sui necrofori che sigillavano la bara, vedevamo i bulloni che venivano avvitati, dettagli, curiosità, “brutture” o azioni minime che di solito negli schermi vengono evitati. In questo film accade similmente che a conclave riunito – quanti cardinali, quante comparse e quanti santi da salmodiare - vada via la corrente e un cardinale prenda un gran ruzzolone: ecco, ha umanizzato queste persone in odor di santità, ha pensato a un particolare che le cerimonie non mostrano. Nel silenzio del voto poi sembrano affiorare lotte intestine, i nervosismi, ma soprattutto i “Non io, Signore!” delle fumate nere; alla fumata bianca c’è in essi come un senso di liberazione, di responsabilità scampata e buttata sulle spalle del pastore designato. Al “non sum dignus” di costui gli uomini di corte devono precipitosamente ricorrere all’assistenza psichiatrica per il poveretto, pure se “anima e inconscio non possono coesistere”, ma un papa s’ha da fare. Il rito, come un giocattolo, non va rotto.
 
Bellissimo film, comico e riflessivo insieme. C’è una grande distanza tra l’establishment ecclesiastico, la pregiatissima bara del papa morto ad inizio film sul sagrato di San Pietro, e i fedeli che cercano soddisfacimento a bisogni molto terreni. Avrei solo aggiunto un lungo e liberatorio uragano di applausi da parte dei fedeli che affollavano Piazza San Pietro quando il papa, infine, ammette urbi et orbi di non essere lui quello adatto a condurre la Chiesa. Non fu viltà ma voglia di umano.

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