• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Essere o non essere (charlie)

Essere o non essere (charlie)

Con i fatti di Parigi si sono delineati (sinteticamente) due schieramenti: quelli che “je suis Charlie” e quelli che invece no, non sono Charlie.

Due schieramenti che ripropongono (sinteticamente) i valori della Rivoluzione francese come discriminante: di qui i progressisti, fautori della libertà di espressione senza se e senza ma. Di là i sostenitori del limite d’autorità posto alla libertà d’espressione, da stabilire perché non sia offesa la sensibilità dei religiosi (con tutti i rischi che poi questi limiti si allarghino a dismisura a seconda delle contingenti necessità dei potenti).

Nonostante la minaccia di essere preso a pugni dal Papa, la cosa dovrebbe essere risolta in modo estremamente semplice: se non ti piace Charlie Hebdo (o qualsiasi altro equivalente) non lo compri. Se non ti piace questa trasmissione cambi canale. Se non ti piace quella vignetta non la guardi. Oppure la guardi e la critichi, anche irridendola ed applicando così la stessa “arma” della satira e della critica che la libertà di espressione prevede e ti concede, alla faccia di chi si crede intoccabile e indiscutibile.

Nello stesso tempo è ovvio che gli esponenti di tutte le religioni (di tutte le religioni, lo ripeto a scanso di equivoci) nel voler impedire la satira su Maometto, Dio, la Madonna e quant’altri, agiscono in modo invasivo: io non voglio che tu pubblichi quella roba, anche se in ogni caso non l’avrei guardata mai. Questa si chiama censura e oppressione culturale. Ed è giusto contrastarla perché la libertà di parola, nei fatti, è costata troppo sangue, sudore e lacrime per farsela scippare.

Sulla possibilità di irridere anche le religioni e i loro testi o immagini sacre si scontrano in questi giorni, anche nel mondo secolare, i pareri di chi vuole porre un limite e chi non ne vuole nemmeno sentir parlare: Moni Ovadia fra i primi ("Il pugno di Francesco è lungimirante"), Daniele Luttazzi, manco a dirlo, fra i secondi ("ogni religione, senza sense of humour, diventa fanatismo").

La libertà di parola è però - lo dico con tutto il rispetto che nutro per essa - assolutamente parziale. Perché il vero potere, quello che uccide la vera libertà, sta altrove. E, limitandoci alla libertà di espressione, è capacissimo di impedirti di parlare con mezzi che vanno dalla gogna pubblica al vero e proprio linciaggio, ne sono testimonianza le vittime del famoso “editto bulgaro” di berlusconiana memoria (e non solo loro), per arrivare alla galera o all’assassinio puro e semplice.

Fino al drammatico totale di 96 morti nelle file degli addetti alla comunicazione (giornalisti, assistenti e citizen journalist) solo nel 2014. Ne parla Reporter senza frontiere che ovviamente non ha dubbi: loro “sono Charlie” !

Ma accanto ai morti di Charlie Hebdo c’è stato un secondo attentato questa volta non determinato dalla professione ritenuta “blasfema” dei vignettisti, o dalla morte non pianificata dei loro ospiti e dei poliziotti, ma dalla pura e semplice appartenenza etnica delle vittime: gli ebrei del negozio kasher.

E qui, alla fine, ogni già fragile universalità d’intenti - per quanto pesantemente ipocrita - si incrina. Perché ben pochi, comunità ebraiche a parte, hanno issato il cartello con su scritto “je suis Juif”.

In Italia ricordo solo un Furio Colombo, ma anche un - peraltro mai tenero con le politiche israeliane - Ugo Tramballi che ha saputo coniugare il proprio personale e politico astio per Benjamin Netanyahu con una dimensione profondamente umana di rispetto per le persone, ebree perché casualmente nate e cresciute in famiglie appartenenti a quella comunità, e uccise in quanto ebree.

Un attentato che ho definito manifestazione di antisemitismo razzista non diverso da quello degli anni ‘30, come peraltro ha fatto anche Adriano Prosperi su left.

