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Guerra delle valute. Negazionismo, Reloaded

La guerra delle valute è la via breve ma sbagliata per cercare la ripresa. Ecco perché.

Il breve ricatto delle Terre Rare operato dalla Cina e che è rientrato una volta ottenuti i seggi al G20, ci dà il segnale che l’era della cooperazione internazionale, l’era della Globalizzazione ossessiva e del WTO, ha subito una svolta, e forse è finita.

La guerra delle valute e i dazi statunitensi già davano il segnale che qualcosa stava cambiando. E quello che è cambiato è l’atteggiamento delle economie sviluppate, che sembrano in preda ad un atteggiamento negazionista: cercano di negare la portata storica e geopolitica degli eventi e delle sfide che dovranno affrontare. Il problema demografico, che ho accennato per la Cina nel post "Un lungo viaggio", sono estremamente più pressanti nelle economie occidentali. A questo va aggiunto una necessità di taglio della spesa che impatta sul sistema educativo, peggiorando ulteriormente la situazione per le giovani generazioni. Svalutare le monete per cercare la competitività è un segnale chiaro della scarsa voglia di fare sforzi veri: investire nelle infrastrutture e nell’educazione, introdurre riforme e defiscalizzazioni per aumentare la produttività e ridurre l’impatto della previdenza, rendendola più sostenibile.

Ma i giovani studenti non votano, e dunque la politica non li difende rispetto ai lavoratori e ai pensionati, che invece votano. Una debolezza imbarazzante quella dei nostri governi. In una prima fase della Crisi ci fu uno straordinario coordinamento di interventi, se ricordate: tagli dei tassi, supporti al sistema finanziario. Si può, se volete, ragionare della correttezza degli interventi, ma è oggettivo riconoscere che ci fu un clima di straordinaria cooperazione in quelle fasi. Oggi l’atteggiamento è sempre più orientato ad un desolante “ognuno per sé”. I Paesi Europei litigano e discutono per formulare le regole di una cintura di sicurezza permanente all’interno dell’Unione: nessuno sembra curarsi di trovare la migliore regola per l’Europa, ma ciascun Paese cerca quella più vicina alle proprie esigenze.

Nel frattempo si rallegrano di come hanno saputo ben fronteggiare la crisi, in particolare quella greca. Durante i rallegramenti nessuno sembra ricordare che l’Unione Europea è solo un’unione monetaria, e che la Crisi ha dimostrato quanto sia urgente che diventi anche una unione politica e soprattutto almeno fiscale… ma non è il caso di turbare l’elettorato su questioni spinose, sembra.

Allargando lo sguardo allo scenario globale abbiamo la Cina che mantiene ingiustificatamente debole la propria moneta grazie al “peg” sul dollaro, ed in questo modo può spingere sulle esportazioni; la Fed, dal canto suo, stampa e inietta dosi massicce di denaro dichiarando che continuerà a farlo anche se riparte la crescita. Ovvero dichiara candidamente che intende semplicemente indebolire il dollaro, il che mi fa pensare che il QE avrà più effetto sul piano monetario che su quello della crescita economica. Dobbiamo forse sospettare che la reale prospettiva di crescita economica ed occupazionale degli USA sia inferiore a quella dichiarata come “attesa”? Direi di sì. La Germania, che ha mostrato un PIL in buona crescita sta pensando qualche dichiarazione ad effetto, per far intendere che potrebbero staccarsi dall’Euro e tornare al Marco, al solo scopo di indebolire un po’ la moneta unica… ammesso che Grecia o Irlanda non “facciano qualcosa” in questa direzione… Il mondo deve ancora preoccuparsi di trovare il modo per consumare ciò che gli americani non possono più permettersi di consumare. Far finta che i problemi siano risolti e rifiutarsi così un’altra volta di affrontarli davvero, sarebbe pericolosissimo. Così come è pericoloso questo giochino di colpi bassi sulle monete: una ipotetica crescita sulla svalutazione non è sana e rende le economie dipendenti dalla progressiva continuazione del giochino, generando nuovi perniciosi squilibri.

Prima che uno sbadiglio vi allontani mi urge ricordarvi quanto queste cose ci riguardino direttamente, personalmente: in un articolo del 29 Maggio scorso vi dissi che la riforma pensionistica in Francia sarebbe diventata cruciale, ed oggi troviamo i francesi in piazza per un allungamento di soli 2 anni dell’età pensionabile. L’Occidente sta soffocando sotto il peso dell’età dei suoi cittadini, degli interessi sul proprio debito, e sotto il costo (in termini di competitività) del privilegi che negli anni ha consentito di accumulare ai propri cittadini. E in tutto questo noi vorremmo, senza rinunciare a nulla, vedere anche lo Stato investire in infrastrutture e opere per il rilancio dell’economia, roba che attualmente è da considerarsi un lusso. Non illudiamoci, il nostro stile di vita dovrà cambiare se vogliamo poter mettere la parola “fine” a questa Crisi. Come ebbi modo di scrivere già un’altra volta: “Si è scelto di monetizzare, e di spostare più in alto ancora l’asticella: l’insolvenza dei debitori sub-prime si è trasformata in debito da crisi per le banche, salvate dagli Stati; i più deboli di questi si sono ritrovati con livelli di debito da crisi, e sono stati salvati dal Fondo Monetario Internazionale e altri enti sovranazionali. Mancando la possibilità di rivolgersi al fondo intergalattico di Alpha Centauri (che tra l’altro -garantisco io- risponderebbe con una pernacchia) il tutto tornerà all’unico soggetto che potrà compensare il montante debito: l’essere umano”.

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