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Effetto rarità

La politica economica cinese - seconda parte.

E come promesso, completiamo il ragionamento del post precedente. Vedrò di essere “semplice” visto l’esito del sondaggio su come desiderate i post (uno schiacciante 80% ha chiesto post meno complessi). Ci eravamo fermati sul concetto di ‘rischio dollaro’: l’esposizione delle riserve cinesi in dollari è notevole ed il rischio che si svaluti non è trascurabile, anzi: le autorità monetarie americane chiedono con frequenza a gran voce che lo yuan venga rivalutato contro dollaro. Inoltre esiste il rischio di svalutazione del valore del debito pubblico americano, il cui valore oggi è sostenuto dalla monetizzazione (Quantitative Easing) massiccia utilizzata per comprare titoli di Stato, per farne ridurre i rendimenti attraverso l’aumento del prezzo. Il Quantitative Easing non può durare all’infinito, perché i rendimenti oltre un certo limite non possono essere compressi, ed in ogni caso più biglietti verdi si stampano per mantenere il valore dei Treasury Bond e più si svuotano di valore i dollari. Il governo cinese ha dalla sua, oltre alla posizione di forza già descritta, la possibilità di agire e pianificare le cose senza l’ansia di farsi riconfermare alla prossima scadenza elettorale. Questo gli consente -più che ad ogni governo democratico- di fare dei veri piani di lungo periodo, con la forza di chi è consapevole della propria condizione. Alcuni lettori si sono sbizzarriti nel disegnare interessanti piani di egemonia cinese, plausibili e per certi versi già nei fatti. Tuttavia credo che il concetto di egemonia dalle parti di Pechino sia diverso da come lo si intende in Occidente, sia una egemonia meno muscolare, più silenziosa, più “concreta” in un certo senso. Se perseguissero un predominio da unica superpotenza scoprirebbero che l’India è la loro “Cina”. Torniamo ad immaginare di essere al loro posto per capire come potrebbero agire, ragionevolmente.

Innanzitutto occorre trovare un modo per “immunizzarsi” dal rischio dollaro, senza attivare una spirale di vendita sui Treasury. Forti della loro strategia di lungo termine, i cinesi hanno siglato miliardi di dollari di contratti pluriennali per l’acquisto delle più svariate materie prime con Russia, Australia e Sud America. Qualche miliardo di dollari l’hanno impegnato in Africa, con un po’ di acquisti in oro -da effettuarsi con tutta calma senza correre dietro ai record del metallo giallo- sono riusciti ad avere una quota “netta” di dollari ancora elevata, ma congrua con il fatto che la valuta dello Zio Sam è pur sempre la moneta di scambio del pianeta (per ora). Fortuna - loro - vuole che un tipo di materie prime molto particolari, le cosiddette “terre rare” (14 tipi di minerali, tra cui il lantanio, il cerio e l’europio) siano particolarmente abbondanti sul loro territorio. Attratti dai bassi costi di estrazione cinesi, gli occidentali hanno trascurato di investire nelle proprie miniere e oggi il 97% delle terre rare estratte al mondo arriva dalla Cina. Pur possedendo meno della metà della disponibilità mondiale, si sono ritrovati ad averne un monopolio di fatto e giustamente -almeno dal loro punto di vista- oggi pretendono di usare questo potere e di disporre di risorse estratte sul loro territorio come meglio ritengono. Le terre rare sono insostituibili per fare un sacco di gadget e prodotti tecnologici, dagli schermi piatti agli hard disk, gli smartphones ecc… e ora il governo cinese ha pensato bene di tagliare del 30%, forse 40%, le esportazioni di Terre Rare. Dicono che sia per fare un dispetto ai giapponesi, grandi consumatori di questi beni, per un’isola nel Pacifico che cinesi e giapponesi si disputano… mah… Io credo che dovremmo trarre una lezione da questo atteggiamento, perché anche in altri campi potrebbero trovarsi in queste condizioni ed agire alla stessa maniera. E’ nel loro interesse farlo, ed è perfettamente logico che lo facciano. Prendiamo lo Yuan: visto che il suo valore è di fatto stabilito dal Governo, o si trova una via persuasiva per convincerli a rivalutarlo, oppure si dovrà aspettare che interessi a loro farlo. E quando lo faranno sarà inizialmente perché desidereranno creare una base di consumatori interna, e successivamente per venire in Occidente a comprarsi aziende e -soprattutto- knowhow. Non c’è ragione che lo facciano prima, lo yuan in queste condizioni li rende forti, competitivi, capaci di attrarre commesse. Negli anni ‘70 e ‘80 Cesare Romiti, come direttore generale di Fiat, adottò una strategia con i fornitori esterni (il cosiddetto indotto): poco alla volta con pazienza, li faceva diventare fornitori monocliente, dando commesse sempre più generose sia in termini di mole di lavoro che in termini di denaro.

Quando poi l’attività del fornitore era completamente dipendente dalle ordinazioni di Fiat, ecco che Romiti tirava il guinzaglio e imponeva condizioni capestro. Non so se cogliete l’allusione. Leggo su Wikipedia che Romiti dal 2004 è presidente della Fondazione Italia-Cina… buffo. Insomma per il “Celeste Impero” si sta concretizzando una realtà: si sono garantiti anni di forniture di tutte le risorse che a loro servono. Quelle che hanno in casa iniziano a tenersele per loro. Se proprio dovesse arrivare una devastante, travolgente crisi del dollaro, che distruggerebbe 3/4 della ricchezza mondiale, loro possiederebbero una fetta consistente del quarto rimasto, facendone il Paese più ricco di un mondo improvvisamente povero. Se invece, come è più probabile, il dollaro si eclisserà gradualmente senza troppi traumi, in un processo lungo almeno dieci anni (durante il quale rivaluteranno gradualmente lo yuan, introdurranno qualche orientamento alla trasparenza e al decentramento amministrativo) loro sono già ben “posizionati”. A Wall Street la chiamano “strategia win-win”. Postilla dell’inflazionista: nel paniere del “Consumer Price Index” gli smartphones, le TV a schermo piatto, gli hard disk… ecc… hanno finora contribuito a tenere bassa la crescita dell’indice. La contrazione di disponibilità di Terre Rare potrebbe mettere fine a questo meccanismo…

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