Alla fine “Mi ha fatto arrabbiare - lo dice Tramballi, non io - sentire Netanyahu dire che gli ebrei francesi, e di conseguenza quelli di tutta Europa, sono al sicuro solo in Israele. Ma sono esploso dalla rabbia constatando che ha ragione: detesto riconoscere che Bibi Netanyahu possa avere ragione. E’ vero, gli ebrei europei sono in pericolo a casa loro”.

E ancora “La stragrande maggioranza dei musulmani immigrati, italiani di prima e seconda generazione, non ha nulla a che fare con il califfato - ma, aggiunge - nei nostri musulmani la questione palestinese, l’occupazione israeliana e gli ebrei vengono messi confusamente sullo stesso piano”. Non solo loro, si direbbe, a leggere certa stampa e certi blog.

Gli ebrei però - afferma Tramballi - hanno tutti i diritti, etici e storici di sentire un legame emotivo con lo stato di Israele, che è nato, dopo una dozzina d’anni di discriminazioni e persecuzioni culminati nello sterminio, come stato “ebraico” perché così lo definisce la risoluzione dell’assemblea dell’ONU del 1947.

Ciononostante è ben noto che ci sono molti ebrei, israeliani e non, critici con le scelte dei governi di Israele, in special modo quelli degli ultimi anni.

Così come è noto anche che esistono organizzazioni e tendenze fortemente religiose e del tutto aliene allo stato nazionale e alle sue leggi; vedi gli haredim israeliani, ma anche i Neturei Karta che, ad ogni manifestazione antisionista, si presentano sventolando bandiere palestinesi.

Minoranze, indubbiamente, ma minoranze che sono state utilissime finora ai molti appartenenti alle frange anti israeliane del mondo politico internazionale per affermare con convinzione di essere “antisionisti, non antisemiti”.

Ma abbiamo dovuto leggere, a proposito dell’attentato al negozio kasher, che questo non è un gesto di antisemitismo (lo sostiene anche Tramballi, e su questo non sono ovviamente d’accordo con lui). E' invece una cosa "comprensibile" dal momento che “gli ebrei” (sia chiaro gli ebrei, non gli israeliani) sono in guerra con gli islamici.

Così diventa logico che ogni ebreo, qualunque cosa pensi, comunque interpreti il suo legame (o la sua distanza da Israele), qualunque cosa faccia o non faccia e ovunque sia nel mondo... si trova, di default, arruolato nel conflitto.

Cade quindi ogni barriera: ogni ebreo può essere colpito ovunque si trovi perché non è più il vicino di casa con cui accapigliarsi (oppure no) per le sue diverse idee politiche: è un nemico.

Quello che le organizzazioni palestinesi hanno rifiutato di fare (almeno dalla fine degli anni '70) - colpire gli ebrei indipendentemente dal fatto che fossero israeliani o no - oggi diventa possibile con le nuove leve del fondamentalismo, manovrate da burattinai oscuri.

Specularmente, è l’ovvia conseguenza dell’aver trasferito il conflitto dalla sua realtà territoriale a una dimensione delirantemente etnico-religiosa, ogni arabo (che, in quanto arabo, si suppone possa essere filopalestinese) può essere colpito in quanto nemico. Perché "se ti attaccano in quanto ebreo - lo diceva anche Hanna Arendt - devi rispondere da ebreo".

Inutile aggiungere quanto possa essere pericolosa e pericolosamente devastante questa logica.

Qualcuno crede che sia sufficiente “laicizzare” il mondo (come se fosse facile) o inneggiare all'ateismo per arginare questa deriva, ma temo che se non si ferma per tempo l’idea che il conflitto sia etnico il futuro sarà ben più nero delle bandiere nere dell’ISIS.

Nel frattempo tra antisionismo e antisemitismo sembrano collassare le già esili differenze; tranne che in Tramballi il quale, umanamente, conclude “se non ero proprio sicuro di essere Charlie, ho il dovere di sentirmi orgogliosamente ebreo”.

Foto: Guillaume Galmiche, il suo sito è qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.210) 25 gennaio 2015 12:27

    Chi afferma che tutte le pecore sono bianche è un bugiardo: esistono anche le pecore nere. E’ un bugiardo della stessa risma chi afferma che tutti gli ebrei della diaspora sostengono il governo israeliano: esistono anche ebrei della diaspora che pubblicamente dissentono dalle sue azioni.

