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Governo tecnico, politica da laboratorio

L’effetto positivo del nuovo governo tecnico sui mercati c’è stato, ma è durato poco ed è stato di intensità modesta, più di quanto ci si aspettasse.

La risposta “tecnica” alla crisi deriva dalla paralisi politica che la crisi ha generato. Non solo in Italia, non solo nei PIIGS o in Europa, ma in tutto l’Occidente. La sceneggiata dell’innalzamento del debt ceiling di questa estate ce la ricordiamo bene e recentemente il fallimento del supercommitee per il taglio del deficit ne è stata la riprova.

Supercommitee che peraltro costituiva una forma di tecnocrazia anche negli USA visto che le sue eventuali proposte sarebbero dovute essere votate, ma non emendate dal Congresso: approvate o respinte, non modificate. Democrazia mortificata in Italia dall’arrivo dei tecnici (pur sempre dopo una #inettocrazia ), ma anche in Spagna dove al contrario si è proceduto con le elezioni, che hanno indicato nel partito di opposizione -il partito popolare- il vincitore, ma che al tempo stesso sono superate dai fatti: i target economici fissati con la Commissione UE dal governo di Zapatero vincoleranno Mariano Rajoy, il nuovo leader, a raggiungerli anche se non li condivide.

E parlando di Democrazia dovremmo parlare di consenso. La politica e le sue strutture raccolgono sempre meno consensi e sempre più sfiducia. Persino l’Euro viene giudicato da metà degli europei come una svolta dannosa per le loro economie nazionali, e questo rende ovviamente ancora più difficile far accettare duri piani di austerity se l’obiettivo è “salvare l’€”. L’avvento dei tecnici è ideale per la politica, che potrà addossare a loro tutti gli aspetti negativi dell’austerity.

La democrazia pensata come espressione di un consenso ha dato pessima prova di sé, dicevamo prima, nella vicenda estiva dell’innalzamento del tetto del debito americano: i repubblicani non volevano fare compromessi con il presidente democratico, un batti e ribatti che ha portato al downgrade del rating americano e che rischia di peggiorare ora che entriamo in un anno elettorale.

La politica è - agli occhi dei cittadini - alle corde. Le destre, i conservatori, sono culturalmente troppo vicine alle banche e alla deregulation che ha causato questo sfacelo. Le sinistre, i progressisti, hanno da tempo ceduto al liberismo e alla finanza, perdendo l’occasione di cavalcare oggi la crisi del capitalismo. Normalmente un governo legittimato democraticamente ha più “potere sociale” per imporre manovre impopolari rispetto ad un governo autocratico, dispotico o ad uno tecnico.

L’azione dei tecnocrati tipicamente alimenta gli estremismi, i populismi, persino negli USA il Tea Party da una parte e Occupy Wall Street dall’altra stanno facendo emergere estremismi sconosciuti - e basati entrambi su istanze di diseguaglianza sociale - finora nella routine tra democratici e repubblicani.

Ci sono gli aspetti tecnici (quanto intervenire) e quelli da gestire politicamente (come intervenire). E questi secondi non scompaiono solo perché il primo ministro è un “tecnico”.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.27) 25 novembre 2011 18:30

    Il governo Monti è stato eletto secondo le regole previste dalla nostra Costituzione, inoltre è composto da persone altamente qualificate e non da mestieranti della politica tra i quali gente che in vita sua non ha concluso nemmeno gli studi e non ha mai svolto alcun lavoro. E ve ne sono a destra come a sinistra. 

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