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Commento di

su Essere o non essere (charlie)


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25 gennaio 2015 23:52

Riguardo alla definizione di "fascistoide" non mi preoccupo affatto: basta mettere assieme qualcuna delle pubbliche dichiarazioni di esponenti del governo Netanyahu per fondarla adeguatamente. Anzi: è strano che lei se le sia perse.

Identità etnica e identità politico ideologica sono cose distinte per definizione, e teorizzare che sono intrinsecamente legate è roba da fascisti. 
Le confonde, ad esempio, il governo israeliano, quando tiene rinchiuse a Gaza quasi 2,5 milioni di persone identificandole, tutte, con l’ideologia, la visione e la responsabilità politica di cui è portatrice Hamas.

Noi, che siamo antifascisti, condanniamo senza attenuanti chiunque le confonda, dunque anche chi colpisce un ebreo identificandolo, in quanto tale, con l’ideologia, la visione, la responsabilità politica del governo israeliano. Salvo che costui, per sua scelta, non le abbia fatte pubblicamente proprie. In tal caso l’identità ebraica non c’entra più nulla, c’entra invece l’identità politico ideologica, la scelta di schierarsi a favore dell’azione di un governo e contro chi gli si oppone: ebreo o non ebreo che sia. Ovviamente costui perde il diritto morale di accusare di pregiudizio antisemita chi lo colpisce, non necessariamente in senso fisico, per la sua scelta ideologica.

Ma il fenomeno che volevo portare alla luce, sepolto com’è da una coltre di ambiguità e di capziosi distinguo, è un altro: il generalizzato sostegno che gli ebrei della diaspora offrono al governo israeliano è un dato macroscopico a livello geopolitico che non si può ignorare, perché ha effetti rilevanti in un gran numero di contesti e sullo stesso futuro di Israele.

Ad esempio, come lei saprà, il prossimo 3 marzo Netanyahu parlerà davanti al Congresso degli Stati Uniti della minaccia dell’Iran e dell’Islam radicale. Con questa saranno tre le volte che Netanyahu avrà parlato davanti al Congresso statunitense: un primato che condividerà con Winston Churchill, il solo capo di governo straniero al quale è stata riservata tanta considerazione. 

Questo peraltro ha provocato le ire dell’amministrazione Obama, che considera uno strappo inaccettabile del protocollo, e un oltraggio politico, l’azione del PM israeliano. Per parte loro, mettendo in contrasto il presidente democratico col primo ministro israeliano, i repubblicani sperano di capitalizzare qualche vantaggio politico in vista delle prossime presidenziali, giacché negli USA chi si pone in contrasto col governo israeliano è generalmente svantaggiato rispetto ai concorrenti.

Netanyahu non è Churchill, Israele non è il Regno Unito, il mondo non ha di fronte la minaccia nazifascista. Non c’è paragone tra il peso politico di Churchill e quello di Netanyahu, eppure il P.M. israeliano gode negli USA di una considerazione paragonabile a quella dello statista britannico, tale da riuscire a mettere in crisi i rapporti tra Amministrazione e Congresso.

La spiegazione di questo è semplice, e nota: il vasto supporto che gli ebrei americani forniscono al governo israeliano si concretizza in peso politico che le lobbies sioniste: prima fra tutte l’AIPAC, si incaricano di spendere. E non genericamente nell’interesse dello stato di Israele bensì nell’interesse della corrente politica ideologica ultranazionalista (dunque di destra) chiamata sionismo, di cui Netanyahu è un esponente di rilievo. 

E’ questa ideologia che si proietta a livello globale tramite la superpotenza americana, non le ragioni di Israele. Ed è una ideologia che divide, che soverchia l’universalismo ebraico, che sponsorizza lo scontro di civiltà e la contrapposizione religiosa, che priva Israele della possibilità di costruirsi un futuro pacifico e sicuro.

Nella sua ultima performance davanti al Congresso Netanyahu ha sostenuto che gli ebrei non possono essere considerati occupanti stranieri in Giudea e Samaria (nome biblico della Cisgiordania). In altre parole ha sostenuto il diritto eterno (diritto di origine divina evidentemente) degli ebrei su quella terra.
Scommetto che nella sua prossima performance affermerà che l’Islam è intrinsecamente nemico dell’Occidente, e che il Congresso statunitense gli riserverà una nuova standing ovation.
Forse è il caso di iniziare a rendersi conto che il sionismo è il problema, non la soluzione, e che sarebbe opportuno liberarsi dalla sua gabbia prima che si ricominci a generalizzare sugli ebrei.


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