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Gheddafi e i ventimila italiani d’Africa

Francesco Saverio Nitti, Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio, esponente del partito radicale, nel 1911, in un discorso pronunciato al Parlamento, definì la Libia "uno scatolone di sabbia".

In quegli anni evidentemente si ignorava l'esistenza dei giacimenti petroliferi in un territorio posizionato strategicamente, a breve distanza dall'Europa meridionale e con quasi duemila chilometri di costa.

Aveva visto giusto Mussolini quando nei primi anni trenta si accorse che la Libia era una terra fertile baciata dal sole e dalla fortuna e, assieme al Governatore Italo Balbo, diede inizio alla colonizzazione italiana.

Si trattò di un progetto imponente che prevedeva l'arrivo di ventimila italiani all'anno per cinque anni. Migliaia di nostri concittadini seguirono il sogno di trovare l'America in Africa, partirono in massa e trovarono decine di villaggi costruiti appositamente per loro nel giro di pochi mesi nel deserto libico.

In poco tempo, l'impronta italiana venne lasciata in tutta la Libia, vennero costruite le strade, gli ospedali, le opere pubbliche e furono fertilizzati i campi.

Nel 1942, con il crollo del regime fascista, l'Italia perse ogni prerogativa sulla Libia, la quale divenne un protettorato inglese. Gli inglesi avevano scoperto i giacimenti petroliferi e non vedevano di buon occhio gli italiani che, in ogni caso, riuscirono a mantenere un buon rapporto con la loro ex-colonia, i contratti che avevano stipulato continuarono ad avere validità e, soprattutto i proprietari terrieri godevano di un relativo benessere.

Nel 1969, mentre il re libico Idris I si trovava in Turchia, alcuni giovani ufficiali progressisti attuarono un colpo di Stato, sancendo la fine della Monarchia. Erano guidati dal giovane Colonnello Muammar Gheddafi che, a soli 27 anni, era il più giovane Capo di Stato del mondo.

La data indimenticabile per tutti gli italiani libici è il 21 luglio 1970, giorno in cui Gheddafi promulgò una legge che impose la confisca di tutti i beni (circa 400 miliardi di lire dell'epoca) e l'espulsione immediata, violando il Trattato del 1957 e la Risoluzione ONU che tutelavano i cittadini italiani e i loro beni.

I profughi vagarono in Italia come nomadi, in cerca di un luogo dove stabilirsi, di una nuova vita, portandosi dietro tutti i ricordi ed un profondo "mal d'Africa" che persiste tutt'oggi.

Il 31 agosto 2008 viene firmato l'accordo italo-libico. L'Italia porge le scuse per il passato coloniale e si impegna a versare alla Libia cinque miliardi di dollari. Nessun cenno alla questione ancora aperta della confisca dei beni degli italiani.

Finalmente, dopo anni di attese, il 18 febbraio 2009 il Parlamento italiano pubblica la Legge di ratifica del famoso Trattato, introducendo un articolo che prevede un risarcimento parziale, stabilito in 150 milioni di euro da erogare in tre anni, risarcimento simbolico rispetto al reale ammontare del credito, corrispondente a circa 3 miliardi di euro.

Il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha firmato il decreto attuativo il 12 ottobre 2010 mentre i profughi italiano celebravano il quarantennale del rimpatrio.

Non resta che attendere i risarcimenti.

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