    Pecore nere anch’essi, generalmente isolati e attaccati dalla loro stessa comunità: a volte espulsi, regolarmente dileggiati e insultati, ma esistono. 

    Dunque è falso affermare che tutti gli ebrei della diaspora sostengono il governo di ultradestra israeliano, ma ancora più falso è affermare implicitamente che il rapporto numerico tra gli uni e gli altri è ininfluente. 
    Più aderente al vero sarebbe dire che tutti gli ebrei della diaspora sono con Netanyahu e col suo governo fascistoide, salvo alcuni.

  • Di (---.---.---.12) 25 gennaio 2015 14:16

    Ovviamente è quello che ho scritto io, salvo la definizione di "fascistoide" di cui si prende lei la responsabilità.
    Il punto del mio articolo però è un altro: se si considerano gli avversari politici come nemici da abbattere - come hanno fatto gli attentatori in Francia, ma finora nessun "ebreo" non israeliano, a quanto mi risulta - si apre la possibilità di uno sterminio su scala globale. Qualsiasi ebreo, ma anche qualsiasi arabo, potrebbe rischiare la vita.
    Mi sembra ben poco intelligente fare una polemica sul fatto che gli ebrei, salvo alcuni, sono con Netanyahu e non piuttosto sul problema che ho voluto evidenziare. Che al commentatore deve sembrare un trascurabile problemino.

    FDP

    • Di (---.---.---.210) 25 gennaio 2015 23:52

      Riguardo alla definizione di "fascistoide" non mi preoccupo affatto: basta mettere assieme qualcuna delle pubbliche dichiarazioni di esponenti del governo Netanyahu per fondarla adeguatamente. Anzi: è strano che lei se le sia perse.

      Identità etnica e identità politico ideologica sono cose distinte per definizione, e teorizzare che sono intrinsecamente legate è roba da fascisti. 
      Le confonde, ad esempio, il governo israeliano, quando tiene rinchiuse a Gaza quasi 2,5 milioni di persone identificandole, tutte, con l’ideologia, la visione e la responsabilità politica di cui è portatrice Hamas.

      Noi, che siamo antifascisti, condanniamo senza attenuanti chiunque le confonda, dunque anche chi colpisce un ebreo identificandolo, in quanto tale, con l’ideologia, la visione, la responsabilità politica del governo israeliano. Salvo che costui, per sua scelta, non le abbia fatte pubblicamente proprie. In tal caso l’identità ebraica non c’entra più nulla, c’entra invece l’identità politico ideologica, la scelta di schierarsi a favore dell’azione di un governo e contro chi gli si oppone: ebreo o non ebreo che sia. Ovviamente costui perde il diritto morale di accusare di pregiudizio antisemita chi lo colpisce, non necessariamente in senso fisico, per la sua scelta ideologica.

      Ma il fenomeno che volevo portare alla luce, sepolto com’è da una coltre di ambiguità e di capziosi distinguo, è un altro: il generalizzato sostegno che gli ebrei della diaspora offrono al governo israeliano è un dato macroscopico a livello geopolitico che non si può ignorare, perché ha effetti rilevanti in un gran numero di contesti e sullo stesso futuro di Israele.

      Ad esempio, come lei saprà, il prossimo 3 marzo Netanyahu parlerà davanti al Congresso degli Stati Uniti della minaccia dell’Iran e dell’Islam radicale. Con questa saranno tre le volte che Netanyahu avrà parlato davanti al Congresso statunitense: un primato che condividerà con Winston Churchill, il solo capo di governo straniero al quale è stata riservata tanta considerazione. 

      Questo peraltro ha provocato le ire dell’amministrazione Obama, che considera uno strappo inaccettabile del protocollo, e un oltraggio politico, l’azione del PM israeliano. Per parte loro, mettendo in contrasto il presidente democratico col primo ministro israeliano, i repubblicani sperano di capitalizzare qualche vantaggio politico in vista delle prossime presidenziali, giacché negli USA chi si pone in contrasto col governo israeliano è generalmente svantaggiato rispetto ai concorrenti.

