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Egitto: una transizione incognita

La via araba della democrazia.

In questo momento di grande movimento di popoli alla ricerca di nuove realtà dello stato, popoli che rispondono al nome di Egitto, Tunisia, Algeria e Yemen, verrebbe da chiedersi a cosa stiamo assistendo. Una cosa è certa: i generi alimentari rappresentano la prima necessità da sempre, ma dopo aver assicurato un accesso ai beni primari ed un costo della vita a misura delle tasche medie di ex sudditi e cittadini in fieri, che forma si daranno gli stati che al di là della comune confessione religiosa hanno storie politiche e risorse economiche differenti?

Il sentimento che accompagna i tumulti di piazza al Cairo sono diversi per certi versi da quelli algerini e dalla stessa Tunisia. Gli egiziani che hanno scelto a simbolo della rivolta un premio nobel come El Baradei si trovano di fronte ad una transizione importante, coloro che li osservano sono non tanto i paesi occidentali, ma soprattutto gli stati della Lega Araba di cui rappresentano sicuramente un laboratorio politico e culturale. L’Egitto è un paese dalla grande civiltà e numericamente il più consistente degli stati della mezzaluna, si muove nei confronti dei paesi democratici in modo amichevole e sicuramente intrattiene rapporti con Israele di maggiore dialogo e rispetto a confronto non solo con paesi irriducibilmente ostili come Iran e Siria, ma anche in relazione a realtà moderate come la Giordania e la potenza militare turca.

Le considerazioni esposte sono un elemento di riflessione che val la pena tenere a mente. I legami economici da ultimo non consentono all’Egitto di poter fare a meno delle materie prime di cui è sprovvisto e che invece abbondano nei paesi dell’area. La transizione del paese dei Faraoni verso una forma di governo maggiormente rappresentativa ed inclusiva si pone come modello di riferimento per la macroarea maghrebina ed affacciandosi attraverso lo Yemen nella penisola arabica si muove verso il coinvolgimento futuro di stati ingessati da potentati politico-economici che molto spesso fanno delle cause dell’Islam il perno dell’impalcatura oppressiva che grava sulla loro gente. Eccoci al dunque. Se tra un anno l’Egitto vedrà la nascita di uno stato costituzionale in cui troverà posto un parlamento largamente rappresentativo della realtà sociale egiziana troverà allora si potrà finalmente parlare di una democrazia araba, che si è autodeterminata e sarà una risposta netta nei confronti del modello americano di esportazione delle libertà civili, che ad oggi non sembra aver dato frutti maturi.

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