      Netanyahu non è Churchill, Israele non è il Regno Unito, il mondo non ha di fronte la minaccia nazifascista. Non c’è paragone tra il peso politico di Churchill e quello di Netanyahu, eppure il P.M. israeliano gode negli USA di una considerazione paragonabile a quella dello statista britannico, tale da riuscire a mettere in crisi i rapporti tra Amministrazione e Congresso.

      La spiegazione di questo è semplice, e nota: il vasto supporto che gli ebrei americani forniscono al governo israeliano si concretizza in peso politico che le lobbies sioniste: prima fra tutte l’AIPAC, si incaricano di spendere. E non genericamente nell’interesse dello stato di Israele bensì nell’interesse della corrente politica ideologica ultranazionalista (dunque di destra) chiamata sionismo, di cui Netanyahu è un esponente di rilievo. 

      E’ questa ideologia che si proietta a livello globale tramite la superpotenza americana, non le ragioni di Israele. Ed è una ideologia che divide, che soverchia l’universalismo ebraico, che sponsorizza lo scontro di civiltà e la contrapposizione religiosa, che priva Israele della possibilità di costruirsi un futuro pacifico e sicuro.

      Nella sua ultima performance davanti al Congresso Netanyahu ha sostenuto che gli ebrei non possono essere considerati occupanti stranieri in Giudea e Samaria (nome biblico della Cisgiordania). In altre parole ha sostenuto il diritto eterno (diritto di origine divina evidentemente) degli ebrei su quella terra.
      Scommetto che nella sua prossima performance affermerà che l’Islam è intrinsecamente nemico dell’Occidente, e che il Congresso statunitense gli riserverà una nuova standing ovation.
      Forse è il caso di iniziare a rendersi conto che il sionismo è il problema, non la soluzione, e che sarebbe opportuno liberarsi dalla sua gabbia prima che si ricominci a generalizzare sugli ebrei.

    • Di (---.---.---.12) 26 gennaio 2015 08:43

      Dopo un po’ mi sono stufato di leggere questa specie di proclama di cose trite sulla lobby sionista e già sentite troppe volte per sorbirsele di nuovo. Colgo l’occasione per modificare il mio commento precedente: sostenere che tutti gli ebrei, tranne alcuni, siano a favore di Netanyahu è semplicemente demenziale dal momento che nemmeno tutti gli israeliani sono con lui. I più recenti sondaggi danno anzi il Likud in svantaggio rispetto alla coalizione di centrosinistra.
      Identificare quindi gli "ebrei" con qualsiasi politica israeliana è insostenibile: si dimostri - me è impossibile - che quelle persone uccise nel negozio kosher o nella scuola di Tolosa o nel museo di Bruxelles erano attivi sostenitori della logica più oltranzista del governo israeliano e potremmo riprendere il discorso.

      Ma anche fosse dimostrato pensare che qualsiasi ebreo abbia idee diverse dalle sue, che evidentemente ritiene "resistenziale" la politica di Hamas, non si vede come possa essere "antifascista" sostenere che avere idee diverse possa essere motivo di omicidio anziché di contrapposizione politica. Personalmente ritengo fascista chiunque ragioni in questo modo; lei mi pare alquanto ambiguo. Quello che è emerso in Francia negli ultimi anni è platealmente una politica razzista di origine islamica; razzista e antisemita. Quindi nazista. Veda lei.

  • Di (---.---.---.2) 26 gennaio 2015 01:32

    Direi che per tornare al discorso libertà di espressione si/no basterebbe ricordare che i diritti iniziano e finiscono dove iniziano e finiscono quelli altrui e che la libertà di espressione non è solo un diritto ma anche una responsabilità: come tale va usata con oculatezza per non abusarne, perché può ledere diritti altrui e perché ciò può condurre a conseguenti richieste di censura. La libertà di espressione va usata con oculatezza proprio per tutelarla, chi la ama dovrebbe darsi una regolata proprio per non rischiare di vedersela ridurre.

    Ovvio che se non mi piace un giornale sono libero di non comprarlo, ma se quel giornale pubblica qualcosa che mi diffama io posso anche non acquistarlo ma intanto lo compra il resto del mondo: ne risulto diffamato. Se non lo leggo l’unica cosa che ottengo è che sono il solo a non saperlo.

    Analogo se quanto pubblicato lede un mio diritto garantito (ad esempio in Italia esiste ancora il vilipendio contro la divinità e la tutela del sentimento religioso).

    Insomma, la questione mi sembra un po’ tirata per la giacchetta: per essere a favore della libertà di espressione bisogna per forza essere Charlie e se non si è Charlie allora si è pro censura?

    La libertà di espressione non è anche dissociarsi sia da Charlie Hebdo che da chi fa stragi o bisogna per forza schierarsi per uno dei due?

    Specie se poi qualcuno, come è avvenuto in Francia, fa satira non gradita e viene arrestato?  Vuol dire che ci sono sensibilità giuste e sensibilità sbagliate, da tacitare a tutti i costi. C’è chi usa un mitra, chi le manette.

    Non è questione di libertà di espressione e censura, ma di conflitti tra diritti. Parlare di censura è semplicistico, fa sembrare la pretesa di tutela come una specie di abuso, un’odiosa pretesa mentre è il riconoscimento di un diritto codificato. In Italia alcune delle vignette pubblicate da quel giornale sarebbero illegali e c’è gente che è stata allontanata dai media nazionali per molto meno. E noi saremmo Charlie Hebdo?

  • Di (---.---.---.12) 26 gennaio 2015 09:42

    Lei solleva problematiche che sono all’ordine del giorno in tutto l’Occidente perché su di esse si giocano le contraddizioni storiche tra libertà di dire e "non libertà" di offendere; e i quesiti che pone sono a mio parere condivisibili. Sia quando evidenzia che l’offesa a qualcuno non può essere considerata lecita libertà d’espressione, sia quando in ballo c’è il contrario (da noi i casi Luttazzi, ma anche Biagi -sic- o anche il caso Boffo) in Francia il caso Charlie Hebdo ma anche Dieudonné. Ma chi l’ha detto che trasmettere in televisione solo polpettoni generalisti, stupidi e ottenebranti non sia, anche questo, "offensivo" per l’intelligenza umana? E continuare a proporre trasmissioni sulle "apparizioni della Madonna" o sui miracoli di Padre Pio come lo definiremmo? Per fortuna c’è il telecomando che vale per tutti.
    Tra "libertà" totale (quindi anche di offendere - che è diverso da infamare) e diritto di espressione ci sono differenze sostanziali che alcuni esasperano fino a far diventare il confine estremamente sottile. In sintesi il dibattito non può che riguardare la magistratura e le leggi, che però sono emesse da chi è al potere: a me pare che un giornaletto che pubblica vignette che per alcuni sono offensive debba essere libero di farlo, anche se chi è offeso da esso "potrebbe essere l’unico a non saperlo", come dice lei.
    Libertà di satira anche sulle religioni, sulle ideologie, sul Papa, sugli esponenti politici di primo piano perché la satira - quindi il riso, la risata - è, da sempre, l’unica arma possibile per smorzare l’aura di sacralità di cui il potere - qualsiasi potere - si ammanta per non farsi mettere in discussione. Ha quindi una forza liberatrice più che una oppressiva. Anche se qualcuno può venirne offeso. Quindi direi di non essere d’accordo con lei su questo. Ma dovrei digerire anche il caso Dieudonné che non mi piace e che quindi dovrei difendere, a malincuore, e garantire così la sua libertà di espressione, pur di conservare la mia. E che dire della satira anticomunista che è stata davvero tremenda a volte. Per non parlare di quella antigiudaica. Quindi, che fare? Lei, mi sembra di capire, sarebbe favorevole a una limitazione alla libertà di espressione, ma mi sembra che sottovaluti le conseguenze liberticide che ciò potrebbe comportare. Io sono a favore di una completa libertà di espressione, ma mi rendo conto che questo potrebbe aprire le porte a questioni estremamente delicate; come certi negazionisti con le loro vignette sui campi di sterminio fanno immaginare.

    Nel caso di chi fa stragi credo che il problema di schierarsi contro non si ponga nemmeno. Chi pensa di risolvere così le contraddizioni della libertà occidentale di stampa, di parola e di espressione in nome di una ideologia che a priori supera queste espressioni semplicemente vietando (o uccidendo i presunti colpevoli) si pone in una dimensione che personalmente ritengo debba essere combattuta, con qualsiasi mezzo lecito. In questo senso, sì direi che "sono Charlie Hebdo" e anche "sono ebreo" e anche "sono un poliziotto".

  • Di (---.---.---.103) 27 gennaio 2015 09:10

    Devo essermi espresso male: non sono favorevole alla censura.

    Noto però che i reali nemici della libertà di espressione siano quelli che ne abusano, piegandola a fini diversi dalla semplice manifestazione del proprio pensiero. Sono i reali nemici della libertà di espressione perché spessa la piegano ad interessi privati e cercano il sensazionalismo, in aperto conflitto con diritti altrui che vengono sistematicamente calpestati. Questo alla lunga genera reazioni, è assolutamente preventivabile.

    Al di là della questione religiosa, potrei fare diversi esempi in cui si è *usata* la libertà di espressione come un’arma, invece di un mezzo. Basta analizzare come la società attuale sia orientata dai media per rendersi conto che chi ha libero accesso ai mezzi di comunicazione può creare consenso e distruggere gli avversari, spesso nascondendosi proprio dietro questa fantomatica libertà d’espressione o servizi "simpatici". Potrei farle diecimila esempi, ma credo che basti sottolineare come l’argomento ad hominem sia ampiamente usato per screditare le critiche ai potenti nel nostro paese. La satira di cui parla lei è quella sana, quella intrinsecamente contro il potere, che lo sbeffeggia. Non credo che la satira attualmente in voga sia definibile tale, spesso fa l’occhietto al potente di turno e sbeffeggia i nemici, è fondamentalmente ininfluente.

    Vorrei inoltre farle notare che non auspico la censura ma noto semplicemente un dato di fatto: in Italia la libertà di espressione non è infinita ma limitata da alcuni articoli del codice penale che riguardano la tutela dell’onorabilità altrui, garantiscono alcune sensibilità come nel caso del sentimento religioso, vietano l’apologia di determinati delitti. Pertanto trovo a dir poco paradossale che l’italiano medio si senta Charlie Hebdo, perché molte delle loro vignette in Italia sarebbero illegali. Glielo dico da ateo, che non ha quindi alcun interesse di parte in questo commento. Però da ateo non capisco perché si debba per forza offendere la sensibilità altrui per vendere qualche copia di giornale, non è il mondo che mi piace.

  • Di (---.---.---.12) 27 gennaio 2015 09:36

    Pur non essendo in disaccordo, in linea di massima, con quello che lei scrive, aggiungerei due cose: “i reali nemici della libertà di espressione siano quelli che ne abusano, piegandola a fini diversi dalla semplice manifestazione del proprio pensiero". Con questa frase lei mette insieme la libertà d’espressione, la libertà di satira e la libertà di diffamare (o di infamare) cioè di usare mezzi potenti per mettere alla gogna qualcuno. Sono tre livelli diversi di cui l’ultimo è sottoposto ai rigori della legge.
    Il secondo punto - "analizzare come la società attuale sia orientata dai media" - fa riferimento a una forma di potere che non è certo una novità. La novità casomai sta nel fatto che la libertà di espressione dà voce anche a chi storicamente non l’hai mai avuta: in questo senso mi sento di dire "sono Charlie Habdo"
    So benissimo che in Italia la libertà di satira è limitata. E non è affatto detto che le vignette satiriche mi piacciano sempre e comunque, ma vorrei che quei limiti fossero eliminati. Proprio perché il potere non ha limiti e molti mezzi a disposizione. Preferirei quindi che si potesse lottare ad armi (quasi) pari, anche se non tutto è condivisibile o apprezzabile.
    Da ateo subisco l’intrusione continua del potere religioso, ogni giorno, in ogni telegiornale, in ogni dibattito si dà la parola a chi vuole far credere che lassù c’è un omone onnipotente che guarda, giudica ed è pronto a punire. Io me ne frego, ma a quanti bambini si devasta la mente minacciando la presenza di dio o del diavolo ? (no, dico:...il diavolo....ma che cavolo!). O che la madonnina piange o che gli spiriti vengono a tirarti i piedi. Messe sul piatto della bilancia mi sembrano un bel po’ peggio le idiozie (violente) lecite di quelle (irridenti e sgarbate) vietate.

    FDP

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità